Calore, imm. Erika Romano

Calore

Un altro giorno di duro lavoro stava finalmente per concludersi, il museo era vuoto e chiuso da mezz’ora. In quella afosa giornata estiva i visitatori erano stati pochi e svogliati, nonostante l’invitante aria condizionata. A chi chiedeva di abbassarla, veniva risposto che non era possibile e serviva al mantenimento dei reperti. Il professore non sopportava il calore già da qualche anno. In quei giorni se ne stava il più possibile rintanato lì dentro, dove poteva controllare la temperatura. Non era preoccupato, sapeva che in quella stagione la gente preferiva trascorrere il tempo in spiaggia. Bisognava aspettare almeno un altro paio di mesi e l’inizio delle piogge per rivedere pieno quel luogo. Gli piacevano i ragazzini che rimanevano a bocca aperta nella sala centrale, dove stava passeggiando per controllare che non fosse rimasto nessuno.
Si soffermò un istante sull’enorme scheletro che aveva davanti, saltò la protezione e accarezzò un osso che secondo la targa sul muro vicino doveva avere diverse migliaia di anni, sorridendo con affetto. Con la stessa circospezione si spostò verso il ripostiglio, vicino alla sala dei manoscritti, la meno frequentata nonostante gli sforzi del direttore di renderla interessante. Si assicurò di aver chiuso bene la porta alle sue spalle, spostò una scopa e aprì l’anta dell’armadio. Vuoto. Pose le mani sul fondo di metallo tastandolo fino a sentire un rigonfiamento. Premette. L’armadio si mosse appena rivelando una fessura ristretta. Ogni volta che ci si doveva infilare si rammaricava delle limitate dimensioni del passaggio, ma era quello che aveva ereditato dai suoi predecessori. D’altronde era impossibile allargarlo senza essere scoperti.
Con un certo disagio – era ingrassato parecchio nell’ultimo anno e quel tunnel ogni volta glielo ricordava – entrò nella fessura e richiuse l’apertura clandestina, per non lasciare tracce.
Dopo qualche metro il tunnel si allargò permettendo al professore di respirare. Percorse un lungo corridoio illuminato da lampadine penzolanti. Iniziò a fischiettare il motivo di Everything’s alright mentre attraversava sicuro una serie di incroci con altri sentieri. Non conosceva tutti gli sbocchi e rifletté su come quel luogo sembrasse un labirinto. Un topo squittì, attratto dalla musica che rimbombava nei corridoi vuoti.
Il professore ci mise una mezz’ora. Più del solito ma se la stava prendendo comoda. In fondo era uno straordinario.
La porta era rossa e massiccia. Mentre digitava il codice dal tastierino numerico e premeva il pollice sul display delle impronte digitali si era spesso domandato quanto sarebbe stato difficile scassinarla. Tutto dipendeva dal numero di secondi che sarebbero serviti a ladri ben motivati. I sistemi di sicurezza scattavano dopo tre minuti, lo sapeva. Come tutti quelli che lavoravano lì. Era il tempo previsto per disattivarli, poi sarebbe arrivata la vigilanza e avrebbe freddato qualunque cosa si muovesse. La segretezza prima di tutto.
La porta si spalancò da sola, senza che lui la toccasse. Il professore la oltrepassò e questa si richiuse alle sue spalle. La stanza era spoglia, il minimo indispensabile, come al solito. Due scrivanie con i computer portatili, un lungo tavolo al centro con quattro sedie, un paio di distributori in fondo e qualche poster sbiadito appeso alle pareti. La luce al neon lo disturbava ma dopo tanti anni sapeva che presto si sarebbe abituato.
“Buonasera professore! Mi scusi, non le ho preparato nulla, mi aspettavo venisse 8323388384858448338!” lo salutò un ragazzo che si alzò di scatto quando lo vide. Era visibilmente in imbarazzo, non si aspettava una visita così importante e temeva di fare brutta figura.
“Ciao 8545439640836843939538! Ho avuto l’ordine di farti compagnia per stasera e tutto sommato mi fa piacere, sarei stato solo a casa visto che Clara è al mare coi bambini. Comunque puoi chiamarmi semplicemente 45335565433255443, evitiamo le formalità e le complicazioni tra di noi. Come mai sei da solo?”
“8323388384858448338 dice di essersi beccato una brutta influenza. Non è andato nemmeno al lavoro e se fosse corso qui all’improvviso la sua compagna avrebbe sospettato. Cose che capitano – alzò le spalle il giovane – l’ho rassicurato che l’avrei coperto io. Ma qui per quattro ore senza parlare è devastante. D’altronde il lavoro di controllo è di una noia mortale. Chissà com’era una cinquantina d’anni fa, quando la situazione non era così tranquilla”.
