Racconto di Orlando Vuono
Revocare il mandato al signor Quaglia, amministratore del nostro condominio per quattro sterili e snervanti anni, era stato semplice. Sostituirlo, meno.
L’ingegner Proietti, terzo piano interno 9, propose l’amministratore di un condominio vicino, il signor Stefanini, il quale, secondo tutte le persone interpellate, era serio. Caro, ma serio. Chiedeva centocinquanta euro annui ad appartamento, ma se li guadagnava. Certo, il signor Quaglia costava la metà, ottanta euro ad appartamento, ma il signor Quaglia era, come mi disse in numerose occasioni la signora Vitale, quarto piano interno 14, «un quaquaraquà»; era, come scrisse in chat il professor Lucarini, secondo piano interno 4, «un equivoco zoologico-anagrafico… si sarebbe dovuto chiamare Volpe, altro che Quaglia…»; insomma era, per dirla con un doppio eufemismo, un pessimo amministratore, un pessimo uomo.
Per quanto non abbia mai gradito la malagestione del signor Quaglia, io, lo dico francamente, non amo neanche farmi spennare. Cercai quindi un altro candidato; dopo due settimane trovai il signor Cafiero, che con i suoi cento euro annui ad appartamento era molto più economico del signor Stefanini, anche se un pochino più caro del signor Quaglia, il cui ritorno, però, era fuori discussione.
I vicini ai quali anticipai, in ascensore o all’entrata, la mia proposta, non reagirono con l’entusiasmo che mi sarei aspettato. D’altronde, molti si erano fatti abbindolare dall’ingegner Proietti, il quale, forse in virtù del suo passato da ingegnere in Canada, godeva di una grande, secondo me immeritata, considerazione. Stando alle sorelle Conforti, primo piano interno 3, l’ingegner Proietti era «un pezzo grosso, molto grosso, dell’energia idroelettrica», ma se uno dovesse dar credito a tutto ciò che si inventano le sorelle Conforti per ammazzare la noia, penserebbe che dal Quebec all’Alberta, passando per Ontario e Manitoba, non si sarebbe illuminato nemmeno un lampione, dal 1976 al 2013, senza il contributo dell’ingegner Proietti.
A me, lo dico francamente, l’ingegner Proietti non mi ha mai convinto.
In generale, diffido dei ricchi: per arricchirsi, nove volte su dieci hanno combinato qualcosa di losco. Guarda caso, quando gli si chiede di rievocare ricordi del Canada, l’ingegner Proietti parla del freddo, della neve, dei lucci pescati nel Winnipeg, l’undicesimo lago al mondo, dettagli abbondantemente presenti su Google. Invece cos’è che non si trova su Google? Informazioni sull’ingegner Proietti! Sembra strano, oserei dire sospetto, ma è così.
Per non parlare, poi, di quella cuffia sempre appesa all’orecchio. Tutti pensano sia un apparecchio acustico; per me, invece, è una ricetrasmittente camuffata da apparecchio acustico. Chi dà istruzioni all’ingegner Proietti? Perché?Un’ultima cosa. Da che mondo è mondo, non si è mai visto un facoltoso ingegnere energetico trascorrere gli anni della pensione sfamando gatti randagi: e allora come mai l’ingegner Proietti mette ogni sera sul marciapiede piattini di plastica pieni di tonno e croccantini? Piattini, lo dico per onestà intellettuale, che non lascia mai sul marciapiede, li raccoglie e li butta nel cassonetto della plastica. Certo, invece di sprecarli potrebbe lavarli e riusarli, ma i ricchi, si sa, amano ostentare la propria ricchezza.
Scrissi sulla chat di condominio che il signor Cafiero chiedeva cinquanta euro in meno del signor Stefanini e aveva una reputazione altrettanto buona. In realtà, tariffa a parte, io non sapevo nulla su di lui. Avevo trovato il suo nome sulla targhetta di un palazzo a dieci minuti dal nostro, ma non me l’ero sentita di indagare disturbando la gente davanti al portone: non è nel mio stile. In ogni caso, questo la dice lunga sulla reputazione del signor Stefanini: se avevo mentito io, oncologo in pensione, perché non dovrebbe aver mentito l’ingegner Proietti, un uomo, lo ricordo, che ama pescare lucci e sfamare gatti randagi?
Attraverso dei pollicioni gialli, si schierarono apertamente dalla mia parte la dottoressa Scano, quinto piano interno 19, il signor Alberti, primo piano interno 5, la signorina Luminari, sesto piano interno 22. Penso che si sarebbero aggiunti molti altri, se una delle sorelle Conforti non avesse scritto: «Ma Proietti ha già sentito Stefanini… che figura ci facciamo?». Dopo meno di un minuto, l’altra sorella aggiunse: «Anche per me è meglio Stefanini». Fioccarono pollicioni. Quello del professor Lucarini, che fino ad allora avevo sempre stimato, mi ferì.
Il giorno dopo scrissi ottantadue righe sintetizzabili in due punti. Primo: l’ingegner Proietti non si doveva permettere di parlare per conto di un condominio che decide, in una repubblica democratica, votando in assemblea. Secondo: finché il signor Stefanini non firmava un contratto, lui non era nessuno per noi, noi non eravamo nessuno per lui.
L’ingegner Proietti meditò una risposta per otto estenuanti giorni. In sole trentasette righe esibì tutta la sua furbizia retorica: se da una parte confermò la mia tesi sulla decisione da prendere in assemblea, dall’altra fu abile nel portare litri d’acqua al suo mulino scrivendo che «lo stesso Stefanini è ben consapevole di perdere, con una tariffa superiore alla media, tutti quei potenziali clienti disinteressati a un servizio superiore alla media».
