Gliela faccio breve, signor Attilio, perché lei è un uomo di mondo e lo sa bene come girano le cose. Ero andato in città per il patentino. Da quando è morta la Tullia, e alla rivendita si è messo il figlio, lo sa anche lei, è un disastro. Il Delmo è un bravo ragazzo, per carità, ma troppo ligio. Senza patentino, dice, gli anticrittogamici non li vendo, e così devo sempre mandare qualcun altro, far finta che la roba è per l’azienda del vicino, inventarmi scuse su scuse, e alla fine mi sono scocciato. Per questo ero sceso in città.
Lei mia sorella la conosce: appena l’ha saputo si è messa in mezzo e prima ha detto che no, non si poteva fare, che le vacche non si mungono da sole, e il fieno qualcuno lo deve scaricare, e le galline hanno bisogno del mais. Poi, quando ha capito che sarei andato lo stesso, ha tirato fuori la storia del ragazzo. Signor Attilio, quello è il mio parente più strano: non l’ho mai visto alla guida di un trattore, o a trebbiare, o con l’erpice; mai usata una vanga o la motozappa; e la stalla non sa nemmeno dov’è. No, mio nipote vuole fare l’ingegnere, o l’archeologo, è uguale, continua a ripetere la stessa solfa e a me va anche bene, pare che abbia un testone davvero, e allora mia sorella fa, Te lo porti dietro così s’iscrive all’università. E va bene, a mia sorella non le dico di no, non dopo quello ch’è successo, e così ieri mattina, appena finito di versare il mangime e togliere il letame dalle vasche, io, mio nipote, e il furgoncino, siamo partiti per la città.
Al primo bar mi sono fermato, per la colazione, ho preso il solito bianchetto e il ragazzo dice, Ma sono le otto del mattino. Io faccio finta di niente, che non mi piace arrabbiarmi, e lui ordina un cappuccino col latte di soia. Signor Attilio, le dico la verità, da quando vent’anni fa è arrivato il primo rappresentante delle sementi a vendere quella roba, e mi ha detto, Coltivi la soia, che conviene, che l’Europa da Bruxelles manda giù i soldi; io allora ho coltivato subito la soia, e sono vent’anni che semino la soia, irrigo la soia, mieto la soia, e vendo la soia. Ma nemmeno per un giorno, e Dio mi è testimone, nemmeno per un giorno signor Attilio ho pensato che dalla soia si poteva tirar fuori il latte, altrimenti col cazzo che la coltivavo.
Comunque, soia a parte, siamo arrivati al palazzo dove rinnovano i patentini. Avevo già imboccato le scale e mio nipote fa, Eh no, zio, senti che caldo, prendiamo il coso, lì, come si chiama?, il montacarichi. Ora, lei lo sa, io non mi sono mai fidato di quegli affari. Vanno bene per la gente di città che non ha voglia di faticare, io non ho problemi con le scale, nemmeno sudo, ma non mi sembrava il caso di fare polemica. Faceva caldo, tanti piani da salire: usiamolo. Così ho detto, Va bene, prendiamo il montacarichi. Che poi il macchinario è partito senza problemi, filava liscio, eravamo io, mio nipote, e altri due, ma andava tutto bene. Poi, in un attimo, mica me lo potevo aspettare, si ferma di colpo. Signor Attilio, io glielo dico, mi sono trattenuto perché c’era una signorina, e che signorina, bella davvero, altrimenti avrei insultato mio nipote, e sua madre, e suo nonno che poi sarebbe mio padre e non andrebbe fatto, ma in quei momenti vale più o meno tutto. E invece ho pensato a lei, signor Attilio, si ricorda cosa dice sempre? Ma stai un po’ calmo, per Dio! E così sono stato un po’ calmo.