“Anche di più direi – annuì il professore mentre si sedeva e dava un’occhiata ai dati sul computer – pensa al culo che si sono fatti i nostri predecessori negli ultimi secoli. Quanti falsi reperti, teorie inventate di sana pianta. Quante persone sono state indottrinate. E poi Charles!” Spinse i piedi sulla gamba del tavolo e lasciò che le rotelle ai piedi della sedia scorressero libere, spostandosi nella stanza in un impeto di sincera ammirazione. Si divertiva con i nuovi, avevano fame di informazioni e lui era capace di parlare per ore di quegli studi. Ci si era dedicato per tutta la vita. Poteva condividere la verità soltanto con pochi fortunati, era costretto a raccontare cazzate colossali ai suoi studenti.
Il ragazzo ridacchiò delle evoluzioni dell’altro, quindi infilò una cialda nella macchina del caffè: “Oh Charles, bella invenzione davvero! Senza di lui non saremmo mai arrivati a questi risultati. Pensa sia stato il migliore dei nostri?”.
Il professore annuì. “Ancora mi risulta difficile credere che il mondo si sia bevuto la storia di un tipo che passa anni sulle isole a guardare tartarughe e da lì intuisce. Se uno dei nostri mi proponesse una roba del genere oggi lo prenderei a calci, convinto che un’idea così ci farebbe scoprire!”.
“Magari in quegli anni era più facile far passare una storia del genere. C’era voglia di conoscenza e già con l’illuminismo si erano gettati i semi” continuò il ragazzo, impaziente di far sapere che aveva studiato la lezione.
“Eh si, anche Denis aveva fatto il suo con l’Encyclopedie. Più avanti fu facile mischiare i veri progressi della scienza con le nostre teorie, era un periodo in cui tutto sembrava nuovo, immagina cosa dev’esser stato vivere ai tempi della Rivoluzione industriale o ancora più tardi, tra il caro Charles e quell’altro vecchio pazzo di Sigmund. Dopo di loro è stato tutto più semplice, avevamo vinto definitivamente”.
“Detta così sembra facile – aggiunse il ragazzo porgendo una tazza di caffè al suo interlocutore – ma di lavoro dietro le quinte ce n’è stato davvero tanto. Tutta gente di cui non ci rimane nemmeno il nome”.
“Come noi – il professore strappò una bustina di zucchero e la rivoltò nella tazza – tantissimi anonimi. Tutti quelli che hanno creato e seminato per tutto il mondo finti reperti archeologici, ad esempio. Per dimostrare l’evoluzione. O i dinosauri”.
Il giovane infilò una moneta nel distributore e scelse una barra di cioccolato. “Ah i dinosauri, molto facile credere a bestioni affascinanti che incantano i bambini. Prenderli da piccoli è il sistema migliore. E’ vero che li ha disegnati un cinese?”.
“Non gli daresti uno sputo di fiducia, sembrano bravi solo a copiare. Ma se ne uscirono con quei fantastici schizzi. Il tirannosauro, il brontosauro, lo stegosauro, lo pterodattilo. I primi restano sempre i migliori, poi col tempo aumentammo la gamma, tanto ormai il mito si era creato. Anche grazie alla chicca della misteriosa scomparsa. Sono stati bravi quelli della Direzione centrale a scegliere l’idea giusta”.
“Ma si sa chi sono? Non è che voglio conoscere i nomi, solo capire se andando avanti…”
Il professore scosse la testa in segno di diniego. “Siamo gli ultimi degli ultimi e lo rimarremo, è il nostro destino – alzò le spalle – possiamo solo essere fieri del nostro contributo. Anche se si tratta di controllare dei dati. Ci viene detto tutto: studiamo la vera storia, conosciamo a memoria tutti i nomi delle grandi falsificazioni, dalla gravità al carbonio 14. Ma non ci è dato sapere di più”.
Nella rassegnazione dell’uomo, il ragazzo notò una certa amarezza. Ma non gli andava di rovinargli la serata e voleva dimostrare di aver studiato. “Eh, il C14, quello sì che ci ha dato una bella salvata!”
Il professore posò la tazzina e ridacchiò. Il suo sguardo era più luminoso. “Li abbiamo fregati per poco quelli della Chiesa!”.
“Dev’essere stato un brutto colpo quando hanno trovato la Sindone, avrebbe potuto fare la differenza. Fino ad allora tutte le dimostrazioni dell’esistenza di Gesù le avevamo distrutte o falsificate, ma quella sarebbe stata la fine. Bastò la magia del C14 e zak! Un telo del primo secolo diventa medievale. Scacco matto e partita finita, tonache nere!”
“Anche in passato ce la siamo vista brutta. Pensa a come abbiamo sputtanato quel traditore di Galileo, aveva rivelato tutto. Fortuna che la Chiesa non fu brava a sfruttare le informazioni, riuscimmo a farle passare per scelta obbligata. Fu il momento in cui siamo stati più vicini al fallimento”.
“Si mormora fosse pagato per dire che la terra girasse attorno al sole, eravamo già così strutturati come ora?” chiese 8545439640836843939538 mordendo il cioccolato.