Mi presi delle settimane per riflettere.
Il giorno prima dell’assemblea, feci la mia mossa: cinquantotto righe in cui raccontai di aver scoperto che, come ci aveva «premurosamente anticipato l’ingegner Proietti», il signor Stefanini era «ammirato, oserei dire amato dai suoi clienti», i quali ne apprezzavano la competenza, la serietà, la cura di ogni particolare, «dalle scale alle piante, dai citofoni alle cantine»; proprio sulla cura del particolare era stata illuminante la testimonianza di una signora, la quale mi aveva confessato che il signor Stefanini, durante una riunione, aveva suggerito a bassa voce che per risolvere l’annoso problema dei gatti randagi «bastava avvelenarli spruzzando sui croccantini l’antigelo per il radiatore», un metodo, disse soddisfatta la signora, «rivelatosi efficacissimo».
Non rispose nessuno, ma sapevo che l’ingegner Proietti, il vero destinatario del messaggio, leggeva sempre, anche quando non rispondeva. Ne ero convinto perché, secondo me, doveva subito spifferare tutto a chissà chi.
Ci riunimmo alle 18:30 a casa del professor Lucarini. Fu lui a presiedere l’assemblea in assenza dell’amministratore. Come sempre, si occupò del verbale la signora Ferri, terzo piano interno 8.
Io avevo le deleghe della dottoressa Scano e della signorina Luminari; l’ingegner Proietti aveva quelle della Vitale e delle sorelle Conforti.
Il professor Lucarini ci disse di non fare i timidi con i Ritz e le San Carlo; poi, fattosi serio, ci esortò a scegliere la proposta migliore non per ciascuno di noi, ma per il condominio, poiché il bene comune deve prevalere sul bene individuale. Annuimmo in molti. L’ingegner Proietti fissò a lungo le proprie scarpe: delle Clarks scamosciate troppo logore, a mio avviso, per un presunto pezzo grosso dell’energia idroelettrica canadese.
Sprecammo la prima ora e mezza lamentandoci delle promesse non mantenute dal signor Quaglia. Nessuno se la sentiva di prendere posizione sui suoi possibili sostituti. Con amarezza, mi resi conto che la paura del passato inibiva le nostre scelte sul futuro, come in molte cose della vita, purtroppo.
Passai la ciotola di Ritz alla mia destra e feci un acceso discorso che stupì tutti e staccò gli occhi dell’ingegner Proietti dalla pelle scolorita delle Clarks: dissi che il signor Cafiero, da me proposto, era serio, incisivo, onesto, era, insomma, una buona opzione, ma il signor Stefanini, proposto dall’ingegner Proietti, era un’ottima opzione, il non plus ultra, e se, come aveva detto il professor Lucarini, dovevamo scegliere il meglio per il condominio, io avrei votato il non plus ultra.
Il professor Lucarini attese che la signora Ferri verbalizzasse tutto, quindi diede la parola all’ingegner Proietti. Era più pallido e infido del solito. Nel silenzio del salotto mi parve di sentire la voce della ricetrasmittente.
Finalmente parlò: disse che il signor Stefanini era bravo, attento, ma era anche estremamente caro, mentre il signor Cafiero sembrava altrettanto capace, se non di più, però proponeva una tariffa accessibile, popolare: facevamo il bene comune, spendendo centocinquanta euro quando ne bastavano cento? Secondo lui, no.
Tutti espressero un’opinione. Passate le 22, votammo. Il signor Stefanini ottenne tre voti, i miei. Con ventuno preferenze, il signor Cafiero divenne il nostro nuovo amministratore di condominio. Il signor Alberti scese a casa e tornò con due bottiglie di spumante. Il professor Lucarini si scusò: non aveva abbastanza calici per tutti. Ci accontentammo dei bicchieri di plastica.
Il signor Cafiero ci fece, a dispetto della giovane età, una buona impressione. Tuttavia, in meno di due anni rivelò la sua natura di «mestierante», come ripeté la signora Vitale, di «aspirante Azzeccagarbugli», come scrisse in chat il professor Lucarini. Con la sua lingua suadente, il signor Cafiero ci convinse a rifare il pavimento del terrazzo, ad affidarci a una sua ditta di fiducia, a risparmiare sul direttore dei lavori confidando nell’esperienza decennale degli operai.
La signorina Luminari e gli altri vicini del sesto piano intasarono la chat con foto e video delle infiltrazioni sul soffitto, del gocciolio nei secchi, delle macchie di muffa. Fu un duro colpo per l’ingegner Proietti: ogni volta che lo incrociavo, mi pareva sempre più simile alle sue Clarks.
Revocammo il mandato al signor Cafiero. In assemblea, fui l’unico a parlare. Votammo. Il signor Alberti prese lo spumante, il professor Lucarini i bicchieri di plastica. Brindammo al ritorno del signor Quaglia.
Copertina di Eugenia Quaglia
Orlando Vuono (1990) si è laureato in Italianistica a Bologna con una tesi su Stefano D’Arrigo. Vive a Roma, dove insegna Lettere alle superiori. Ha collaborato con «Dude Mag» e «Nuovi Argomenti». Suoi racconti sono apparsi su «Malgrado le Mosche», «Spaghetti Writers» e «Micorrize». https://www.facebook.com/share/1685NaxUoU/ @v_orl_90