127,96 foto di copertina by Alessia "Stamp" Damiani

Mia e Ana

Il dolore al dorso della mano mi sorprende. Reagisco d’impulso e tento di gridare “Ahi!”, mordendomi le dita ancora in bocca. Nuove scosse di sofferenza si uniscono a quelle che già provo, ma mi costringo a resistere, decisa a terminare la missione. La furia tuttavia prende il sopravvento. In maniera inconsulta caccio il medio e l’indice nel profondo della trachea, ancora, ancora e ancora. Mai a sufficienza. Sento la carne lacerarsi e la ferita nella mano dolermi. Caldo liquido – sangue? – si mischia alla saliva. Vagamente realizzo che mi sto graffiando il palato. Se potessi, in gola, ci infilerei tutto l’arto per sradicarmi lo stomaco con quello che c’è dentro. La trachea si contrae, mi si stringe intorno alle dita. Il ventre sussulta in preda agli spasmi. Non collabora, il dannato corpo; questa lardosa prigione mi boicotta. Non cedo. Potrei usare altri mezzi, il manico dello spazzolino o della spazzola, arrivano più a fondo, possono essere efficaci, ma le mani, quelle, le dirigo meglio. Alla fine vinco. Arriva il fiotto di vomito, erompe dall’interno di me, con violenza, verso la tazza del wc. Schizza dappertutto. Dovrò di nuovo pulire il bagno, non so nemmeno quante volte l’abbia già fatto oggi. Non importa, ciò che conta è riuscire a espellere ogni briciola di cibo ingerita. Ho i capelli impiastricciati – li avevo legati – ma, come spesso accade, si sono sciolti finendo penzoloni nel water. Se non avessi questa specie di gnocco sformato al posto della faccia, li taglierei: finché non riuscirò a dimagrire, li terrò così per mascherare il grugno suino che mi ritrovo. Tossisco. Rigurgito. Rigurgito e tossisco. Sento il getto organico e puzzolente sulla mano, nemmeno mi pulisco, continuo a cercare di procurarmi il vomito. Soffoco. Il muco m’intasa il naso insieme a resti di alimenti. Non vedo più, le lacrime mi accecano, colano bruciandomi le guance, chiudo gli occhi, la testa pulsa, mi sembra che la faccia stia per scoppiare, la sento in fiamme, tumefatta, gonfia, nemmeno avessi un ascesso. Le palpebre strette con forza, stelle fosforescenti che ci ballano dentro, continuo imperterrita. Non posso fermarmi. Devo arrivare a sputare bile. Solo allora saprò di non avere più niente dentro.

È iniziata il secondo quadrimestre del terzo. Tardi rispetto alle veterane della mia classe. Ma in pochi mesi le ho battute tutte. Alcune, tre in particolare, erano delle thinspo spettacolari. Le spiavo, la memoria dello smartphone piena di loro foto rubate, le seguivo su Instagram, non avevo bisogno di nessun’altra ispirazione: Francesca, Eleonora e Samantha erano i modelli da imitare.
Volevo assomigliargli. Sembravano delle dee: magrissime, piene di energia, sempre curate e bellissime, straripanti di felicità. Io ero una triste, grigia, mediocre, grassoccia, informe ragazza, e in terza mi ero pure rotta una gamba, prendendo altri quattro chili, e alla fine i miei, anche grazie alle sollecitazioni del dottore, hanno ceduto, permettendomi di iniziare una dieta dimagrante.
L’obiettivo era calare dodici chili in nove mesi, iniziando alla fine di aprile e arrivando al gennaio successivo, per poi tornare a un regime alimentare normale. Ovviamente il mio traguardo di dimagrimento era molto diverso da quello programmato e ho approfittato della dieta per raggiungerlo nel minor tempo possibile. Ho iniziato a praticare nuoto per riacquistare tono muscolare. Sono riuscita, con grandi storcimenti di naso da parte della genitrice, a prendere il controllo dei fornelli, a prepararmi da mangiare autonomamente. La situazione mi concedeva una libertà mai avuta prima: la supervisione dell’alimentazione e, grazie allo sport, una maggiore gestione del tempo libero. In realtà, i genitori si erano ammorbiditi da un po’ sulle uscite e gli orari del rientro: avevo quasi diciassette anni! Andavo in piscina da sola, direttamente dopo la scuola, così ho iniziato a saltare il pranzo. Mi preparavo il pasto come indicato dalla dieta:

pane di grano duro gr 100
bresaola gr 50
grana gr 40
rucola condita con gr 10 di olio d’oliva;

oppure:

un panino integrale gr 100
carne di vitello cotta alla piastra gr 100
spinaci conditi con gr 10 di olio d’oliva.

