Copertina di Muffa

Muffa

L’aveva tradita. Marta era seduta al tavolo della cucina senza decidersi ad andare a dormire, perché nel letto avrebbe trovato il marito: disteso sotto le coperte, su un fianco, come al solito. Se ne sarebbe stato lì, insaccato negli strati caldi di tessuto, a trasudare placida serenità e beatitudine, sprofondato nel sonno. Granitico e irremovibile. Nulla avrebbe scalfito le sue notti e la sua routine.

Marta, invece, quelle notti le avrebbe passate in preda all’agitazione, dominate dall’insonnia. Avesse almeno perso ore di sonno per un buon motivo! Tra rimanere sveglia con lui inerte di fianco e restare in cucina, a fissare il tavolo rivestito in formica scadente, preferiva di gran lunga la cucina. Aveva anche spento la televisione, tanto scarsa era la concentrazione di cui era capace.

Quando lo aveva raccontato alle amiche, accorse dietro sua convocazione per una riunione d’emergenza, avevano tirato un sospiro di sollievo. Quello non era un vero tradimento, avevano detto. Immaginavano di peggio, avevano aggiunto poi. A Marta era venuto il dubbio di non essersi fatta capire e ancora oggi lo sospettava.

Lui le aveva voltato le spalle, il suo era stato un vero e proprio voltafaccia: aveva provato a spiegarlo a Monica e Milena, e forse in parte lo avevano anche capito, ma nessuna delle due era sposata, a malapena avevano una relazione stabile. Che poi, quella di Monica non lo era nemmeno tanto, visti i continui tira e molla. E poi erano più giovani di lei. A quell’età, anche avere cinque anni in meno faceva la differenza. Quelle due avevano ancora tempo, ma Marta no. E il marito lo sapeva: semplicemente non gliene importava nulla. Aveva aspettato che fosse sulla soglia del traguardo finale per rivelarle le sue intenzioni, anzi, lo aveva fatto solo perché lei lo aveva messo alle strette. Aveva confessato, ferendola a morte: quel bambino non lo avrebbe mai voluto, né ora e né mai. E adesso Marta, alla soglia dei quarant’anni, si trovava intrappolata in un matrimonio inutile, consumata dal desiderio di diventare madre e con accanto un uomo che l’aveva tradita negandole ciò che bramava di più. Quando Monica le aveva chiesto se avesse preferito essere tradita per davvero, Marta aveva detto sì. Quantomeno sarebbe stata una situazione risolvibile, da lì si poteva ancora tornare indietro. Da questo tradimento, vivo e reale dentro di lei, non si poteva tornare indietro.

