Copertina di Un intervento sbagliato

Un intervento sbagliato

La prima volta che l’aveva sentito era stato di notte, mentre dormiva. Andrea si era svegliato di soprassalto e non era riuscito a capire se era stato un rumore reale o se l’aveva solo sognato. Gli era sembrato un sibilo, prolungato e molto sonoro. Era rimasto sveglio per vedere se si ripeteva ma niente, il silenzio nella casa era totale, a parte il respiro leggero di Carla.  Alla fine si era riaddormentato. Il giorno dopo ogni tanto il sibilo gli tornava in mente, come a volte succede con un sogno: ti rimane in testa come un sottofondo inavvertito e mentre sei distratto a occuparti di qualcos’altro all’improvviso riemerge vivido, e ti accorgi che non avevi mai smesso di pensarci. Così si era convinto che non era stato reale.

 

Poi ricapitò di nuovo, sempre di notte, ma questa volta Andrea era sveglio, e si ripeté tre volte, a breve distanza di tempo l’una dall’altra. Erano suoni acuti, modulati su frequenze e ampiezze differenti, come una corrente d’aria che, forzata in uno spazio ristretto, incontra ostacoli che creano variazioni di note e di intensità. Gli sembrò che venisse dall’interno della parete che separava la loro stanza dal bagno, quella dove avevano fatto passare la nuova tubatura. Questo lo preoccupò molto. Aveva preteso che posassero costose condutture di rame, invece del più economico multistrato, era stato un errore? Carla dormiva; decise che se fosse riaccaduto l’avrebbe svegliata. Ma per quella notte fu tutto.

 

La mattina dopo ne parlò alla moglie.

– Ho sentito uno strano rumore provenire dal muro. A te è mai capitato?

– Che genere di rumore?

– Una specie di sibilo. Viene dalla parete del bagno.

– No, non mi pare. E quando l’hai sentito?

– Stanotte, e poi anche tre giorni fa. Tu dormivi.

– Pensi sia collegato ai lavori che abbiamo fatto?

– Temo di sì.

– Dobbiamo chiamare l’idraulico?

Andrea si strinse nelle spalle.

– Intanto vediamo se ricapita, magari è stato un caso.

Decise di suonare un po’ l’armonica. L’aveva ritrovata svuotando un vecchio armadio durante il trasloco e aveva scoperto che ricordava ancora qualche canzone. Poi ci ripensò. No, oggi non era proprio in vena, e la rimise a posto.

 

Carla fu seccata dalla novità. I lavori di ristrutturazione erano stati un incubo. Aveva impiegato mesi per convincere il marito a iniziarli perché proprio non potevano trasferirsi nella casa della madre senza rifare il bagno. Lui non ne voleva sapere, all’inizio. Non sopportava l’idea di mettere mano a quegli ambienti, dove tutto era rimasto immutato per decenni. La struttura era vecchia, non avrebbe retto, continuava a ripetere. Ma l’ impianto idraulico stava ormai per cedere ed era indispensabile un intervento. In fondo si trattava solo di aprire una traccia nel muro e cambiare le tubature. Parlando con il geometra, Andrea aveva provato a suggerire l’idea di lasciare le condutture esterne, ma sia Carla, sia l’uomo l’avevano guardato come se fosse pazzo. Alla fine aveva ceduto. Era riuscito solo a ottenere che la traccia fosse aperta nella parete della stanza da letto, per preservare quanto possibile le preziose mattonelle del bagno, che Carla trovava orrende. Ora che tutto era finalmente finito, si ricominciava daccapo? Sperò che si trattasse di un problema temporaneo e che si risolvesse da solo.

 

La settimana passò tranquilla ma il sabato, dopo che Carla era uscita, Andrea sentì di nuovo il rumore nella parete. Trasalì: per qualche motivo di giorno non se lo aspettava. Questa volta non gli era sembrato un sibilo, piuttosto un verso animalesco, che aveva qualcosa di straziante. Guardò la parete preoccupato. Aveva assistito afflitto ai lavori e ogni picconata sul muro era stata una coltellata al cuore. Mentre poi guardava l’operaio stendere il nuovo intonaco, sigillando la traccia che conteneva la nuova tubatura, gli era venuto in mente il chirurgo che sutura l’addome del paziente dopo un trapianto di fegato. Quell’immagine l’aveva a lungo tormentato. Forse il trapianto non era riuscito e l’organismo lo stava rigettando. O era il corpo estraneo che non riusciva a trovare pace nella nuova sede e si lamentava?

 

L’idraulico fece un breve sopralluogo. Azionò lo scarico, aprì tutti i rubinetti, fece scorrere l’acqua per un po’.

– Mi sembra tutto in ordine. Che tipo di rumore è?

– Come di uno spiffero d’aria che si aggiri nel muro. E fa risuonare qualcosa di metallico.

– Quindi non un rumore d’acqua, tipo gorgoglio…

– No, direi di no.

