I primi ad accorgersene, quel sabato mattina, furono i coniugi Cutrufo del terzo piano, in procinto di recarsi dai suoceri per il fine settimana. Il signor Cutrufo aveva dimenticato di parcheggiare l’auto sotto casa, invece che nel garage, come la moglie gli aveva chiesto, e ora si stava sorbendo il meritato rimprovero. Era una dimenticanza di poco conto, a cui si poteva rimediare facilmente. Ma la signora Cutrufo, anche di fronte a un peccato veniale, non si lasciava sfuggire l’occasione per una reprimenda coi fiocchi e attingendo senza scrupoli dal paniere, per lei stracolmo, delle pregresse colpe del marito, era andata avanti per un pezzo a enumerare i torti del pover’uomo con il suo tono calmo ma glaciale. Lui la guardava mortificato: sua moglie raramente aveva torto, lo riconosceva, e sotto la gragnuola di accuse non sapeva far altro che chiedere scusa, abbassando lo sguardo. Purtroppo quell’atteggiamento remissivo esasperava la moglie, che disprezzava la sua arrendevolezza, e forniva nuovo carburante alla sua animosità.
Finalmente la donna si era tacitata e l’aveva spedito a spostare l’auto, mentre lei continuava a preparare le valigie. Finché passando in ingresso, attraverso la porta di casa rimasta socchiusa, non l’aveva visto immobile sul pianerottolo, a fissare il nulla con la bocca spalancata. La cosa l’aveva fatta imbestialire e aveva perso il consueto aplomb. Si era precipitata fuori dell’appartamento.
– Ma che diavolo aspetti, pezzo di defic…
Poi si bloccò anche lei come un’idiota davanti alla porta dell’ascensore. O meglio, davanti al punto in cui ci sarebbe dovuta essere la porta dell’ascensore, perché in realtà la porta era sparita. La ringhiera, che fino al giorno prima, nel tratto orizzontale a protezione del pianerottolo, s’interrompeva per permettere l’accesso all’ascensore, era tornata integra, con il grazioso motivo in ferro battuto che aveva ritrovato la sua originaria continuità.
Si affacciarono entrambi, guardarono in basso, e poi, sempre più stupefatti, in alto: niente, dell’ascensore non c’era più traccia! Era tornata la vecchia tromba delle scale di quando Gianni Cutrufo abitava in quella casa con i suoi genitori. In alto si rivedeva il vecchio lucernario e l’uomo sentì il cuore stringersi per la nostalgia. Si ricordò di una volta in cui da bambino era sfuggito alla sorveglianza della madre ed era salito fin lì. Dalla vetrata era riuscito a sbirciare oltre l’alto muro di cinta che circondava il giardino della villa vicina, per lui un luogo misterioso e inaccessibile, ed era riuscito a vedere… Cosa? Non se lo ricordava più, ma indimenticabile era rimasta l’emozione provata, in cui l’eccitazione per la scoperta si mischiava alla paura per la trasgressione. Ora sarebbe potuto risalire, e affacciarsi di nuovo verso…
La signora Cutrufo non riuscì a reprimere un nuovo moto d’ira a vedere il marito guardare il lucernario imbambolato e lo strattonò per un braccio. Si sentì esasperata dall’inettitudine di quell’uomo. “Nessuno mi toglie dalla testa”, pensò, “che se fossi andata io, a chiamarlo, l’ascensore sarebbe stato al suo posto”.
– Bisogna fare qualcosa; chiediamo ai Beltramelli.
E andò a bussare ai loro dirimpettai. Il signor Cutrufo la seguì sospirando. Solo a ore di distanza, con suo grande stupore, si ricordò il suo primo pensiero, quando si era sporto a guardare in basso nella profondità adesso libera della tromba delle scale: se ci fosse precipitata, sua moglie difficilmente sarebbe sopravvissuta.