Marta si sentiva la statua di cera di se stessa. Se ne stava lì in cucina, dentro al cono di luce proiettato dal lampadario che pendeva dal soffitto, con le mani appoggiate sul tavolo e le schiena sorretta dal dorso della sedia. Trascorreva le serate in quella posizione da quando lui si era svelato in tutta la sua crudeltà. Il collo le cominciava a dolere, piegato com’era verso il basso. In un gesto di autoindulgenza iniziò a roteare la testa per allentare la tensione. I suoi occhi incrociarono il soffitto e Marta notò una macchia di muffa che, era pronta a giurarlo, la settimana prima non c’era. Quando era apparsa? E come aveva fatto in così breve tempo ad allargarsi tanto? Si focalizzò sui contorni grigiastri, resi ancor più sfumati dalla penombra della stanza. Strizzò gli occhi e guardò la macchia nel suo insieme, cercando di rintracciarvi la forma di qualche oggetto o animale come si fa con le nuvole. Una nuvola tossica, pensò. Ma l’indomani l’avrebbe cancellata, a suon di colpi di straccio imbevuto di candeggina. Non sarebbe stata una soluzione definitiva, ma avrebbe retto per un po’. L’aveva già sperimentato con successo in bagno. Marta sentì la gola chiudersi e un’alternanza di caldo e freddo farsi strada attraverso il corpo. L’idea di quella muffa colonizzatrice che si spandeva sui soffitti di casa le dava ansia. Non era pronta a ingaggiare una nuova battaglia, ne aveva appena combattuta una e ne era uscita sconfitta. Le valigie. Era l’unica cosa che le restava da fare. Sorrise pensando a Roberto, alla sfida che gli avrebbe lasciato e alla sua totale incapacità di affrontare quella muffa invadente. Non avrebbe saputo dove mettere le mani e non c’era nemmeno più sua madre a dargli consigli. Ammesso che lui se ne accorgesse. Il sorriso le si allargò sul volto: a sua insaputa, la muffa avrebbe preso il possesso del soffitto, avanzando con comodo, da ospite indisturbata e traboccante. Sarebbe scesa lentamente lungo le pareti, magari l’avrebbe soffocato nel sonno con le sue spore sottili e volatili, che giorno dopo giorno si sarebbero posate su mobili, vestiti, oggetti e alimenti. L’unico aspetto che le provocava rammarico era il fatto di non vedere la putrescenza ucciderlo. Perché sarebbe stata già lontana: non sarebbe importato dove, Marta un posto l’avrebbe trovato, di risorse ne aveva in abbondanza. Se si fosse sbrigata e avesse fatto piano, sarebbe riuscita a far entrare lo stretto indispensabile in due valigie e si sarebbe chiusa la porta alle spalle nel giro di un paio d’ore. Lui non se ne sarebbe accorto, quando Roberto dormiva non c’era per nessuno. Guardò fuori dalla finestra, al di là dei vasi di piante del balcone, che senza la sua cura sarebbero presto avvizziti. Le restava giusto il tempo di metter via il necessario prima dell’alba, il resto l’avrebbe mandato a prendere. O se lo sarebbe potuto tenere, a Marta non importava più niente. Forse era ancora in tempo per vivere un’avventura fruttuosa. Magari proprio mentre cercava di trascinarsi dietro le due valigie, un bell’uomo si sarebbe offerto di aiutarla e le avrebbe proposto di conoscersi meglio davanti a un cappuccino e cornetto. E da lì poi… in fondo, per avere un bambino bastavano pochi secondi. Mica le serviva un marito. Certo, era utile, lo sapeva anche lei, per il mantenimento, l’opinione della gente e tutto il resto, ma passava in secondo piano. L’importante era che facesse il suo dovere di maschio e tanto bastava.

Marta alzò gli occhi e le sembrò che la macchia si fosse già allargata, probabilmente aveva subodorato la sua partenza e si stava accomodando. Brava, le disse Marta tra sé e sé, ora te lo lascio, il caro Roberto, saprai cosa farne.

Di solito il marito era rumoroso al risveglio ma quella mattina la sorprese. Quando le posò una mano sulla spalla, per mantenere l’equilibrio più che per compiere un gesto di affetto, la fece raggelare. Marta ebbe uno scossone e si riavviò: si alzò di scatto dalla sedia, lanciò un’occhiata alla muffa e diede il via alla sequenza di azioni rituali per la preparazione del caffè. Chiese a Roberto di passarle il secchio e lo straccio dicendogli che le servivano per cancellare la muffa. Lui obbedì senza opporsi, ma non capiva a cosa si riferisse. Lui non aveva visto nessuna muffa da eliminare.

Foto di copertina di Doctor Tale & Mister Shot

7 pensieri su “Muffa

  1. Un racconto intenso e drammatico che riesce a mettere in luce quando nella coppia non c’è la perfetta sintonia su certi passi da fare. Scrittura piacevole e coinvolgente.

    1. Grazie Giuseppe, mi fa molto piacere il tuo commento. Hai colto l’intento del racconto e da ciò che scrivi mi sembra di essere riuscita a esprimere anche il conflitto individuale che segue al non essere in accordo come coppia…

  2. Molto intenso. Impossibile non farsi coinvolgere dalla lotta interiore di Marta. Trovo stupendo il tuo stile, chiarezza e trasparenza non ti mancano e sono le due caratteristiche che apprezzo di maggiormente.
    C’è tanta di quella cruda realtà in queste righe da meritare numerose riletture.
    Complimenti.

    1. Grazie! Anche il tuo commento merita numerose riletture, soprattutto quando nell’usare questo stile mi vengono tanti dubbi legati al fatto che può sfociare in una scarsa caratterizzazione dei personaggi, in poche descrizioni fisiche e ambientali se non quelle funzionali alle dinamiche interne ecc ecc
      Ti ringrazio davvero per la tua lettura attenta e per il riscontro. E scusami per la tardiva risposta.

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