– E si associa a qualche operazione particolare, per esempio se lasciate scorrere l’acqua, oppure se non l’aprite per lungo tempo, o quando usate lo scarico…

– No, nessuna, è capitato sia di notte, sia di giorno, ma è molto saltuario. Può mancare per giorni e poi all’improvviso si ripresenta.

L’uomo era perplesso.

– A volte ci sono problemi con il sifone, ma accadrebbe con una certa regolarità. E poi in genere fa un rumore diverso da quello che lei descrive.

Si rivolse a Carla.

– Ed è così fastidioso che riesce a svegliarvi?

Carla guardò il marito priva di espressione. Poi rispose all’uomo:

– Non lo so, io non l’ho mai sentito.

 

Alla fine l’idraulico se ne andò senza aver concluso nulla.

Andrea ne fu indispettito ma Carla era d’accordo con l’uomo.

– Cosa volevi, che si accampasse qui ad aspettare il rumore? O che aprisse la parete, e per cercare cosa? Non ci sono perdite!

– Se lui non vuole, lo farò io.

– Ma sei matto? Non vorrai mica bucare la parete?

– Sì, ma non ti preoccupare. Magari c’è dell’aria che è rimasta intrappolata dentro, intorno alle tubature, e se la faccio uscire…

– Ma cosa dici? Non ha senso. E se le bucassi, le tubature? Sarebbe un disastro!

– No, non ti preoccupare, appena arrivo al metallo mi fermo, stai tranquilla!

Carla lo guardò esasperata. Da tempo era come se vedessero le cose della vita da una prospettiva diversa, con uno sguardo sfalsato, e lui fosse qualche volta più vicino, qualche volta più lontano, rispetto a lei, ma mai allo stesso livello. E ora questa storia del sibilo nel muro, che non gli dava tregua, e che in realtà doveva essere ben poca cosa, se non era mai riuscito a svegliarla. Era come ossessionato. Lei non poteva permettere di mandare all’aria tutto il lavoro fatto.

– Te l’ho detto, farò solo dei fori microscopici. Non si vedranno neppure.

– Se ti azzardi a toccare la parete, me ne vado.

Andrea fissò la parete, angustiato. Da due giorni la casa era silenziosa, perché Carla alla fine se n’era andata davvero. Lui aveva continuato a insistere, cercando di blandirla, ma a nulla erano servite le rassicurazioni. Sperando di convincerla che l’intervento sarebbe stato minimo, le aveva mostrato la punta sottilissima del trapano acquistato per i sondaggi. Carla aveva guardato l’oggetto senza parlare, poi aveva riempito una borsa con pochi indumenti e si era tirata dietro la porta. In quei giorni anche il sibilo si era tacitato, come fosse in attesa.

– Ho paura di sbagliare – disse Andrea, posando una mano sulla parete.

Il rumore partì fortissimo. Fece un salto all’indietro. L’ignavia, questo era stato il suo peccato. Afferrò il trapano.

Dopo una settimana, Carla pensò che la sua assenza fosse durata abbastanza e che Andrea avesse ormai rinunciato al folle progetto. E poi si sentiva un po’ in colpa. L’aveva piantato su due piedi, lasciandolo solo con il suo tormentoso sibilo; non era stato molto generoso da parte sua. Così, la domenica pensò di fargli una sorpresa. Salì le scale di casa e già dal secondo piano gli arrivò, flebile, il suono dell’armonica ma era una melodia diversa dalle solite, una specie di blues malinconico. Non seppe se esserne contenta o angustiata. Appoggiò i bagagli in ingresso e si affacciò nella loro stanza, da dove venivano le note. Andrea non l’aveva sentita. Era di spalle, e suonava l’armonica seduto su uno sgabello, bianco di polvere dalla testa ai piedi. I mobili erano accatastati al centro della stanza, coperti dal cellophane e il pavimento, anch’esso protetto da teli di plastica, era costellato da mucchi di calcinacci. Carla guardò inorridita la parete. Un profondo squarcio la attraversava per quasi tutta la sua lunghezza, esponendo i tubi metallici all’interno, che in qualche punto, liberati dal cemento, luccicavano. Sostò un attimo in silenzio; poi si girò, riprese i bagagli e uscì senza fare rumore.

Foto originale di Pasquale Comegna

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Fiorella Malchiodi Albedi scrive racconti, alcuni dei quali sono apparsi su riviste online. Nel 2015, un suo memoir è stato selezionato per una serata di 8×8. La sua prima raccolta, con il titolo di Caldo cosmico, è uscita nel 2018 per Eretica edizioni. Il racconto “Caldo cosmico” è stato finalista al premio Zeno 2019. Con “Le donne di P.” ha vinto il TOMO contest 2021 per racconti di fantascienza. In autunno è uscito Il nome scomparso, il suo primo romanzo (edizioni Bookabook).

 

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