“La supposizione è la madre di tutte le cazzate”
Marcus Penn, Rocky Mountains, 1995
L’acqua salata lambisce i piedi del ragazzo. La pelle bianca, gambe e caviglie, bianche, di quel colore livido di chi, al mare, prima non c’era mai stato. Un cocktail in mano. Sotto al tetto di frasche un uomo dai muscoli neri, opachi, taglia noci di cocco, un movimento secco del machete e poi subito il rhum, in abbondanza, e le cannucce. È tardo pomeriggio, ma da queste parti il sole tramonta presto, poco male, le serate prevedono sempre qualcosa di interessante. Sei mesi prima il ragazzo guardava un tramonto dai colori simili, ma smorti: era il paesaggio a non essere così gradevole.
Corsico, periferia sud-ovest di Milano, una pattuglia dei carabinieri, giubbotto e mitra. Qualcuno ha scaricato una raffica sulla caserma, neanche una settimana fa, ma i militari non sembrano più tesi del solito. Sono cose normali, da queste parti.
Il maresciallo tiene i documenti del ragazzo con due dita. Salvatore Nicotera, giusto? Il ragazzo annuisce. A chi l’hai rubato questo scooter? chiede il maresciallo. Ogni volta la stessa domanda. È intestato a me, risponde calmo il ragazzo, vede il libretto? Sono tutti falsi questi cosi, risponde il maresciallo. Il fumo freddo gli esce dalla bocca e si condensa. Ai bordi della strada un po’ di neve, nera, colpa degli scarichi delle auto di passaggio, come sono nere le due berline che gli sfrecciano accanto. Gente di città che costeggia il Naviglio solo per andare da qualche altra parte, ragazze pulite, profumate, sempre sedute al posto passeggero, gingilli d’oro ai polsi e occhiali che costano più del suo scooter. Chissà perché questa gente non la fermano mai… Il maresciallo restituisce il libretto e la patente e fa segno di andarsene, alla svelta. Mentre Salvatore litiga col pedale dell’avviamento, la batteria è morta da tempo, sente il maresciallo che si rivolge al collega col mitra. Lo conosco questo, dice, è un bravo ragazzo.
Salvatore abita con la madre. Immobilizzata a letto, da anni. Non se la possono permettere un’infermiera. Con le indennità che arrivano dallo Stato, pagati affitto, bollette, medicine, quello che resta basta appena per mangiare. E il riscaldamento si accende poco, quando si può. Ha una malattia degenerativa, dicono i medici, quindi andrà sempre peggio. Ma non fa niente. Certe cose a Salvatore non pesano: pulire gli escrementi della madre, fra un lavoretto e l’altro, imboccarla nonostante il rigurgito, accogliere con noncuranza i suoi continui insulti che poi insulti non sono davvero, sono solo parole che escono da una mente in declino, che a volte galleggia in superficie, emerge dalle sabbie mobili, almeno per respirare. Che altre volte soffoca e boccheggia e vomita sabbia e disprezzo.
Il problema non è la madre, il problema sono i soldi. Se ne avessero di più andrebbe tutto a posto, Salvatore ne è certo, quindi ha chiesto quel prestito, alla famiglia Bruzzaniti. È andato fino alla loro azienda di movimento terra, e ha sciorinato un discorso piano e sincero. L’aveva provato davanti allo specchio. I mezzi gialli e i mezzi arancioni erano parcheggiati ovunque. Ruote gigantesche, pneumatici alti come due uomini, alcuni avvolti in catene mostruose, titaniche. Incrostate di neve sporca e fango secco. Il capannone ampio, silenzioso, con l’ufficio in fondo, sopraelevato, le finestre illuminate e alla fine delle scale metalliche un uomo che gli ha fatto segno di entrare. Mia madre è malata, aveva detto. Lei è tutta la mia vita, è la persona più importante. Gregorio, il giovane capo, ha annuito, perché la mamma è sempre la mamma, e quindi gli ha accordato il prestito, anche se erano tanti soldi, con la promessa di una restituzione rapida e maggiorata del giusto. Gregorio del resto, anche se ha preso il comando da poco, da quando il padre è in galera e lo zio al camposanto, sembra un ragazzo a posto. Dicevano tutti che era troppo impulsivo, uno che prima spara e poi pensa, invece sta amministrando la zona con efficacia, i profitti si vedono, e giù in Calabria sono contenti di lui.
Salvatore, dal canto suo, non aveva alternative. Lavori solo in nero, e che lavori poi. Scaricare la frutta al mercato coperto, cameriere, volantinaio, due settimane in prova come tornitore; una volta l’avevano preso come comparsa, un giorno intero di lavoro per meno di cinquanta euro. E la situazione non era destinata a migliorare. Anche se la madre fosse morta, da quella polizza contratta quando lei ancora stava bene, non avrebbe preso un bel niente. Gli avevano spedito una raccomandata, con la ricevuta di ritorno e tutto, modifica unilaterale di contratto, dicevano. L’aveva portata da un suo amico mezzo avvocato, Gigi, uno che aveva esercitato qualche anno, senza laurea. Finché l’avevano scoperto. Possono farlo? gli aveva chiesto. No che non possono, aveva risposto Gigi, le modifiche devono essere accettate dalle controparti. Ma tu ce li hai venti o trentamila euro per un avvocato? Se ce li hai, allora non possono farlo. Se sei povero come la merda, allora possono farlo. E così Salvatore era finito a strozzo. Ma non per pagare l’avvocato, per tirare avanti qualche tempo e trovare una via d’uscita dal quartiere. Sempre che ce ne fossero. Avrebbe potuto spacciare. Si vedeva subito chi era entrato nel giro. Moto nuova, grossa cilindrata. Vestiti firmati e scarpe da mezzo stipendio. Magari un bell’orologio e le donne arrivavano, alla svelta. Invece l’unica femmina con cui Salvatore, negli ultimi due anni, era andato oltre la ficcata in macchina, e poi due messaggi prima di sparire, era una che i soldi li aveva lei. Abitava sui navigli, appartamento di proprietà, capelli ricci e un bel sorriso. Federica, si chiamava. Aveva anche pensato di sistemarsi da lei, per un certo periodo, ci avrebbe avuto solo da guadagnare. Ma poi Federica si era trovata uno laureato ed era finita. Fanno tutte così, quelle. Una cosa però quella ragazza ricca gliel’aveva insegnata, in un pomeriggio tranquillo passato nel letto, a casa di lei ovviamente, tranquillo finché era squillato il telefono. Salvatore non l’aveva mai vista così incazzata, sembrava una questione di lavoro, si capiva, così lui se n’era stato buono buono al suo posto e aveva finito il vino sul comodino – roba di qualità, lo comprava lei – e aveva aspettato che fosse Federica, chiusa la telefonata, a parlare. Lo faceva sempre, quando succedeva qualcosa. Chissà perché si fidava del giudizio di Salvatore. Mi sa che devo licenziarla, aveva detto infatti, mi combina solo dei gran casini. Va bene, si è appena laureata ma non capisce un cazzo, un cazzo di niente. Poi Federica aveva lanciato il telefono sul divano. I seni andavano ancora su e giù per il movimento e Salvatore li guardava, in attesa. Oggi hanno portato in clinica un criceto, aveva continuato lei, e cosa fa questa cretina? L’ha curato. Cinquecento euro tra radiografie, flebo, medicinali. Una deficiente. Io posso chiedere al cliente cinquecento euro per un criceto di merda? Escluso. Al massimo centocinquanta. Se già gli fatturo duecento euro non lo vedo più. Quindi ce li rimetto io quei soldi. Salvatore questa volta non capiva, e lei se n’era accorta. Già, aveva detto, tu non sei veterinario, non puoi saperlo. Gli animali come criceti topi pescirossi e roba del genere, beh, non è che si curano, si sostituiscono. Non fare quella faccia. Ne trovi uno simile e lo restituisci al cliente, non se ne accorgono mai. E il criceto malato? aveva chiesto Salvatore. Ma lei aveva allargato le braccia, con un sorriso vagamente inquietante.
