Distopia

Quasi quasi scrivo una distopia anch’io

Due uomini anziani, curvi sulla schiena, camminavano sul marciapiede chiacchierando fra loro. Una signora sovrappeso, avvolta in un vistoso abito a fiori, spingeva una carrozzina a levitazione. Alcuni bambini giocavano, sul marciapiede, lanciando microchip fosforescenti verso il muro. Gridavano “eliminato”, ogni volta che qualcuno arrivava troppo lungo e un chip toccava la parete.
Arrivò un’auto, parcheggiò con troppe manovre, toccò anche il marciapiede in un paio di occasioni. Ne scese una coppia di ragazzi. Lei affondava il viso in un maglione di lana sintetica, molto voluminoso. Lui metteva e toglieva le mani dalle tasche, nervosamente. Raggiunsero un portone e il ragazzo, dopo aver infilato per l’ennesima volta la mano in tasca, ne estrasse un mazzo di chiavi. A quel punto la signora con l’abito a fiori, che si trovava a breve distanza, si toccò la tempia. La copertura olografica svanì e, accanto al passeggino, apparve un operativo delle forze speciali. La scritta “Polizia” si muoveva fluida sulla divisa nera. Puntò il fucile d’assalto, un Heckler & Kock con munizioni caseless, prive di bossolo, alla nuca dell’uomo. Anche i due signori anziani si toccarono la tempia, e lo stesso fecero i bambini sul marciapiede. Scomparsa la copertura olografica, davanti al portone comparve un’intera squadra di intervento tattico. Due agenti agguantarono la ragazza di peso e la immobilizzarono a terra. Altri due fecero lo stesso con l’uomo. Il resto copriva i colleghi e sorvegliava la zona. La ragazza, con la guancia premuta sull’asfalto, piangeva, e le lacrime illuminate dai lampeggianti blu formavano, sul marciapiede, una piccola pozza.
Nel quartiere non accadde nient’altro per tutto il resto della giornata. E alle nove di sera scattò il coprifuoco. Tutti spensero le luci e avrebbero dovuto restare in silenzio, ma nell’appartamento al novantaquattresimo piano, dietro a una porta di colore verde, la piccola Nadia picchiettò sulla spalla della madre.
“Perché hanno portato via quelle persone?” chiese.
XK357-J accarezzò la testa della figlia.
“Vedi” le disse, “come ti ho già spiegato in svariate occasioni, ma già che ci siamo ti ridico un sacco di cose che sai già, così, a gratis, da quando abbiamo deciso di rinunciare alla democrazia alcune cose sono vietate. Il go-go-go-governo lo fa per il nostro bene. Anche tu, piccola Nadia, domani compirai tredici anni e dovrai prendere un nome ufficiale. Ma ora butta giù questa buonissima pillola della felicità che ci fornisce il go-go-go-governo. Sono medicine essenziali, non fanno niente di male ma ti permettono di obbedire alle direttive statali in modo ottimale. Vedrai che sarai contentissima, come me”.
“Capito mamma. E come mi chiamerò domani?”
“Penso qualcosa tipo KHJ-279. Però vediamo, magari riesco a farti inserire una vocale nel nome”.
“Grazie mamma. Sarebbe fantastico”.
“Brava bambina. E dimmi un po’, oggi cosa hai fatto a scuola?”
“Beh, alla prima ora abbiamo studiato le applicazioni militari per la pace dell’energia atomica”.
“Ah bello”.
“Sì, molto. Poi è venuto il preside e ci ha parlato due ore della bellezza del go-go-go-governo e del perché dobbiamo sempre ubbidire”.
“Meraviglioso”.
“E infine abbiamo giocato un po’. Hai presente quel bambino che è appena arrivato dalle colonie ostili? La maestra l’ha travestito da democrazia, e noi l’abbiamo inseguito e preso a calci e sputazzi per tutto il cortile”.
“Brava bimba mia. Così si fa. Ora dormiamo, che domani hai la cerimonia e dovrai dare lustro alla nostra meravigliosa società”.

