fotografia Terremoto di Marco Simeoni

Terremoto

Il monitor non riesce ad attirare la mia attenzione quando inizia a vibrare. Come potrebbe? Chi non vive il proprio corpo e impiega ogni singola energia rimasta per tendere un dito a vessillo d’esistenza, difficilmente fa caso a ciò che muta attorno a lui. Concentrato a proteggere i ricordi, ignoro come tutto stia per cambiare, di nuovo.
Orizzontale da 102 giorni, sono il perfetto esempio di un amante noioso; tuttavia non sono stato io a volere questo letargo forzato.
L’impatto fece sbocciare la carrozzeria. Pistilli di lamiere mi circondavano mentre impreparato andavo incontro al destino. Volontà di ferro ma corpo di carne. La prima si piegò, il resto si spezzò.

Urla provengono dal corridoio. Cosa volete da me? Se essere visitato da eccelsi luminari ha lasciato il mio corpo in letargo, difficilmente un’isteria di massa cambierà la mia condizione.
Noia: quattro lettere per descrivere il mio universo: La TV, il Supporto Vitale, la Venere e il Letto compongono questo triste affresco. Tu, visitatore, non ti soffermi su di loro; ai tuoi occhi sono solo copie di oggetti sbiaditi eppure, per me, rappresentano una famiglia.
Anche io ero come te. Quando pensare era ancora una scelta assieme a ridere e camminare.
Poi… accade l’inaspettato: il mio Letto balza in avanti, con i tubi del Supporto Vitale che si tendono fin quasi a spezzarsi. È stufo! Vuole librarsi via da quella stanza e portarmi con lui verso spazi che per troppo tempo ho finto di aver dimenticato.
Un Aladdin paraplegico su un tappeto di molle.
Vola, VOLA!
Grido dentro di me, nessuno può sentirmi, eppure il mio destriero di lattice sembra rispondere a quei comandi inespressi.
La stanza, finora considerata una prigione senza sbarre, coglie il crescendo della mia gioia e trema di fronte all’impeto del risveglio. Io, finto monaco del dolore, scopro infine la mia vera vocazione.
Esplodono finestre, schegge di vetro nutrite di sole formano arcobaleni intermittenti.
Il vento irrompe con veemenza, lenzuola si issano a vele, il cuscino ai miei piedi, ribaltandosi, diviene il timone di questo nuovo viaggio. Un capitano con le gambe di legno pronto a solcare i mari di marmo.

Rimbomba il perimetro dell’ospedale. A ogni scossa si assottiglia la distinzione tra ciò che vedo fuori e cosa provo dentro.
La TV saltella come un bimbo sul tappeto elastico e scalcia l’aria con i cavi. Crepe sulle pareti appaiono come sorrisi dalle labbra sottili. Civettano in direzione della Venere impressa su tela. Sostenuta da un unico chiodo mi supplica di porre fine al suo esilio.
Portami da lei! Ordino all’imbarcazione di dirigersi alla fine del mondo conosciuto.
Schiudo le labbra mentre il letto stride e si incaglia su scogli di mattonelle, proiettandomi verso la meta tanto agognata. In verticale da 57 secondi ridivento uomo e sono finalmente all’altezza di esprimere il mio amore.
Conscia del richiamo, Venere attende sull’intonaco color conchiglia il bacio che ridesterà me dal torpore.

Fotografia di Agnali su Pixabay

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