L’altro poggiò la tazza sul tavolo e spinse di nuovo la sedia con le gambe, facendola scivolare verso una delle due scrivanie. “Beh, eravamo meno esperti e più rozzi, ma sì, già esistevamo. Che poi sulla bugia della Terra tonda dovemmo affrontare una miriade di problemi, sia prima che dopo Galileo. Pensa a quei coglioni della NASA, sono dovuti andare per forza sulla luna per far vedere che ce l’avevano più grosso dei russi, ma poi dalle foto si vedeva che la terra era piatta. Non c’era la tecnologia di oggi per i fotomontaggi, è successo un casino. Ancora oggi non li abbiamo superati, come per la storia delle ombre di Armstrong”.
Il segnale del professore era chiaro, era ora di mettersi al lavoro. Anche il ragazzo si sedette. “Certo che la gente si beve di tutto”.
“C’è da dire che abbiamo svolto un ottimo lavoro con il metodo scientifico. Tutto è ripetibile… ammesso che si abbiano i mezzi per poterlo far ripetere. Di certo l’uomo comune non può fare analisi al C14 o comprare telescopi da milioni di dollari. E poi c’è il discorso dei falsi”.
Il ragazzo annuì entusiasta prima di affondare la testa nello schermo luminoso. “I presunti truffatori, le teorie complottiste e tutto il resto”.
“Esatto. In questo modo noi, la versione ufficiale, sembriamo più rassicuranti”.
Il ragazzo si voltò verso l’altro più esperto. Avrebbe iniziato a segnare i dati, ma la domanda l’aveva dentro da tempo, erano notti che non ci dormiva. Non se la sentì e sviò su altro. “E’ con questi espedienti che ce l’abbiamo fatta? Le falsità della scienza hanno vinto sulla verità della Chiesa?” Nonostante sapesse tutto, gli sembrava strano dire per intero quell’ultima frase.
Il professore alzò le spalle di nuovo, ma rimase con gli occhi incollati al computer. “E chi lo sa, 8545439640836843939538! Secondo me il motivo per cui li abbiamo fottuti sta nel fatto che alle persone piacciono le suggestioni esotiche, il fascino del mistero. Ci abbiamo sempre giocato, come dicevamo prima con i dinosauri. Non ti pare semplice e scontata come spiegazione: Dio creò il mondo in sei giorni e il settimo si riposò? E che tutto è sempre stato uguale, la terra è piatta e via dicendo? Gli esseri umani hanno bisogno di sapere che c’è stato un lavoro antico, a volte interrotto e sofferto dietro di loro. Un lungo processo di miglioramento, per sentirsi perfetti. Se sapessero di esser sempre stati così, tali e quali, non proverebbero soddisfazione, non penserebbero di meritare la loro posizione di privilegio rispetto alle altre creature. Un percorso di milioni di anni non lineare, con momenti oscuri e da chiarire, significa essere protagonisti di un racconto d’avventura che prosegue da millenni”.
Il ragazzo sembrava sempre più preoccupato, ma evitò ancora quello che voleva chiedere davvero. “Ormai è finita, abbiamo vinto!”
“C’è sempre da tenere la guarda alta però, non dimenticarlo. Le tonache nere non si arrendono facilmente, anche se ora sono ai minimi storici. Per noi è tempo di routine, sono finiti i tempi di Lucy e delle grandi trovate del nostro settore. Sta ad altri dare il colpo di grazia. Gli antropologi sono sulla buona strada con il discorso delle società matriarcali e soprattutto delle divinità primordiali femminili. Da quando Dan ha scritto quella paraculata di libro sono teorie alla moda. Il vero punto di forza ormai ce l’hanno i fisici. Pensa alla Particella di Dio. Manco so cosa cazzo sia, e come me la maggior parte delle persone. Ma basta il nome, scommetto che quando l’hanno saputo al Vaticano qualcuno c’è rimasto secco”.
Risero assieme e iniziarono a controllare i dati. Il giovane però non era tranquillo, ancora aveva un quesito irrisolto. Si fece coraggio. “Ma se la Chiesa dice il vero, oltre alla Terra piatta e all’origine degli esseri umani ci sono tante altre cose da ripensare. Ad esempio la morte…” Non fu in grado di continuare.
Il professore staccò gli occhi dal computer e rimase per un istante in silenzio. La luce del monitor gli illuminava parte del viso. “Si, ho capito che vuoi dire. Lo stronzo con le corna e la coda. Ci pensiamo tutti qui dentro, proprio come te, anche se non amiamo parlarne”.
Il ragazzo sospirò. Ultimamente cercava di resistere al sonno nel timore di avere gli incubi. Sperava che l’inferno non fosse come quello dei suoi sogni. “Nei libri che mi sono stati dati non se ne parla mai, quanto dobbiamo preoccuparci?”
“Con le moderne tecnologie siamo riusciti a scoprire qualcosa, anche se dovremo attendere un paio d’anni per avere delle conferme. Una sonda è arrivata al centro della terra e quel che ha registrato non è per niente rassicurante”.
Il buon umore si era dissolto in un istante. La camera divenne improvvisamente angusta e sia numero 45335565433255443 che numero 8545439640836843939538 desiderarono scappare via il prima possibile. Fortunatamente a quella profondità la temperatura era bassa anche d’estate. Entrambi pensarono che non era male avere i brividi di freddo sulla pelle ancora per un po’.