Elisa Beltramelli era una donna dal carattere amabile e dispensava ai suoi condòmini sorrisi e parole gentili, ricavandone in cambio manifestazioni di più o meno cortese indifferenza. Si rallegrò vedendo nello spioncino il volto della sua vicina, da cui non era mai riuscita a ottenere che un gelido buongiorno, quando s’incontravano. Sperò fosse rimasta a corto di qualcosa: magari una tazza di zucchero o di farina, elargita di buon grado, avrebbe reso meno acidi i loro rapporti. Si affrettò ad aprirle.
– È successo qualcosa di davvero deplorevole! – disse la signora Cutrufo con tono lugubre, indicando la tromba delle scale.
La signora Beltramelli seguì lo sguardo della vicina e non riuscì a reprimere un’esclamazione di sorpresa.
– Oh madre di Dio! Enrico, vieni subito!
– Cosa è successo, sta male qualcuno?
Il signor Beltramelli si affacciò alla porta e sbiancò. Anche lui si precipitò a controllare verso l’alto e verso il basso e rimase basito. Ma non era uomo da mostrarsi pavido e, benché ovviamente la scoperta l’avesse scosso profondamente, mantenne il suo sangue freddo.
– È davvero incredibile; forse gli ingranaggi da un po’ facevano più rumore del solito, vero Elisa?
La donna si affrettò ad accennare di sì.
– Avevamo giusto deciso di parlarne con l’amministratore, ma da qui a sospettare un fatto del genere… E deve essere successo stanotte, perché ieri sera l’abbiamo preso tornando dal cinema, giusto Elisa?
Di nuovo la donna annuì.
– Cosa pensa dobbiamo fare? – chiese la signora Cutrufo.
Il signor Beltramelli, ufficiale dei carabinieri in pensione, si sentì investito della responsabilità che il suo ruolo gl’imponeva e fu pronto a rispondere.
– Bisognerà avvisare l’amministratore. Gli chiederemo di convocare una riunione di emergenza. Sì, non c’è altro da fare. La scomparsa di un ascensore, converrete con me, non è cosa da prendere sottogamba.
La riunione fu convocata per le 18 di quel giorno e tutti aderirono prontamente. Tutti, tranne ovviamente Cordini e Gessetti, gli inquilini dei due appartamenti del primo piano. Quando era stato deciso di installare un ascensore, loro si erano rifiutati di partecipare alla spesa, sostenendo che non ne avrebbero fatto uso. Dopo riunioni e discussione infinite, l’assemblea aveva deciso di accordare questo privilegio ai due, che erano usciti dall’ultima riunione gongolanti. Con notevole disappunto avevano poi scoperto che, per ripicca, i condòmini avevano deciso di non prevedere una fermata al primo piano: l’ascensore transitava direttamente dal pian terreno al secondo, sfilando senza rallentare davanti alla balaustra intatta del loro pianerottolo. La storia, se da un lato aveva cementato una complicità imperitura tra Cordini e Gessetti, aveva creato un dissidio insanabile tra loro e gli altri condòmini. Avevano smesso di salutarsi in quell’occasione e non avevano più ripreso.
Quella mattina, Cordini era uscito di casa sovrappensiero e solo al pian terreno aveva notato allibito l’assenza della porta. Guardando in su, si era reso conto che l’ascensore si era volatilizzato; aveva citofonato all’amico.
– Affacciati alla tromba delle scale: non crederai ai tuoi occhi!
Gessetti fece come diceva l’amico e rimase sbigottito. Tornò in casa.
– Ma come è possibile?
– Non ne ho la più pallida idea, ma dobbiamo festeggiare, non pensi?
– Certo! – rispose allegramente l’amico, – quale migliore occasione! Prendo la giacca e scendo.
Le riunioni condominiali si tenevano in una delle cantine del palazzo gentilmente messa a disposizione dal signor Ugelli, un divorziato che abitava al secondo piano, perché era la più spaziosa. Gentilmente, mormoravano gli altri condòmini, si fa per dire: il signor Ugelli in cambio aveva ottenuto una lauta riduzione della quota fissa condominiale, cosa che a molti non andava giù.