Salvatore aveva preso i soldi a prestito, ma le cose non erano andate come pensavano i Bruzzaniti. Il debito era salito, salito, salito, finché Salvatore, tornando a casa con i pannoloni e le medicine della madre, si era trovato due tizi sotto casa.
Sali! aveva detto quello basso.
Devo portare le medic
Uno schiaffo secco alla base del collo aveva interrotto le rimostranze. Salvatore, prima che potesse capire bene cosa stesse succedendo, era in un cantiere abbandonato dalle parti di Buccinasco, così gli sembrava dalla segnaletica stradale, con il pollice sinistro rotto e la canna di un revolver in bocca.
Meglio in bocca che nel culo, gli aveva detto Gregorio. E meglio vivo che morto, aveva continuato.
Salvatore stava zitto, come avrebbe potuto parlare?, del resto. E Gregorio aveva proseguito.
Devi ripagarmi il debito, ma non hai niente, lo so. Quindi ti tocca lavorare per me. Oppure ammazzo te e quella vecchia merdaccia di tua madre.
Salvatore aveva avuto un sobbalzo a quella frase, ma si era subito ricomposto. Aveva annuito con la testa e ora, superato il controllo dei carabinieri, parcheggiava lo scooter sotto casa. Che poi stanno bene quelli. Lo sanno tutti che mangiano e bevono e non pagano mai. Per non farsi notare allungano una banconota alla cassa e ricevono in cambio la stessa cifra in tagli più piccoli. Bisogna avere l’occhio veloce per accorgersi che si prendono quello che vogliono, nel quartiere, senza che nessuno fiati.
Seduto sul divano, Salvatore sospira. Ha bisogno di qualche istante per riprendersi ma la madre mugugna un verso incomprensibile dall’altra stanza e lui si alza, raccatta un pannolone dalla credenza, e grida Arrivo!
Il maresciallo dei carabinieri, nel fare lo spiritoso sullo scooter rubato, non si era allontanato di molto dalla verità. Salvatore lo aveva comprato “regolarmente” da uno del quartiere, il quale però lo aveva ricevuto come pagamento per certe dosi non saldate. Il vecchio proprietario aveva firmato il trapasso senza tante storie. Ma c’era qualcos’altro che il maresciallo non poteva sapere, qualcosa di più importante. Che sotto la sella dello scooter, avvolto in anonima carta bruna, Salvatore teneva il pacco dei Bruzzaniti.
Lo aveva recuperato poco prima all’azienda di movimento terra.
Non ci devi guardare dentro, aveva detto lo sgherro dei Bruzzaniti, o sei morto. Non devi arrivare tardi, o sei morto. Non lo devi perdere, o sei morto. E non ne devi parlare con nessuno, o…
Sono morto. Ho capito.
Anche lo spiritoso fai? Pigghia a câ e no’ fara minchiate.
Lo aveva preso e portato a casa, per tenerlo a disposizione, fin quando, a comando, l’avrebbe dovuto consegnare da qualche parte, nel centro di Milano gli avevano accennato. E così Salvatore è sul divano, il pacco davanti a lui, sul tavolino di vetro, e Salvatore lo guarda e sa che non deve fare minchiate. La madre, di là, ancora si lamenta. A breve Salvatore si alzerà, andrà a vedere di cosa c’è bisogno, pannoloni, acqua, cibo, sistemerà quello che c’è da sistemare e poi prenderà il pacco, lo avvolgerà in una busta del supermercato, infilerà tutto nello zaino, in modo che non si noti, e prenderà l’autobus per il centro, il trecentoventicinque. Perché deve andare a fare quello che deve fare.
Il rhum nella noce di cocco è finito. Salvatore alza il dito, basta un cenno, e l’uomo dalla pelle di carbone impugna il machete e si mette all’opera, di nuovo. Il sole è finito sotto l’oceano, ma c’è ancora luce, e caldo, i piedi sono tiepidi nell’acqua e affondano nella sabbia fine.
I Bruzzaniti erano venuti a cercarlo qualche giorno dopo. Avevano sfondato la porta di casa e avevano preso a schiaffi la madre.
