Arrivo all’indirizzo scarabocchiato sul foglio che conservo stropicciato nella tasca interna del portafogli, insieme a una manciata di scontrini lasciati lì a languire senza scopo. Cerco di rimanere concentrata, ma sono nervosa, perdo dei pezzi e, senza capire come, mi ritrovo all’interno, nel magazzino di notevoli dimensioni, arredato in modo lussuoso: mobili di legno pregiato, eccessivamente intarsiati e pesanti. Eppure le finestre sono ridicole, incorniciate da legnetti fini e scrostati nella loro pittura laccata marrone, sembrano vecchie e dai vetri sottili come carta velina. “Che strano”, penso, ma non ho tempo di realizzare, una graziosa donna-bambola, matura ma dagli atteggiamenti da adolescente ammiccante, non lascia scampo alle mie riflessioni. Mi parla senza sosta, tenendomi addosso gli splendidi occhi azzurri decorati da una precisa e calcata matita nera. “Incantevoli”, penso ancora e non capisco ciò che mi dice con tanta enfasi e trasporto. Non la sento. Ascolto solo i suoi occhi, ma ritengo debba essere importante il discorso, perciò annuisco, cercando di apparire il più convinta possibile. Poi inizio a percepirli, infine li vedo: il pavimento è invaso da insetti; ci sono ragni che zampettano frettolosi, scarafaggi impazziti, persino lumache minuscole che lasciano viscide scie. Le parole della bella signora-ragazzina si perdono tra le tracce appiccicose e lucide e il vorticare di bestioline inquiete. Si accorge del mio disorientamento, alza il tono, colgo qualche parola: « …perché, vede, è inutile negarlo, l’unica donna di cui si avrà sempre bisogno e che mai rimarrà disoccupata è la sciacquetta …»
«Signora» appunto io distratta «letteralmente sciacquetta significa bevanda annacquata…»
Lei pare non cogliere la mia osservazione e, tenace, continua nella spiegazione: «Hostess: questo è il futuro, donne-manichini capaci di dare le informazioni necessarie quando richieste, ma solo quelle, è chiaro… »
Io alzo lo sguardo un attimo: è perfetta, sorridente, trucco impeccabile, capelli immobili, mani curate, abbigliamento da catalogo attraente ma non eccessivo, linguaggio educato; ha le mani sulle guance, come a tenersele, in un gesto che richiama un’innocenza infantile oramai perduta seppur non in modo evidente. Torno a fissare gli insetti.
Infine, si spazientisce: «Che succede?» mi fa con una leggera vena di irritazione nella voce. «Lei non mi sta affatto ascoltando!»
«Il pavimento è invaso da insetti!» sbotto incredula.
«E allora?» ribadisce quella con assoluta noncuranza. «A chi vuole che importi?»
Questo mi colpisce. Mi guardo intorno. Una piccola folla, a ondate, si accalca alle casse per pagare. C’è talmente tanta gente che tutto il grande magazzino sembra un serpentone di formiche, in attesa del proprio turno. Ci sono persone sedute persino sulle scalette che portano al lungo corridoio da cui si accede ai servizi. Siedono lì impassibili: sugli scalini hanno disposto alcuni preziosi e minuscoli manufatti in vetro soffiato, come se li esponessero per venderli. Quelli che nell’attesa sono costretti a far uso dei servizi passano sopra agli oggetti sistemati a far mostra di loro stessi, li calpestano, li rompono, rimane solo polvere di vetro, ma gli altri non ci fanno caso, quando devono scorrere verso la cassa, raccolgono la polvere e la pagano senza battere ciglio. Intanto, gli insetti tentano la scalata ai gradini. In alcuni punti, c’è un pantano di scarafaggi pestati mischiati al vetro, un magma appiccicoso e scricchiolante, eppure per i clienti sembra tutto normale.
“Già”, mi dico,” A chi vuole che importi?”
La signora insiste: «Tuttavia, se lei ritiene la cosa rilevante, forse dovrebbe rivedere le sue priorità» sorride accondiscendente, con una tenerezza pietosa che non capisco.
«Priorità?» domando io.
Vorrei proseguire e chiedere cosa c’entrino le priorità, ma un grosso ragno esce da non so dove. Penso che sia un’illusione, intanto quello ha iniziato a tessermi un bozzolo addosso. Il serpentone di formiche continua a muoversi verso le casse e gli occhi impietosamente azzurri della signora-ragazzina mi guardano pacati, un cielo limpido, un mare calmo.
Il ragno tesse la tela. Vorrei muovermi, eppure sono ancora convinta che non sia possibile, che sia solo un sogno, una fantasia, un incubo. “Se veramente un enorme ragno giallo e nero mi stesse imbozzolando con la sua tela, di certo, qualcuno direbbe qualcosa!”, rifletto, mentre comincio a non vedere più niente. La tela è giunta agli occhi. E, prima di perdere conoscenza, con l’ultimo barlume di lucidità che mi rimane, penso: “Be’, suppongo di non aver passato il colloquio di lavoro.”
Copertina Doctor Tale & Mister Shot
Kafkiano.
Grazie, Maurizio, per aver letto il racconto e per il commento lasciato! Onorata dell’accostamento! 🙂