Sul palato ho ancora il gusto amaro dell’ultima consumazione. Attorno a me, in un alternarsi di mani infinito, il tintinnio dei cucchiaini che girando colpiscono le tazze. La luce artificiale comincia a infastidirmi, dopo dieci minuti qui dentro. Il barista si è avvicinato facendo una battuta e aspettandosi una qualche risposta, ma ho preferito ignorarlo. Troppo sorridente, troppo disponibile, troppo tutto per non innervosirmi ancora di più. Mi sono arreso all’idea che il mal di stomaco diminuisse. Almeno la tachicardia sta passando: dura sempre di più ad ogni attacco, forse dovrei farmi vedere da un medico.
“Carlo, sei tu?”
Una voce familiare alla mia sinistra.
“Francesco! Quanto tempo! Come stai?”
“Bene, dai! Ho un sacco di cose da raccontarti, ma ormai funziona così, no? Al giorno d’oggi bisogna adattarsi ai cambiamenti. E vale anche per te! Da quanto tempo sei tornato a Roma?”
“Ormai sono tre mesi. Mi mancava questo casino”.
“Quando sei qui speri di andartene appena possibile, quando sei fuori non vedi l’ora di ritornare. Lo so dai tempi dell’Erasmus! Prendi qualcosa?”
“No, grazie. Stavo per andare via, ho già consumato”.
“Scusi, un caffè al vetro! Sicuro che non ne vuoi uno? Ah, ma tu il caffè non lo prendi mai, non ci pensavo! Potevi farti sentire quando sei tornato, sei il solito!”
“Hai ragione, è che tra il trasloco e il nuovo lavoro il tempo è volato, questi nuovi orari…”
“Lascia stare, Giulia è sempre in negozio, ha turni assurdi”.
“Tutto bene? Hai una faccia…”
“È colpa mia, sai, per l’incompatibilità genetica”.
“Ma come, mi ricordo che ti vantavi che non potevano farti niente!”
“La storia dei codici a barre personali non mi è mai piaciuta e credevo che essendone escluso, nessuno mi avrebbe rotto i coglioni”.
“Mica male, no? E comunque lavori alla Spectacular Optical da una vita, mica possono farti niente”.
“Insomma. Con la scusa che senza codice a barre non erano sicuri della mia fedeltà all’azienda, hanno iniziato a demansionarmi. Guarda che culo la bionda”.
Francesco fissa il fondoschiena di una signora fasciata in un vestito palesemente troppo stretto per il suo fisico e io mi concedo un’occhiata al locale. Evito il continuo scambio di tazzine, piene e vuote e mi concentro sulle espressioni degli avventori. Colleghi usciti dal lavoro che parlano animatamente, svapatori che riempiono il soffitto di fumo bianco e dolciastro, persone sole al bancone. Tristi, incazzate, annoiate. Nessuno sorride, di sicuro non io ma nemmeno Francesco, ancora distratto. Sento il mio stomaco riempirsi improvvisamente di ansia, preferisco continuare la chiacchierata.
“Nessuno ti può obbligare ad avere quei cosi addosso!”
“Ma poi io amo quel posto anche senza codici a barre che mi obblighino a farlo. Ho provato a protestare, ma anche il sindacalista mi ha detto che ci sono poche speranze. Gli archivi dei centri per l’impiego sono pieni di gente in cerca di lavoro e con i geni giusti, è già tanto che mi hanno tenuto, anche se ora faccio solo venti ore”.
“Mondo di merda. Ma non puoi fare niente? Che ne so, scrivere ai giornali, andare in televisione?”
“E a che scopo, Ca’? Sono stato un privilegiato. Di media si cambia lavoro e mansione una volta ogni tre anni e tu lo sai bene che hai dovuto cambiare città e ti sei giocato anche Laura”.
“Magari sarebbe finita lo stesso…”
“O magari stavate ancora assieme se non ti sbattevano a quattrocento chilometri con i turni sei giorni su sette! Uno a malapena riesce a riprendersi in un giorno, figuriamoci portare avanti una storia a distanza! L’hai sentita,?”
“Non ancora. Ho paura che si sia rifatta una vita, dopo quattro anni. Spero che questo lavoro sia più solido, ci ho puntato molto”.
“Dove lavori? Non me l’hai ancora detto”.
“Lo stai bevendo il mio lavoro”.
“Alla Soma Caffè? Ma dai! Non pensavo fossero anche qui”.
“Hanno aperto uno stabilimento a Passo Corese da poco, si stanno allargando molto. Probabilmente, i chicchi che sono arrivati nella tua tazzina, li abbiamo trattati noi”.
“Non ti dà fastidio lavorare lì, proprio a te che il caffè non piace?”
“Non è vero che non mi piace. Ti ho sempre detto che non lo bevevo perché non avevo mai preso l’abitudine, tutto qui”.
“Come ti trovi?”
“Tranquillo, ho addirittura il fine settimana libero! Ma dimmi di Giulia, mi pare di capire che avete dei problemi”.
“No, non proprio. A letto è diventata una bomba, sai?”
“Davvero? Mi ricordo che ti lamentavi che era un po’ troppo santerellina”.