I primi ad arrivare furono l’architetto Andreucci e l’avvocata Valsise, sua moglie. Erano i più preoccupati per l’accaduto: l’avvocata era al quinto mese di gravidanza. Abitavano al quarto piano e se si fosse stabilito che quella perdita era irreversibile e non si rimediava rapidamente, non c’erano alternative: dovevano traslocare, e anche alla svelta. Poi arrivarono i Beltramelli e i Cutrufo, che avevano rimandato la partenza, e subito dopo il signor Ugelli e la sua dirimpettaia, la dottoressa Gardini, vedova dell’ingegner Castroni. Per ultimi arrivarono i Gualtieri, l’altra coppia del quarto piano, sempre gentili e disponibili con tutti, visto che il chiasso dei loro tre figli, in quella palazzo in cui solo loro avevano bambini, li rendeva estremamente impopolari. Si andarono a sedere vicino agli Andreucci, gli unici, per ovvi motivi, ad essere comprensivi con loro.
L’amministratore Orlandini entrò in ritardo, come suo solito, e di furia, con i capelli in disordine, il nodo della cravatta allentato, la giacca stazzonata e il solito fascio di fogli più o meno spiegazzati. Ma ormai quell’aria indaffarata non imbrogliava più nessuno: i condòmini avevano capito da un pezzo che l’amministratore dedicava a quel palazzo un’attività irrisoria e quell’aria di lavoratore indefesso risultava, ormai, solo indisponente.
– Signore e signori, vi ringrazio di aver aderito prontamente alla mia richiesta. Non ho bisogno di sottolineare quanto l’accaduto sia estremamente increscioso. Vi pregherei di non farne parola con nessuno, finché non appuriamo come sia potuta capitare una cosa del genere. Capirete bene che ne va dell’onorabilità del palazzo, senza menzionare la mia reputazione come amministratore. Credo dovremmo informarci se analoghe sparizioni siano successe altrove. Ho appena fatto una ricerca su Internet, ma nelle cronache cittadine non si menziona nulla di simile. Può essere però che anche gli altri condòmini abbiano preferito tacere, quindi dovremmo cercare informazioni di prima mano, con la massima discrezione, mi raccomando, senza far trapelare indizi che possano indurre sospetti.
Serpeggiò un mugugno indistinto tra i condòmini. Ma che razza di amministratore avevano, non sapeva neanche rendere conto della sparizione di un ascensore e per di più chiedeva a loro di fare indagini al riguardo? E lo pagavano pure salatamente! Il mormorio andava crescendo, finché non si alzò la dottoressa Gardini. Il consesso ammutolì: la donna godeva di prestigio un po’ perché era medico, cosa che le conferiva un’autorevolezza da lei stessa considerata incomprensibile, un po’ perché aveva sempre un atteggiamento pacato e ragionevole, e quando proponeva una soluzione, era in genere saggia, e più di una volta era stata in grado di stemperare gli asti tra gli inquilini.
– Questa sparizione è sicuramente inquietante; se non fossi una persona di scienza, penserei ad un segno divino, o peggio ancora, demoniaco.
Un’esclamazione di spaventato serpeggiò tra i condòmini.
La donna sorrise e alzò la mano, come a tranquillizzarli.
– Ma, come ben sapete, non credo a queste cose. Ho riflettuto a lungo e penso che dovremmo cercare in noi stessi la possibile causa di questo strano evento. Forse dovremmo fare un esame di coscienza e chiederci: potrei essere io colpevole dell’accaduto? Ho nulla da rimproverarmi al riguardo? Io penso che anche gli oggetti abbiano una dignità e che debbano ricevere il nostro rispetto, quello stesso rispetto da troppo tempo lesinato alla natura. Se avessimo avuto un comportamento più attento verso tutto ciò che ci circonda, avremmo forse potuto evitare gli scempi ora sotto i nostri occhi, che purtroppo continuiamo a perpetrare. Io vedo in questa sparizione un richiamo ad un comportamento più responsabile. La natura ci manda quotidianamente segnali delle conseguenze delle nostre condotte dissennate. Credo che ora anche le opere dell’uomo si stiano ribellando. E di questo non possiamo non ritenerci responsabili.