Seguivo con minuzia le indicazioni, pesavo al grammo le porzioni, preparavo il contenitore del pranzo e i frutti per gli spuntini e buttavo via tutto all’ora di mangiare. Risparmiavo solo la frutta, dividendola in quante più parti possibili per distribuirla durante la giornata secondo il bisogno; e portavo con me l’immancabile bottiglia d’acqua, naturale, nel caso i morsi della fame si facessero sentire e avessi necessitato di un riempitivo efficace. Conoscevo i gruppi di supporto su WhatsApp, anche le mie compagne ne avevano uno privatissimo: si scambiavano consigli, soprattutto per evitare influenze domestiche. Ma non osavo chiedere aiuto: se non ce l’avessi fatta a raggiungere i miei obiettivi, avrei dovuto fronteggiare un fallimento pubblico. Non potevo reggere a una simile vergogna. Volevo diventare Pro-Ana. Sentire finalmente la pancia protestare, vedere le costole spuntare, le ossa della spina dorsale emergere come pinne di squali da un mare calmo, le guance sparire, gli zigomi dominare su un viso smunto, diafano, sublime. Da tanto desideravo varcare la soglia di quel mondo meraviglioso, ma non mi ero mai trovata nella condizione ideale. Ora, invece, avevo la possibilità di realizzare il sogno. Sarei andata da loro solo una volta raggiunto l’obiettivo, da vincente, degna di accedere all’Olimpo di Francesca, Eleonora e Samantha.
In Ana sono entrata quasi subito. Il periodo migliore della mia vita. Sono dimagrita in modo abbastanza rapido, ben oltre i dodici chili previsti. Ed è stato bellissimo. I pantaloni cominciavano a scivolarmi via; i polsi, poi, erano qualcosa di indescrivibile, passavo ore a misurarli, a carezzare le ossa che sporgevano. L’estate sono riuscita a farla passare e mi sono ritrovata all’inizio del quarto con la solita routine: dieta, scuola, piscina. La sera, per non destare sospetti, mangiavo, ma riducendo a grammo a grammo le quantità prescritte. La mattina mi alzavo prima della sveglia dei genitori, con la scusa di studiare, e, quando mia madre scendeva a preparare la colazione, io avevo già inscenato la recita, lasciando i resti di un finto pasto non consumato. Nascondevo il dimagrimento con l’abbigliamento. Non ero mai stata attenta a certe cose, così quando ho iniziato a chiedere i soldi per una maglietta tanto carina che avevo visto nel negozio vicino alla scuola o per il paio di pantaloni stupendi a cui non potevo proprio rinunciare, i miei sono stati contenti di assecondarmi. Mi vedevano felice e hanno pensato che dimagrire mi stesse facendo bene. Non mi pesavo più dal dottore, avevo una buona scusa per tutto e per tutto una soluzione, così da evitare di insospettire padre e madre e di compromettere quel periodo favoloso. I problemi sono cominciati alla fine della dieta. Non subito. All’inizio ai miei è sembrato normale che io continuassi a fare attenzione. Credevano che mi dovessi stabilizzare e che poi tutto avrebbe ripreso il corso naturale. Ma io avevo una paura fottuta. Non me ne fregava più di far parte dell’esclusivo club delle dee della classe: ero finalmente bella, forte, soddisfatta del nuovo aspetto e dei risultati ottenuti. Avevo attirato l’attenzione anche di qualche compagno più popolare nel liceo, ma la cosa fondamentale era continuare a sentirmi in quel modo per me stessa, avevo il controllo, non potevo permettermi di perderlo. Non avevo bisogno di nessuno a parte Ana. La mia guida, la mia salvezza, l’unica possibilità di felicità. Assorbivo, avida, trucchi nei pochi blog ancora attivi. Passavo ore on line, per cercare modi di ingannare i genitori. Avevo inventato una serie di scuse credibili per saltare i pasti normali e mangiare a orari insoliti evitando intromissioni. Mi sentivo un’eroina, impegnata nella