Nei montacarichi è sempre la stessa storia, ti guardi le scarpe, non sai cosa dire, è una situazione di quelle che non si capiscono bene ed è per questo che quei marchingegni non li voglio usare, nemmeno quando funzionano, figuriamoci quando si bloccano. Per un po’ siamo stati tutti in silenzio. Certo, ogni tanto qualcuno se ne usciva con la storia del caldo, o si lamentava del blocco, e speriamo che riparta presto, cose così. Ma passa poco e salta su questo cittadino, con un vestito a quadri tutto elegante e occhiali con la montatura spessa che sembrava mia nonna, ce li aveva ancora quando l’abbiamo seppellita. State tutti tranquilli, fa, è normale avere paura. O ha detto ansia? Non ricordo ma è uguale. È normale, dice, ma io sono psicologo e vi posso aiutare. A quel punto mi sono incazzato davvero. Non solo mio nipote mi aveva rinchiuso in un montacarichi bloccato a mezz’aria, ma mi aveva pure obbligato lì dentro con un cretino. Stavo per mandarlo a quel paese, signor Attilio, glielo giuro, ma la ragazza mi ha anticipato. E che ragazza, avrebbe dovuto vederla: alta, soda, un bellissimo pezzo di femmina, forse un po’ magra, ecco, ma veramente un bell’esemplare. Guardi, ha detto lei, che non abbiamo bisogno di uno psicologo, al massimo di un elettricista. E io ho pensato, Questa è proprio come la Fernanda.
Lei se la ricorda la Fernanda? No di certo, scusi, come potrebbe. Però da quando la Fernanda è andata via, e al cimitero sono arrivate le slave, a me questo paese non piace più. Perché lei era una che ci sarebbero potuti andare anche i signori, perfino lei signor Attilio, ci potevi parlare di tutto. No signor Attilio, io non insinuo niente, ci mancherebbe, comunque questa ragazza del montacarichi sembrava proprio la Fernanda, solo più giovane, e quando le ho chiesto che lavoro facesse, perché mi stava salendo un po’ la voglia, sa, col caldo, chiusi là dentro, lei mi risponde. Io faccio le sfilate, con un’aria tutta da principessa, e allora ho capito che era una collega della Fernanda e ho strizzato l’occhio a mio nipote. Che però non è tanto svelto e mi guardava con una faccia da tinca che, se non fosse per mia sorella, gli avrei tirato un cedro sul muso. Se la ricorda, signor Attilio, la fila davanti al cimitero? Eh, certo che no, come potrebbe. Comunque per la Fernanda c’era davvero una coda lunga un chilometro, e tutte macchine di un certo livello, da ricchi, una fila mica da ridere, l’unico ad andarci col trattore ero io.
Che poi mio nipote è davvero un bel ragazzo, quasi come suo zio da giovane. Lasci stare signor Attilio, che durante la leva il sottoscritto faceva strage di femmine, una macchina da guerra, e finita la naja mi hanno rimpianto in parecchie. Lei adesso mi vede così ma io, in tutto il paese, sono quello che fa nascere più vitelli, anche più del veterinario. Come che c’entra? Io non glieli posso confidare i miei segreti, perché poi finisce che li imparano anche gli altri e resto senza lavoro, ma una cosa gliela voglio dire. Le vacche restano gravide più volentieri, quando sono contente del servizio. Se mi capisce. E quando sono contente si vede. Innanzitutto il braccio va inserito senza guanto, non come fa il veterinario che è uno di città. E poi – questo sarebbe proprio un segreto, quindi mi raccomando – bisogna trovare il momento giusto per introdurre il seme, in pochi lo sanno, e il momento giusto è quando le vacche leccano le sbarre del gabbiotto. Ma non pensi che io mi diverta o chissà cosa, a me non cambia proprio niente, lasci perdere ch’è fuori strada; a me piace quando i lavori escono fatti bene, tutto qui; perciò, se devo inseminare le vacche, ci metto tutto quello che ho imparato a militare, dopo il militare, e pure con le ragazze tipo la Fernanda. Che tra l’altro in caserma non era mica facile, sa, le porte dei bagni non avevano i chiavistelli e la sera spegnevano la luce presto. Come che c’entra? Venivamo tutti dalla campagna, lontano da casa, sa come sono i ragazzi. Comunque, signor Attilio, uno come me, con la mansione che ha, non se lo può permettere un nipote che non sia, come dire, ecco, la parola giusta l’ha usata una volta il veterinario. Performante, ha detto. Comunque io non mi posso permettere voci strane, altrimenti poi finisce che anche il mio lavoro nella stalla, che è davvero un lavoro fatto bene, anche quello viene messo in discussione.
