Sarebbe l’ora che le chiedessi almeno come si chiama o comunque che rompessi il ghiaccio in qualche modo, sono anni che ci sentiamo solo al telefono e possiamo unicamente immaginare la faccia l’uno dell’altra.
Le ordino sempre la stessa pizza salsiccia e funghi, da anni, lei mi dà l’ok per la consegna per la solita mezz’ora, dopo dieci anni sempre mezz’ora e mi dice cosa mi spetta come omaggio: fagottino alla nutella o arancino di riso, fermo restando la lattina a mia scelta. Siamo così formali e ingessati nei nostri ruoli. Io il lavoratore part time in un albergo di provincia, che deve mangiare rubando la pausa per una pizza a domicilio in una sola mezz’ora che non è riconosciuta contrattualmente, lei addetta cassiera o segretaria incaricata a prendere gli ordini, se esiste una figura del genere nel mondo delle pizze a domicilio.
Non ci siamo mai discostati da questi due ruoli, neanche nel saluto, nel suo chiedermi sempre un recapito telefonico e io che le do sempre quello dell’albergo dove lavoro e dal quale chiamo, se accadrà ancora, me lo dimentico continuamente, il mio numero e il fatto di rompere il ghiaccio, ma ora me lo segno, le darò il mio personale. Ecco forse è questo il suo segreto, lei vorrebbe che io rompessi il ghiaccio. E’ quello che lei si aspetta o vorrebbe da me, i suoi sorrisi, il suo riconoscermi dalla voce dopo anni devono significare qualcosa ed ora lo voglio anch’io e questa mi sembra una buona idea finalmente, certo poi dovrà chiamarmi lei, dopo che le avrò dato il mio numero di cellulare intendo, lo farà, lo dovrebbe fare privatamente, lo dovrebbe rompere lei il vero ghiaccio, io da parte mia il mio piccolo passo lo avrei fatto, come al solito da infingardo, dandole inaspettatamente il mio numero di cellulare. Ecco, come avevo fatto a non capire che quei suoi sorrisi abbozzati, il suo riconoscermi ed aspettarmi, che era quello che lei si aspettava, testone rimbambito che non sono altro, si aspettava che io mi muovessi semplicemente, in modo importuno ma anche con una cosa facile facile ed inoffensiva, per me si intende, perché avrei gettato la palla dalla sua parte, lasciarle il mio numero di cellulare privato come si deve nella prassi del recapito da lasciare a difesa di tutte le pizze con mancato destinatario invece che quello pubblico di quella squallida stamberga ad ore dove lavoravo tre pomeriggi a settimana.
Fino ad allora invece fu la stasi, mai una cosa diversa né da me né da lei e non si capisce chi tirasse il gioco, chi voleva in primis che andasse sempre così. Io non le avevo mai dato spago, niente di più che ordinarle al telefono una pizza salsiccia e funghi tra mezz’ora se possibile e una lattina di birra grazie, lei a ruota, timida ed invisibile, niente di più del suo ruolo, eravamo così simili e inutili, io una così era giocoforza che la dovessi conoscere ed incontrare, faceva per me, era uguale a me, poteva essere il mio specchio ed io non ho mai pensato che gli opposti si attraggano, troppa responsabilità una scommessa del genere, preferivo andare sul sicuro con una identica a me. Lei era una come me, il mio alter ego femminile. Nel tempo pensai proprio che il mio modo di tirare il gioco a non mostrarsi, non dare mai confidenza ad una che sentivo al telefono da anni e anni, restando legato in una conversazione di tipo professionale e alla più fredda cortesia, fosse non solo il mio ma anche il suo modus operandi e che lei incolpasse me di questo come io sto facendo con lei. Siamo pressoché identici e io una così la dovevo proprio conoscere, era senza dubbio come me, la metà di me, la mia anima gemella o la mia gemella proprio, dovevo vederla in faccia. In definitiva dovevo essere io a muovere il primo passo? La mia purezza poteva essere salvata facendo ricorso alla sbadataggine con la quale mi potevo giustificare per averle dato il mio numero di cellulare invece che come al solito quello dell’albergo, così, senza pensarci, d’altra parte lei mi chiedeva sempre con la solita ritualità “un recapito telefonico”. Se isolavo questa frase dal contesto, dal fatto che da dieci anni le davo quello dell’albergo, mi salvavo. Potevo essermi solo distratto questa volta e averle dato il mio cellulare aspettando ora la sua mossa.
Dovevamo vederci, sono sicuro che anche lei lo voleva e provava a immaginarmi come io provavo a immaginarmi lei, il suo volto, i suoi capelli, la sua pelle, il suo stile nel vestire o proprio la sua divisa da lavoro. Eravamo solo timidi forse, avevamo paura di sbilanciarci un attimo fuori dalla nostra divisa e sgangherarsi in uno slancio umano, lasciarsi andare solo per conoscersi o anche per niente di più che non fosse farsi due battute simpatiche alla sera, noi due che ci parlavamo al telefono da così tanti anni e ambedue coscritti nella nostra prostituzione quotidiana.
Un giorno andrò a trovarla e vedrò finalmente la sua faccia, mi dico. La paura che mi attanaglia quando prendo una decisione è che tutto sfumi come una beffa a mio danno, come poter pensare se ora dopo dieci anni avessi aspettato ancora magari che lei sarebbe stata licenziata da lì a poco, proprio ora che mi ero deciso e che non la avrei sentita mai più, o che la pizzeria avesse chiuso i battenti, avesse fallito e che al suo posto fossero venuti dei Pakistani a fare il kebab. Invariabilmente ripercorro a ritroso tutti i rischi dello stesso tipo che mi avrebbero potuto far mancare l’incontro con lei e al quale ora anelavo violentemente, come quella volta che avevo quasi deciso di cambiare pizzeria per il mio ordine. Questo accadde quella sera che supposi che gli dei delle pizze a domicilio avessero invertito gli elementi logici e ricevetti pizza gelata e birra calda. Li perdonai, e meno male che li perdonai.