I condòmini si guardarono l’un l’altro, stupiti, poi qualcuno abbassò lo sguardo. A cominciare dall’amministratore. Certo, i controlli sulla sicurezza dell’ascensore venivano effettuati, ma da quando non faceva riverniciare le ante delle porte? Per non parlare del sedile richiudibile, rotto da anni, la cui riparazione veniva regolarmente procrastinata. Anche i Gualtieri si guardarono imbarazzati: sapevano bene che i loro figli avevano il vizio di attaccare le gomme americane masticate sulla parte nascosta del tettuccio, ma per ignavia non li avevano mai sgridati. Quante se ne erano accumulate, ormai, negli anni? Il signor Beltramelli si guardò la punta delle scarpe: aveva lasciato che i trasportatori caricassero sull’ascensore il divano nuovo, e pazienza se il pavimento si era graffiato indelebilmente. E la signora Cutrufo, quante volte aveva sbattuto violentemente la porta dell’ascensore dopo un litigio con il marito, scaricando sul povero marchingegno la rabbia che la sua educazione rigida le impediva di sfogare a parole?
Elisa Beltramelli alzò timidamente la mano. Era forse l’unica a non aver nulla da rimproverarsi ed era più di tutti dispiaciuta per la scomparsa dell’ascensore. Durante tutti quegli anni, l’aveva percepito come una presenza fraterna e alleata e gli era sinceramente riconoscente per i suoi servizi, tanto che, da animo gentile quale era, ogni volta che saliva con qualche borsa della spesa particolarmente pesante, gli rivolgeva un tacito ringraziamento. Era forse l’unico amico che sentiva di avere in quel palazzo.
– Ma non tornerà più, l’abbiamo perduto per sempre?
La dottoressa Gardini le sorrise e poi si strinse nelle spalle.
– Chi può dirlo? Potrebbe essere solo un avvertimento, oppure un abbandono definitivo…
Dopo alcuni minuti di silenzio, l’amministratore riprese la parola.
– Bene, aspetteremo qualche giorno; se la situazione non cambierà, mi attiverò per trovare una ditta che installi un nuovo ascensore. E che questa storia sia d’insegnamento per tutti!
Finita la riunione, il signor Beltramelli invitò la moglie a fare due passi. Voleva offrirle un gelato, perché la vedeva angustiata per la sparizione dell’ascensore, anche se a lui quell’attaccamento al macchinario era sempre sembrato un po’ esagerato. Arrivati in strada scorsero, poco lontano, i signori Grillo, una coppia della loro stessa età, con cui avevano fatto amicizia al supermercato. I due avevano parcheggiato l’auto davanti al vialetto che conduceva alla loro palazzina e ora stavano scaricando un cospicuo numero di borse della spesa, tutte belle rigonfie. I Beltramelli ebbero una reazione spontanea di commiserazione: l’edificio in cui i Grillo abitavano era uno dei pochi della strada privo di ascensore. Ma immediatamente si resero conto che quel sentimento non aveva più ragione di esistere. Mossi da una nuova solidarietà, si avvicinarono, pronti ad offrire il loro aiuto per trasportare tutto quel peso.
– Buonasera, come va?
– Oh, buonasera carissimi! Sì, tutto bene, e voi?
– Non ci possiamo lamentare. Ma lasciate che vi aiutiamo a portare la spesa in casa.
– No, no, grazie, gentilissimi, ma vi assicuro, non ce n’è bisogno.
– Ma sì, non posso permettere che la signora si carichi in questa maniera.
– La ringrazio, ma non s’incomodi, ce la faccio benissimo.
– Ma davvero, sarebbe un piacere.
– Le dico di no, e smetta d’insistere.
Il tono era improvvisamente diventato aspro e il sorriso era scomparso dalle labbra del signor Grillo. Il signor Beltramelli era rimasto senza parole.
– E ora scusate, ma abbiamo molta fretta.
I due si caricarono le borse e ostentando un’andatura disinvolta, che doveva costare loro un enorme sforzo, si avviarono verso il loro portone.
I Beltramelli rimasero sul marciapiede, esterrefatti.