Però le devo dire la verità. Sarà per lo psicologo, che col suo fare da maestrina continuava a citare persone importanti che io non avevo mai sentito ma va bene così; sarà per quella ragazza che sfilava come la Fernanda, bella davvero, mi creda; sarà perché ero preoccupato della storia di mio nipote e del lavoro con le vacche; non lo so esattamente perché, fatto sta che chiusi nel montacarichi, col caldo, col nervoso, con tutto quanto, io questa cosa delle vacche gliel’ho dovuta raccontare. Non sono entrato proprio nei particolari, ecco, non gliel’ho detto che dopo devo cambiarmi tutto, perché i vestiti sono viscidi che non riesci nemmeno a sederti sulla motocoltivatrice. E neanche la questione delle mucche che leccano le sbarre, ho detto. Ma la ragazza, la Fernanda, mi guardava con una faccia strana, era tutta rossa, stava per dire qualcosa, si vedeva, come fosse arrabbiata, finché lo psicologo è intervenuto. Ci penso io, ha detto. Però non ha fatto in tempo. C’è stata come una scossa, sarà tornata l’elettricità, e all’improvviso il pavimento è andato su e giù, e per la paura è calato il silenzio. Si vedeva che pensavamo tutti la stessa cosa, e le vacche non c’entravano niente. Ma poi, è bastato un po’ di tempo, e lo psicologo è tornato all’attacco. Mi guarda e fa, Lei quindi si occupa di bovini. Così me l’ha detto, signor Attilio. Non vacche, o mucche, o manzi, Bovini ha detto, come nei libri. E io gli ho raccontato tutto, dei campi e delle galline, e mi è sembrato anche opportuno spiegare come lo recuperiamo il seme dal toro, che è un lavoro che, lei lo sa signor Attilio, lo faccio sempre personalmente. E allora quello fa. Interessantissimo. Con un tono assurdo, signor Attilio, glielo giuro. Lo psicologo parlava, ma intanto guardava la Fernanda, e le appoggiava una mano sul braccio. Ora, signor Attilio, io non lo so davvero il nome di quella ragazza, ma a me ricorda la Fernanda e allora mi viene di chiamarla così, per comodità, diciamo. Insomma, quello le appoggia la mano sul braccio e lei non sembrava così contenta, allora ho pensato: se questo scemo la smette, con la Fernanda ci provo io, magari ci esce qualcosa, e pure senza pagare. Intanto lo psicologo continuava a usare parole complicate, che a me queste cose fanno incazzare. Io se devo dire vitellone non dico bovino, solo per confondere le acque e sembrare uno che ha studiato, dico vitellone e finisce lì. E se c’è da chiudere la roggia, dico: chiudi la roggia. Così chi lo deve fare lo fa, senza confondersi, e ci abbiamo guadagnato tutti. Invece questa gente che studia, e non ce l’ho con lei signor Attilio, che lei ha studiato ma lavora tutti i giorni, invece questi sono diversi, finito di studiare poi non fanno più nulla e così hanno il tempo d’’inventarsi parole strane. Comunque lo psicologo continuava a parlare, io sudavo, che neanche a fare le scale per due ore grondavo così, e non capivo niente di quello che diceva, lui intanto appoggiava una mano sulla spalla della Fernanda e tutte le volte che si rivolgeva a me diceva signor contadino. Ha capito, Attilio? Signor contadino. A me! Che l’ho capito subito che mi prendeva per il culo. Stavo per colpirlo con un cedro alla faccia, anche perché mi ero accorto che aveva calato la mano sulla schiena della Fernanda, e mi stava venendo il sangue alla testa, ma non ho fatto in tempo a parlare.