A questo punto penso che se rompessi il ghiaccio con frasi del tipo come ti chiami sarebbe un po’ banale, fuori fase come gatti che strisciano sull’asfalto, fuori tempo, mi giocherei tutto il resto penso non rendendomi conto che forse me lo sono già giocato da un bel pezzo con il mio ostracismo cronico nei suoi confronti, o forse che in gioco non c’è mai stato un bel niente e quindi che si trattasse solo di rinunciare a quell’insano proposito. Del resto che ne sapevo io di lei. Poteva essere sposatissima da decenni, anzi il titolare poteva proprio essere il marito, essere direttamente il pizzaiolo che le stava lì accanto e gomito a gomito infarinava e smistava le pizze che lei prendeva al telefono. Ma poi penso che questo tipo di ragionamenti sono quelli che mi hanno sempre impedito di smuovere qualcosa nella mia vita, di rischiare, di ottenere, di vivere, di amare e allora mi ci ributto dentro.
Ecco che lo sto per fare anzi domani lo farò. Sono qui che sto per decidere se piombare alla pizzeria di persona, mi riconoscerebbe subito alla voce ne sono sicuro, troverei la scusa che non rispondeva nessuno al telefono e che forse hanno la linea guasta, oppure darle il mio numero di cellulare. Nel dubbio potrei fare ambedue le cose e vedere cosa succede. Quando mi avrà visto chissà cosa penserà di me e se mi telefonerà, se gli apparirò ancora come quello che aveva pensato e che da dieci anni ogni santo giovedì le ordinava la sua stupida pizza salsiccia e funghi… o se lei come me avremmo dovuto continuare a tirare quel gioco immaginandoci l’un l’altra dietro la copertura di una pizza a domicilio. Distraendomi penserò che è sempre così difficile entrare nelle vite degli altri e penserò ancora alla voce e al volto di lei.
Immagine di Pixabay
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Racconto di Simone Bachechi.
Nato nella campagna Toscana fra campi di mais, zucchine, melanzane, carote e aie piene di galline, oche e tacchini, pensai di trasferirmi a Firenze per studiare filosofia teoretica, trascorrendo gran parte della mia gioventù su testi di Rudolf Carnap, Saul Kripke, Ludwig Wittgenstein, il circolo di Vienna ed altre amenità di questo tipo: quando si dice due braccia rubate all’agricoltura. Poi ho fatto altre cose e per resistere vivo nascosto, leggo, soprattutto racconti, ogni tanto ne scrivo e non sopporto quelli che dicono ci aggiorniamo, perché le parole sono importanti!!!
Mi sembra un ottimo sviluppato bene solo in parte. Mi sarei aspettato un finale più “dirompente”, non definitivo ma in qualche modo rivelatore.
Credo serva una generosa di editing perché c’è molta confusione di tempi e modi verbali, e qualche errore di distrazione quali “gli” al posto di “le” e simili.
Il racconto di Simone ha un po’ diviso il collettivo: lo stile a mo’ di flusso di coscienza e la trama-non trama, diciamo, che fa svolgere il racconto nella sola mente del protagonista ha raccolto da un lato curiosità e favore, dall’altro qualche dubbio. Certamente può essere ancora migliorabile, e ben vengano i tuoi suggerimenti che ci auguriamo l’autore colga e “ribatta”, però in un certo senso forse qualcosa si potrebbe lasciare così, come se la confusione che rilevi tu riflettesse anche quella della mente del protagonista. Che dici, ci può stare?
Sì, ci può stare a patto che non comprometta la “qualità” della lettura.
Nel senso che a un certo punto, tra presente, passato e periodi ipotetici, mi sono veramente perso.
Ben venga un racconto che “mima” le nostre quotidiane e personalissime paranoie con i suoi apparenti “non-sense” e i salti logici tipici del flusso di coscienza, ma una certa coerenza grammaticale aiuterebbe secondo me.
Just my two-pence…. 🙂
PS Ovviamente nel mio primo commento mi sono perso un “tema”: “un ottimo TEMA sviluppato solo in parte”
Caro Mattia, cara Ileana e tutti voi del collettivo,
grazie della lettura, delle vostre note critiche e per avere addirittura scomodato “il flusso di coscienza” per cercare in qualche modo di tinteggiare il mio scritto che forse non è che l’espressione di alcune “pippe mentali” del protagonista. Che queste poi abbiano trovato accoglienza e un certo riconoscimento presso un bel blog letterario mi rende ovviamente felice. La descritta confusione di tempi e modi verbali e perché no anche l’uso errato di alcuni pronomi (credo uno in realtà, della cui cosa mi assumo la responsabilità e chiedo a voi del collettivo se vorrete di sanare), sono da inquadrare in questo “pippamentalismo”, va bene fantasticherie, del protagonista. Infine sul finale più dirompente e rivelatore una riflessione personale: il problema sta sempre nelle aspettative e mi va di chiudere ringraziandovi ancora sinceramente citando un “verso” di Morrissey, prima che prendesse l’abitudine di imboccare i sensi unici a manetta: “What makes most people feel happy, leads us headlong into harm” (da “Paint a vulgare picture-The Smiths).
Un abbraccio
Simone