– Ma sono sempre stati così maleducati? – chiese la donna.
– No, non mi sembra proprio, in genere sono molto gentili, – rispose l’uomo.
Ripresero a camminare, meditabondi, ma dopo qualche minuto il signor Beltramelli si fermò di botto, colto da un sospetto.
– Aspetta, voglio controllare una cosa.
– Ma cosa? – chiese la moglie.
– Vieni con me.
Tornò indietro, percorse i pochi metri del vialetto della casa dei vicini e si affacciò a guardare l’ingresso del palazzo attraverso il portone di vetro. Gli sfuggì un’esclamazione di stupore: attraverso i vetri era perfettamente riconoscibile la porta di un ascensore. E quando l’avevano installato? Non c’erano stati lavori in quel palazzo, se ne sarebbero accorti. Si attaccò al citofono suonando vigorosamente.
– Ma chi è? – rispose la signora Grillo.
– Sono Beltramelli. Devo controllare il vostro ascensore, mi faccia entrare.
– Ma cosa vuole controllare? Pensi ai fatti suoi e ci lasci in pace.
E riattaccò. La brusca risposta non fece che confermare i sospetti di Beltramelli. Suonò ad altri citofoni. Un nugolo di “Sì?”, “Chi è?”, “Chi cerca?” si sprigionò dal rettangolo metallico, finché qualcuno, aprì senza aspettare risposta. I due entrarono e subito si fermarono sbalorditi. La porta dell’ascensore, di vetro e acciaio, sembrava identica a quella che era stata nel loro ingresso. Il signor Beltramelli andò a pigiare il pulsante della chiamata e l’apparecchiatura si mise in moto. Anche il rumore degli ingranaggi suonò familiare. Infine l’ascensore arrivò al piano e l’uomo aprì le ante. Lo specchio un po’ opacizzato, il sedile rotto, la vernice scrostata: era il loro ascensore, non c’era alcun dubbio. Impossibile non riconoscerlo. La signora Beltramelli si commosse e passò con delicatezza una mano sulla cornice dello specchio.
– Quante volte mi ci sono guardata, prima di uscire in strada!
“Spero che qui ti trattino meglio”, pensò, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Il marito, al contrario, era furibondo.
– Ecco spiegato l’arcano. Ma non la passeranno liscia. Dobbiamo fare qualcosa. Non accetteremo di dover pagare una seconda volta per lo stesso servizio che loro hanno avuto gratis!
– Ma caro, aspetta, pensiamoci bene. In fondo è un vecchio ascensore: l’avremmo dovuto sostituire nel giro di pochi anni, l’abbiamo sempre saputo. E loro pensano di aver fatto un grosso affare, ma dovranno presto ricredersi. E poi, come dice l’amministratore, non faremmo una bella figura se si viene a scoprire questa storia, che neanche gli inquilini di questo condominio tengono a divulgare, come il comportamento dei Grillo ha dimostrato. Forse è meglio lasciar correre, non credi?
– Ma qualcun altro se ne accorgerà, prima o poi.
– Certo, certo, ma perché dobbiamo essere noi ad accendere questo scandalo? Lasciamo perdere. Vieni, andiamo a casa.
– D’accordo, faremo come dici. Sì, è meglio non suscitare clamore.
Richiusero la porta dell’ascensore e poi si avviarono verso il portone. Prima di uscire, la donna si voltò un’ultima volta e accennò un sorriso e un timido cenno di saluto, ben attenta a non farsi scorgere dal marito.
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Fiorella Malchiodi Albedi scrive racconti, alcuni dei quali sono apparsi su riviste online. Nel 2015, un suo memoir è stato selezionato per una serata di 8×8. La sua prima raccolta, con il titolo di Caldo cosmico, è uscita nel 2018 per Eretica edizioni. Il racconto “Caldo cosmico” è stato finalista al premio Zeno 2019. Con “Le donne di P.” ha vinto il TOMO contest 2021 per racconti di fantascienza. In autunno è uscito Il nome scomparso, il suo primo romanzo (edizioni Bookabook).