 

Immagine di Erika Romano

4 pensieri su “Calore

  1. Eccomi, come promesso, a commentare.
    L’idea dietro il racconto mi stuzzica molto, belle le singole trovate e il tutto mi pare ben strutturato e stilisticamente non troppo complesso ed efficace. Chiaramente nello spazio di un racconto breve non è facile spiegare tutta la situazione dietro questo mondo parallelo e mi sembra che tu ci sia riuscito in maniera abbastanza fluida, senza farlo sembrare troppo uno spiegone (il fatto che il ragazzo chieda al professore “com’era un po’ di tempo fa” riduce l’effetto di sentir parlare lo scrittore in favore del dialogo dei personaggi). Fosse stato un romanzo, sarebbe stato interessante svelare il sistema di indottrinamento capitolo dopo capitolo e dettaglio dopo dettaglio. Ma appunto è un racconto e la parte centrale è un’idea forte e paradossale più che i personaggi in sé.
    L’unica cosa che un filo mi stona è una sorta di lieve effetto partigianeria dietro all’impianto del racconto. Non che sia una cosa negativa in sé (di fatto è un po’ lo scopo finale del racconto, esporre un’opinione), è che una volta svelato che la spiegazione scientifico-razionale del mondo è tutta falsa, mi sarebbe piaciuto andare a finire in qualche “terza via” del tutto inaspettata, o al contrario esasperare ancora di più il discorso delle verità della Chiesa, a favore del paradosso (esistono milioni di diverse spiegazioni e sfumature di senso, religiose/spirituali e non, ma tutto si riduce, così come in effetti e in modo miope succede, a una guerra fra due fazioni, la “scienza atea” e la “Chiesa”). Non so, sarei andato ancora di più a esasperare questa faida, cercando di calare di più il lettore in questa realtà: anche se è ben fatto, in certi momenti può sembrare che tu stia lì dietro a commentare e questo riduce un po’ il sense of wonder e l’illusione. Oppure me ne sarei andato per la tangente proponendo una verità ancora più assurda (ma quest’ultima forse è una cosa mia, che in effetti snaturerebbe l’intenzione del racconto).
    Però, appunto, capisco che sia anche necessaria la concisione e forse è meglio non dettagliare troppo, lasciando un po’ al lettore la responsabilità di completare il tutto.
    Comunque, chiudendo: i tempi del racconto mi sembrano ottimi e il finale mi ha strappato un sorriso, così come, a posteriori, il titolo. Ben fatto.