Eh no caro signore, dice mio nipote, lei sta dicendo un sacco di sciocchezze. In che senso? chiede la Fernanda, e intanto sposta la mano dello psicologo dalla schiena. E lì pure mio nipote a dire paroloni mai sentiti, che di sicuro li ha imparati in tutte quelle giornate che, anche se a me serviva un aiuto con l’erpice rotante, o c’era da spargere il letame, lui no, il signorino non poteva. Però una cosa gliela devo dire, signor Attilio, e scusi se mi sono scaldato. Io non ero andato in città per il patentino. Alla fine i pesticidi li compro in nero, come fa lei, come fanno tutti. La questione era un’altra. Si ricorda quando mia sorella ha fatto quello scherzo del mutuo e io le ho dato fuoco al deposito? Ecco, lì mi avevano ritirato il porto d’armi uso caccia, e anche tutti i fucili, il maresciallo diceva che ero pericoloso – solo perché non conosce mia sorella – e comunque poi le cose si sono calmate e mi sono procurato una bella doppietta. La tengo nel bosco e vado a beccacce solo di sera, che le guardie venatorie sono a casa, ed è sempre filato tutto liscio. Ma il mese scorso ero allo spluvio a tirare e mi arriva un provinciale. Cosa dovevo fare? Sono scappato col motorino, però aveva piovuto parecchio, se ricorda, c’era un fango pesante e sono finito nel fosso. Avevo bevuto un po’, mi sembra. Insomma, le canne della doppietta si sono conficcate nell’argine, ch’era morbido, io ci ho sbattuto contro, e il calcio del fucile mi ha rotto tre costole. Quindi è finita che in ospedale mi hanno denunciato per bracconaggio, porto abusivo d’armi, guida in stato d’ebrezza – che io guido comunque, anche senza patente – e c’era anche un problema all’assicurazione del motorino, che poi non era neanche mio però questo non gliel’ho detto.
Quindi ero andato in città per incontrare l’avvocato, uno esperto di questioni con le guardie ambientali, mi han detto, e cose del genere. Mica per gli anticrittogamici. E glielo dico, signor Attilio, perché quando è tornata l’elettricità e il montacarichi ha ricominciato a salire, io ero un po’ in difficoltà. La Fernanda si vedeva che le piacevo, e pure nello psicologo secondo me avevo innescato una piccola passione, però io a mio nipote non potevo fargli sapere che salivo dall’avvocato, e che mi avevano denunciato, perché altrimenti poi quello raccontava tutto a mia sorella e lì erano problemi seri, altro che tribunale.
Andavamo su al piano, mio nipote stava spiegando per bene alla Fernanda quante coglionate aveva detto lo psicologo, il quale non era per niente contento della cosa, e signor Attilio, glielo giuro, la Fernanda sorrideva, e sorrideva, non la smetteva più, e alla fine ha appoggiato lei la mano sul braccio di mio nipote, glielo giuro signor Attilio. E così siamo arrivati al piano e mio nipote e la Fernanda si mettono sul pianerottolo, a parlare, poi lui si gira e fa, Noi ci beviamo qualcosa al bar, e mi ha salutato. La Fernanda sorrideva, magra, alta, sembrava una vitella un po’ denutrita, a dire il vero, ma a me piaceva comunque. E allora, vedendo mio nipote che se ne andava con lei, ho tirato una pacca allo psicologo e gli ho detto, Quel ragazzo è proprio com’ero io da giovane, non c’è che dire! Tutto suo zio da giovane!
A quel punto io e lo psicologo eravamo rimasti da soli, lui si è tolto la giacca, la dondolava sulla schiena, poi ha preso gli occhiali con la montatura spessa e si è infilato la stanghetta in bocca. Stava meglio senza occhiali, devo dire. Ed è stato allora, signor Attilio, mentre quello stava lì e mi guardava fisso, mentre leccava la stanghetta un po’ come fanno le mie vacche con le sbarre del gabbiotto, e io lo sapevo che saremmo andati al bar anche noi, ma in un altro, ecco, è stato lì che ho capito tutto.
Lui il militare non l’aveva mica fatto.
Copertina presa da Pixabay
Letto tutto d’un fiato. Fantastico!