Il giorno successivo, nel cortile della scuola, al termine di una sontuosa cerimonia, Nadia fu rinominata XHWJ-79. La madre, come tutti gli altri genitori, assistette all’evento tramite metavisore, senza interrompere il turno di lavoro. La bambina, dopo il pranzo in mensa, s’incamminò verso casa serena e tranquilla. Un uomo, avvolto in una tunica nera che gli lasciava liberi solo gli occhi, sussurrò qualcosa dall’angolo della strada.
“Nadia” disse.
“No. Io ora mi chiamo XHWJ-79”.
“Ok, scusa. XHWJ-79, vieni qui!”
La bambina, con lo sguardo dell’innocenza, si avvicinò per sentire meglio.
“Bambina, io so perché hanno portato via quella coppia, nel tuo palazzo”.
Nadia, che ormai si chiamava XHWJ-79, tradì interesse.
“Se mi segui, lo scoprirai”.
XHWJ-79 scosse la testa.
“Non posso” rispose. “L’ufficiale politico della scuola ci ha detto di non seguire persone sconosciute, se non hanno il sigillo del go-go-go-governo”.
“Ma io ce l’ho” rispose l’uomo misterioso. E mostrò una patacca prefetturiale.
La bambina seguì l’ombra in uno scantinato.
“Vedi Nadia, scusa, XHWJ-79, ora ti devo spiegare per bene la verità. Devi sapere che il mondo non è sempre stato come lo vedi oggi. Una volta era un luogo meraviglioso, pieno di nomi senza cifre, nel quale ognuno faceva un po’ il cazzo che voleva. A quel tempo i bambini come te studiavano le addizioni e le poesie e gli animali, non le sovrastrutture politiche o gli alzi di artiglieria. Ma poi, e ci tengo a spiegartelo in un bel monologo, c’è stato un virus, la pandemia, la guerra, la carestia, la paura, il voto polarizzato, i disordini in piazza, ancora la guerra e poi altre pandemie e carestie e peggio ancora e poi eccetera eccetera, e alla fine siamo arrivati a questo punto. Ma esiste un modo per sconfiggere il go-go-go-governo, che infatti lo sa e ci teme moltissimo”.
“Vi teme? Ma voi chi siete?”
“Noi siamo…” e l’uomo misterioso si prese una pausa. “Noi siamo… la resistenza”.
“Acciderbolina” esclamò XHWJ-79. “Ma allora devo chiamare subito l’esercito e farti arrestare. Così ci ha detto l’ufficiale politico”.
Ma l’uomo le aveva già afferrato la mano. XHWJ-79 sentì un calore strano sul palmo. L’uomo allora spinse, finché la bambina si trovò qualcosa di peloso appoggiato al petto.
“Aiuto” gridò allora. “Cos’è questo?”
L’uomo si tolse il mantello e sorrise.
“È un cucciolo di cane” disse. “Non avere paura. Non ti fa niente”.
L’animaletto prese a leccare le mani di XHWJ-79 e lei, dopo un po’ di diffidenza iniziale, lo accarezzò, istintivamente. L’uomo allora le mise in mano anche un cucciolo di gattino, e poi un coniglietto, e infine un pulcino.
“Ecco perché le forze speciali hanno arrestato i tuoi vicini” disse, mentre la bambina era assorta a coccolare i cuccioli. “Avevano in casa un sacco di questi animaletti pucciolosi”.
“Non capisco” disse XHWJ-79.
“Tu non hai mai visto un cucciolo perché sono illegali. Il go-go-go-governo li ha vietati ormai quindici anni fa. Chi comanda il paese aveva capito che questi esserini tenerosi sono moltiplicatori di empatia, ammorbidiscono gli animi, cambiano la chimica del corpo. Annullano perfino l’effetto delle schifose medicine che vi fanno prendere. Ma noi, la resistenza, li stiamo allevando. Abbiamo laboratori clandestini ovunque, dove facciamo riprodurre cani e furetti, gatti e anatre; insomma, moltiplichiamo ogni tipo di animale coccoloso. Stiamo invadendo la città di cuccioli, non ci possono più fermare, il primo pezzo del domino è caduto, e tutti gli altri faranno la stessa fine”.
L’uomo sparì nel buio, lasciando XHWJ-79 con il gattino appollaiato in testa e il cagnolino che le stava leccando il collo, mentre il pulcino e il coniglietto correvano a destra e sinistra in equilibrio precario, ribaltandosi di lato.
Dopo un tempo che le sembrò infinito, XHWJ-79 si rese conto che aveva fatto tardi. Si infilò un cucciolo in ogni tasca del cappotto e uscì in strada. Piovigginava, ma una pioggia leggera che non le dava fastidio. Anzi. Osservò i palazzi, le auto, poi le donne e gli uomini in divisa che camminavano di fretta sul marciapiede. Tutto le sembrava diverso. Passò un bambino vestito da democrazia, coi compagni che lo rincorrevano per sputazzarlo, e XHWJ-79 provò per lui una sensazione nuova, non piacevole, all’inizio. Ma non la contrastò. Sentì l’istinto di aiutarlo e fece lo sgambetto al più veloce fra i suoi inseguitori, che cadde al suolo battendo i denti.
Quando più tardi l’ufficiale della prefettura la caricò sul furgone blindato – era in stato di arresto, ormai aveva tredici anni – le chiese di convalidare l’identità. Una piccola folla si era riunita e osservava la scena. La bambina era in piedi, dritta, con gli occhi lucidi e lo sguardo fermo. I cuccioli stavano facendo capolino dalle tasche. Ognuno si lamentava, forse per la fame, forse per il freddo, col proprio verso.
“Confermi di essere XHWJ-79?” domandò l’ufficiale, mentre cercava di afferrare i cuccioli.
La bambina fece un grande respiro, poi rispose fiera: “Il mio nome è Nadia”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *