Illustrazione di Gian Marco De Chiara

Scrivanie

Era seduta alla stessa scrivania da tre anni e mezzo. Il telefono squillava a intervalli regolari e lei doveva rispondere, altre volte doveva essere lei a chiamare.

Le avevano richiesto la laurea, l’inglese fluente, un’eccellente conoscenza del pacchetto office e una certa flessibilità oraria per andare incontro alle esigenze di servizio. Era fortemente consigliato un pizzico di francese, che Flavia aveva approfondito con un corso serale online, e uno standing elevato, con tailleur e tacco quotidiani. Tranne il venerdì che era giornata casual in azienda.

Gli aveva dato tutto, anche molti weekend e festività, perché se sei motivato lo devi far vedere bene. Spingere, spingere, spingere, così le diceva Stefano, il collega con cui divideva la stanza. Spingere era la chiave di tutto, tu prima fai poi chiedi, qua funziona così. Lui lo sapeva, stava lì da otto anni, e anche per lui era la stessa scrivania.

Flavia, da quella postazione angusta e disordinata, parlava con gli utenti, con le aziende, da un anno aveva anche iniziato a parlare a nome del suo ufficio ai tavoli interaziendali. Erano responsabilità, diceva Stefano, giocatele bene. Flavia aveva collezionato un contratto di stage dopo l’altro, fin quando era stato possibile inserirla in una politica attiva ce l’avevano infilata, e lei aveva accettato. L’importante è che vai avanti, diceva Stefano, fatti vedere, non ti lamentare e dì di sì, lo apprezzeranno. Poi era diventata troppo vecchia per i contratti di stage e Flavia era tornata a casa dal compagno, un po’ preoccupata. Vedrai che arriva l’apprendistato, le aveva detto Sandro. Ma quello è per chi inizia, io sto lì da più di due anni, aveva ribattuto Flavia dubbiosa.

L’apprendistato non era arrivato, troppo oneroso. La prassi era un contratto di collaborazione o l’apertura della partita IVA, cosa scegli? le aveva chiesto Sabrina dell’ufficio del personale. Una riunione di famiglia, con Sandro, aveva dato come esito la collaborazione. Avevano deciso che una partita IVA in famiglia bastava. La collaborazione era al secondo rinnovo, di sei mesi in sei mesi si andava avanti con regolarità. Dai, almeno hai un po’ di visibilità per organizzarti, diceva Stefano.

Spingere, spingere, spingere, questo conta. Non importa come, quelle sono solo parole su un pezzo di carta, tu intanto stai qua e tanta gente fuori si sbatte a destra e manca. Ma lo sai quanti vorrebbero stare al posto nostro? Lo sapeva Flavia, aveva due sorelle più giovani che erano andate a studiare all’estero per non stare al posto suo. A lei era mancato il coraggio, c’era Sandro che aveva il negozio qua, non si potevano allontanare.

La collaborazione non aveva cambiato niente. Lei parlava con le aziende, con gli utenti, andava ai tavoli interaziendali, solo i toni delle richieste erano diversi: le sembrava di sentire più ringraziamenti, di leggere nelle e-mail un maggior numero di “per favore”, “se puoi”, “se vuoi”. Hai visto che i riconoscimenti arrivano? diceva Stefano. Tu non li stare a sentire, vai avanti, tu vuoi e puoi. Ti danno pure le ferie d’estate, sai a me quanto ci hanno messo a darmele? Quattro anni, prima me le facevo a febbraio e a novembre. Sei fortunata tu.

Quell’estate con Sandro erano partiti, si era convinto a chiudere il negozio per una settimana e prendersi un po’ di svago. Erano saliti in macchina e via, senza decidere niente, senza meta. Si erano svagati, si erano distratti. Avevano attraversato tre regioni, mangiato i loro piatti tipici, sognato sotto le stelle e fatto l’amore in stanze un po’ umide ma pulite. Era stata una vacanza da sogno.

Stefano era pallido quando era rientrata, per lui le ferie quell’anno sarebbero arrivate a ottobre. Mi fanno fare uno stop poi si ricomincia, me ne sto a casa due settimane e mi riposo, loro si prendono una pausa di contratto e poi si va avanti più sereni. Se mi scoccia? No, anzi, mia moglie sta a casa coi gemelli in estate, io do un mano in autunno, meglio di così!

Per fortuna si era ammalata appena lo stop di Stefano era finito e si erano dati il cambio. Come avrebbero fatto altrimenti? L’ufficio sguarnito era impensabile. Nemmeno a dire che potevano andare a chiedere a Sabrina del personale, come risolvere, perché lo sapevano tutti: se portate un problema dovete anche portare una soluzione

Quando era rientrata dai tre giorni di malattia la scrivania di Stefano era vuota. Il telefono squillò, era Sabrina del personale. Adesso che Stefano non c’è più, i suoi incarichi passano a te. Quando torna? Chiese lei. Non torna. Come mai? C’è la privacy, non ne posso parlare. Può essere che ti diamo una stagista, ma non se ne parla prima di gennaio, pure febbraio.

Flavia aveva taciuto. A gennaio sarebbe stato difficile nascondere la pancia. Aveva ragione Stefano, spingere, spingere, spingere, sempre. Lei e Sandro invece si erano distratti.

Copertina di Gianmarco De Chiara

6 pensieri su “Scrivanie

  1. Ti ringrazio molto per la lettura. Il tuo commento mi fa capire che l’intento con cui ho scritto il racconto è arrivato e questo per me è molto importante. Grazie ancora!

  2. Confermo che il testo ha un ritmo molto azzeccato; scorre veloce, così come gli anni dei protagonisti, sulla via di un binario morto decenni fa.
    Il finale è scontato ma non è un difetto, perché proprio dell’ovvio fa forza il racconto. La vita banale, quella che passa e non te ne accorgi, quella che t’illude di star “spingendo” mentre invece stai galleggiando. Quella vita che può dormire per anni ma che può rinascere in una settimana e cambiare tutto.
    Tecnicamente apprezzo molto la costruzione attenta che incornicia il testo attraverso le frasi ripetute come un mantra senza calcarli troppo, ma solo il giusto. I personaggi di Stefano e Sabrina che rappresentano il mondo intero, d’illusione e spietatezza.
    Non ho apprezzato invece l’allusione alle sorelle che, andando all’estero, sembra si siano salvate da un mondo che, invece, non ha bandiera né confini. Non l’ho appezzato non tanto per la mia personale antipatia per le esterofilie gratuite, ma perché rappresenta un altro livello d’illusione che non viene sconfessato in un racconto che, invece, trova nella disillusione la sua vera anima.

  3. Ileana ha uno stile asciutto, un lessico ridotto all’indispensabile. Non so se ha cercato volontariamente questi due elementi o no, ma è riuscita, proprio grazie a loro, a trasmettere la frustrazione (quasi il senso di colpa) di chi cerca di realizzare i propri sogni ma è limitato da fattori contingenti che, in un mondo più sano, sarebbero certamente declassati.

  4. Grazie Riccardo, il tuo commento mi è molto gradito, perché mi sembra una conferma di ciò che volevo esprimere: la frustrazione di voler “addirittura” stabilità, prevedibilità si cui costruire progetti, come se fossero optional o addirittura lussi. Grazie ancora per aver letto e condiviso la tua impressione!

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