  2. Il racconto è intrigante, un passato ormai storia, una parte di presente che sta per diventare passato, una parte di presente proiettato in un futuro tecnologico, quesiti mai risolti, “per ora”, il tutto condensato in poche righe, nella finale sorge una domanda, questi numeri lunghi sono scritti casualmente o hanno un significato?
    Quando una persona spazia tra passato, presente, futuro, mischiando i vari stili combinandoli tra di loro, a mio parere si chiama, CONTAMINAZIONE o CONTAMINAZIONI, negli ultimi anni sono usate e sperimentate con successo in ogni materia artistica, con la musica, nel teatro, nella pittura, scultura, danza……
    Le auguro che la sua vita sia ricca di cinema, teatro, musica e tanta scrittura per riempire infinite pagine bianche.

  3. Rispondo in ritardissimo a Fabio:

    Grazie per il commento molto analitico e per i complimenti. E’ evidente che ci sia una sorta di partigianeria, ho usato il paradosso e una concezione molto dualistica (e quindi semplificata) proprio per spiegare il mio punto di vista, che è parziale. Più di altri racconti che presenterò qui a brevissimo, dove magari prevale il gusto della narrazione, in questo è evidente proprio un punto di vista netto e una “presa in giro” a tutta una serie di posizioni estremiste. Poi ovviamente, al di là della provocazione “letteraria” vale sempre il rispetto per tutti (a parte gli esagitati). Per quanto riguarda il resto, l’ho pensato come racconto breve ma non sono sicuro che sarei stato in grado di immaginare molto di più di quanto scritto, mi piace che i lettori riempiano i vuoti. Non sei il primo a dirmi che forse avrei potuto giocare di più e farlo più corposo, ma come dici tu alla fine spero di aver trovato il giusto equilibrio.

  4. Rispondo anche a Renata Marcella:

    La ringrazio per aver letto il mio racconto e lasciato un segno, una sua visione. Mi fa piacere l’abbia trovato intrigante. Per quanto riguarda i numeri no, ammetto che non hanno un significato particolare.

    Amo molto le contaminazioni, le trovo molto stimolanti. Nel mio piccolo, quando riesco in maniera non eccessivamente invasiva mi piace inserire nei miei scritti qualcosa che fa parte del mio mondo, qualche riferimento alle cose che mi piacciono, sia nei racconti che nei testi di canzoni. In questo caso ad esempio, ci ho infilato un blando riferimento a un musical, che nella mia testa però in qualche modo anticipava qualche tematica di cui poi si sarebbe parlato. Poi non so se sono riuscito più di tanto nel mio intento 🙂

    La ringrazio per il bellissimo augurio con cui mi saluta, lo spero anche io che abbia sempre la voglia e la curiosità di cercare cose nuove e lo auguro anche a lei. Per quanto riguarda la scrittura, quella al di là della qualità di ciò che scrivo, è qualcosa che viene da sola, anche se non la cerco. Non so quante pagine bianche riuscirò a riempire, sarebbe bello avere di tanto in tanto lettori attenti come lei per avere dei commenti interessanti e stimolanti, che facciano riflettere. Spero che ci seguirà ancora, grazie di nuovo!

Rispondi a Renata Marcella Capriz di Cigliè Annulla risposta

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