Dov’è u figghie di buttanazza? gridavano. Dove minchia sta?
Però la madre non poteva saperlo, perché la Procura della Repubblica, Direzione Distrettuale Antimafia, non lo aveva detto a nessuno. Le dichiarazioni di Salvatore, rese per la prima volta quel giorno in cui aveva raggiunto la Questura con l’autobus, ripetute molte altre volte, e poi le conversazioni registrate con la microspia che gli avevano messo addosso, la droga sequestrata, le intercettazioni, e i pedinamenti e tutto il resto, avevano portato Gregorio e parecchi altri dei Bruzzaniti in galera. Quelli rimasti, su ordine impartito dall’interno del carcere, dovevano occuparsi di Salvatore. Che però era introvabile.
Fu così che, stando agli atti processuali, una mattina di marzo due uomini entrarono in casa di Salvatore, il quale era stato da tempo ricollocato in località segreta. Avevano staccato la corrente all’appartamento, prima di forzare la serratura. L’anziana, immobilizzata a letto, aveva cercato di allontanarli agitando il cuscino, senza alcuna possibilità di successo. L’avevano percossa, a lungo, le avevano spezzato le mani e le gambe e non avevano dovuto nemmeno ucciderla, perché alla fine del trattamento era già morta. Questo era emerso, oltre che in sede di esame autoptico, anche dai filmati acquisiti dalle forze di polizia.
Salvatore esce dall’acqua e si porta il cocktail in camera. Sotto al pavimento in vetro i pesci, illuminati dai faretti, beccano la sabbia in cerca di cibo. Uno squaletto pinna bianca nuota lento, fra l’indifferenza generale.
Costa quasi mille dollari al giorno, quella stanza. Ma Salvatore non la paga. È socio del resort. Ha preso anche la cittadinanza. È bastato investire nel paese i soldi che aveva; i governi di queste parti non hanno problemi a fornire un passaporto a chi può permetterselo. E quando Salvatore è sbarcato, dopo cinque voli comprati in contanti, uno dopo l’altro, i soldi li teneva legati sotto i vestiti. Contanti che venivano da molte fonti.
Innanzitutto la liquidazione come testimone di giustizia. Il Servizio di protezione gli aveva offerto una scelta: o lo stipendio fisso, per vent’anni, o tutto subito. La scelta era scontata.
Si trattava di un buon gruzzolo, ma non abbastanza per rifarsi una vita. Così aveva chiesto anche l’indennità per le vittime di usura. I soldi prestati dai Bruzzaniti, al tasso del millecinquecento per cento, confermati con le intercettazioni, gliene davano diritto, e la Prefettura aveva pagato. E pensare che quei soldi nemmeno li aveva spesi. Appena ricevuti, li aveva subito nascosti, per le spese necessarie alla fuga iniziale, e in aeroporto ne aveva ancora con sé la maggior parte. Questo prevedeva il piano. Raccattare soldi da tutti, il più possibile, far incazzare chi doveva incazzare, e godersi quello che gli spettava. A lui non avrebbe pensato la gente di città, e nemmeno gli spacciatori, i poliziotti o i carabinieri.
Infine l’assicurazione sulla vita di sua madre. La compagnia non avrebbe pagato se fosse morta per malattia. Ma non era stato il brutto male a portarsela via, lo dimostravano le telecamere che Salvatore aveva installato di nascosto. Collegate a un gruppo di continuità, nel caso qualcuno avesse staccato la corrente. Così l’assicurazione aveva dovuto saldare e quella era la parte più consistente della sua fortuna.
Una ragazza dai tratti mezzi africani e mezzo orientali è stesa sul letto della stanza. Anche lei ha un cocktail in mano. Lo appoggia sul comodino e si apre il pareo. Sotto non indossa nulla. Salvatore sorride e un pensiero corre a sua madre. Grazie, sussurra. Sotto il pavimento in vetro lo squaletto si piega, spinge con la coda, sparisce nel buio. Salvatore avanza di un passo e lascia cadere a terra la noce di cocco, ormai vuota.