“È per via del lavoro. Al negozio hanno imposto il codice a barre anche a lei”.
“Stanno proprio esagerando, Cristo. Bisognerebbe far qualcosa, manifestare, protestare…”
“O così o licenziata. E con il fatto che a me hanno tagliato le ore, è stata obbligata”.
“Quindi anche lei fregata con la fedeltà aziendale e stronzate del genere?”
“Ca’, non so quanto tu sappia di questi fottuti codici, ma non è così semplice. Cambiano le abitudini, le persone. Tu un giorno torni a casa e trovi una persona completamente diversa”.
“Non la ami più?”
“Tanto. Io sono fortunato che è ancora lei, ad altri è andata peggio. Le hanno detto che secondo gli studi più recenti, se la commessa è attratta dal cliente che sta servendo, quest’ultimo compra il 25% di più. Gliel’hanno girata da un punto di vista professionale, capisci? Mica poteva rifiutarsi!”
“Non ti sto seguendo”.
“Tra le modifiche che le hanno fatto, ora lei prova un’eccitazione fisica per ogni cliente”.
“E se entra una donna?”
“Vale anche con le donne, grazie al codice adesso è bisessuale e non ha più i tabù che tanto mi infastidivano. Effettivamente vendono molto di più da quando ci sono stati questi cambiamenti. Inoltre, per ovviare all’orario allungato, hanno modificato altri parametri e ha bisogno di dormire solo 4 ore al giorno”.
“E come sta?”
“Mi sembra arrabbiata con me, ma magari è solo il mio senso di colpa. Lei dice di non preoccuparsi, era l’unica cosa da fare. Vado a dormire solo, mi fa impressione sapere che è alzata fino all’alba e poi si fa 10 ore di lavoro tutte di filato. Sistema casa, legge libri, si prende cura di sé. A me sembra sempre più tesa”.
“Magari esageri, lei pure ti ha detto di stare tranquillo…”
“Ca’, lo dico a te per primo. Sono una merda, lo so, ma la voglio lasciare”.
“Ma se mi hai appena detto di amarla ancora e che a letto siete pure migliorati!”
“È proprio per quello che non ce la faccio più. Non lo sono mai stato prima, ora sono diventato geloso. Se dovesse tradirmi, vista la situazione, non sarebbe nemmeno colpa sua, non credi? Ma tu ci staresti? Si eccita continuamente con tutti gli sconosciuti che entrano in negozio!”
“Dovresti pensarci bene. E vaffanculo, goditela tu che puoi averla sempre vicina, no?”
“Hai ragione, non sei la persona adatta per parlarne. Senti io devo scappare, ti fai vivo la prossima settimana? Ci prendiamo una birra e ti parlo di un po’ di progetti”.
“Promesso. A presto, è stato bello rivederti”.
Sorrido sinceramente, mi ha fatto piacere rincontrarlo, ma non succederà di nuovo, se non per caso. Se sto con gli altri è peggio, ho ancora più voglia. Respiro l’odore forte, so che sto per arrendermi ancora. Studio il bicchierino lasciato sul bancone dal mio amico, troppo zucchero e mischiato male. Con un cenno della mano richiamo l’attenzione del barista che annuisce e armeggia col macchinario alle sue spalle. Si avvicina, in una mano ha una tazzina e nell’altra un bicchiere, all’apparenza si direbbe un cocktail. Mi porge la prima, mentre avvicina il secondo alle labbra. Beviamo assieme, fissandoci negli occhi. I suoi riflettono lo stesso disgusto che provo io. Mi chiede se ho voglia di parlare un po’, io scuoto la testa. Mentre si allontana, scorgo un sorriso di gratitudine. Il mal di stomaco è più forte di prima, il cuore ricomincia ad accelerare. È il nono caffè e la giornata è ancora lunga, non riuscirò a dormire prima delle quattro del mattino. Roma mia, quanto mi è costato ritornare da te!
Qui la seconda parte
Copertina di Gianmarco De Chiara
Bello. La fantascienza, quella vera, parla del mondo che ci circonda attraverso le iperboli della tecnologia. Questo racconto condensa tale pensiero, pescando a piene mani dal senso opprimente che la società moderna, turbo liberista fino al midollo, c’impone con i suoi dogmi di efficienza, produzione, competizione. L’adattamento darwiniano ad un lavoro disumanizzato e virtuale, anche quando si tratta di semplice caffè, di fare la commessa in un negozio.
La prima parte della conversazione l’ho trovata leggermente meno naturale della sua continuazione, nell’esigenza di dover spiegare un po’ di cose in fretta. Si tratta di una piccola nota in un brano riuscito che punta al sodo privo di fronzoli, che lascia solo intravedere le pieghe collaterali (Le relazioni che falliscono, la vita da spendere un weekend alla volta, etc.) per rimanere concentrato sul fine. E’ una cosa che apprezzo in un testo così breve, dove le descrizioni si completano in una frase senza distrarre il lettore.
Se avete letto questo racconto senza trarne un monito, vi consiglio di prestare più attenzione alle notizie che si susseguono anche ora. Vi assicuro che “Consumazioni” acquisterà un sapore amaro come il Soma Caffè.