battaglia contro lo schifoso essere lardoso nel quale rischiavo di ritrasformarmi, con solo Ana al fianco. Non è durata molto. A stento sono arrivata all’inizio del quinto. Sono collassata e mi hanno ricoverata. È iniziato l’inferno. I miei hanno attuato una specie di regime di polizia. Le liti con mia madre non finivano mai. Ho messo in campo tutte le capacità di dissimulazione di cui disponevo, crisi isteriche, minacce di ogni genere, cibo sputato nel fazzoletto, lassativi, aceto, bicarbonato, tisane, infusi, qualsiasi cosa pur di causare attacchi di diarrea, nausea, voltastomaco, qualsiasi cosa per non mangiare, per non assimilare. Fingevo malanni di ogni tipo e tanto facevo che, alla fine, mi sentivo male veramente. Ho preso a vomitare con regolarità. L’avevo già fatto prima, ma solo in situazioni eccezionali. Odiavo la mia famiglia di un odio profondo e assoluto. Ero riuscita a migliorarmi senza il loro aiuto, anzi, proprio perché mi ero staccata da loro e dalle schifose abitudini che mi imponevano, e questo li faceva impazzire, soprattutto mia madre. Non voleva lasciarmi andare. Era una fallita e l’unico modo per sentirsi migliore era rendere me peggiore. Ma ormai non poteva più portarmi indietro. Tuttavia, lo scontro diretto non funzionava. Ero come imprigionata in una rete, se mi dimenavo, peggioravo la mia condizione. Volevo essere libera, libera di seguire Ana e i suoi insegnamenti, ma dovevo trovare il modo di uscire di casa. Mi ero pure lasciata con il tipo con cui stavo dalla fine del quarto, Luca: come i miei genitori si era messo in testa che dovessi essere salvata. Alla fine della storia, non lo sopportavo proprio: se non fossi dimagrita, non si sarebbe mai accorto di me e poi, a un tratto, ha iniziato a farmi storie proprio su quello che ci aveva permesso di stare insieme! L’opportunità di liberarmi di tutti loro me l’ha data la fine del liceo, cambiare città per frequentare l’università. Ma era fondamentale sembrare guarita: anche se io sapevo di non essere affatto malata, dovevo stabilire una tregua, fuggire da quella maledetta casa. Così ho accettato di vedere uno psicologo. Ho finto di non stare attenta al peso, ho fatto tutto quello che mi è stato chiesto. Un incubo. Negli ultimi mesi della quinta ho ripreso i chili che avevo perso e pure qualcuno in più. Mi sono obbligata a mostrare che avevo capito: sì, ora stavo guarendo ed ero stata una pazza a seguire un regime alimentare tanto rigido, per fortuna che avevo accettato di essere aiutata. Allora ho conosciuto Mia. Mi sentivo male, però mi dicevo di tener duro, presto mi sarei rituffata tra le braccia di Ana e tutto sarebbe tornato perfetto. Io sarei tornata perfetta. Lunghi mesi di dolore sono passati, con quella ciccia che mi si riappiccicava addosso. I miei mi davano i soldi per pagare l’abbonamento in piscina, ma non ci andavo. Facevo troppo schifo, cicciona com’ero, e non riuscivo più a mettermi in costume. Vagavo sola in posti poco frequentati, acquistavo pacchi di biscotti, scatole di merendine, mi imbottivo per poi rigurgitare dove capitava e tornare a casa stanca e sconfitta. Una parte di quei soldi li mettevo da parte, non sapevo nemmeno io bene per cosa. Piano piano in famiglia si sono rilassati e, con la scusa dell’esame di ammissione all’università, ho passato l’estate in casa. Ottenuta l’ammissione, i miei, convinti che fossi guarita, mi hanno lasciata andare. All’inizio ho vissuto in un appartamento con due ragazze, ma questo non mi permetteva di mettere in atto il progetto di votarmi anima e corpo ad Ana. Mi spiavano. Cristina e Nicoletta passavano il tempo a guardare ciò che facevo. Ritenevano normale fare la spesa, cucinare e mangiare insieme. Quando potevo le evitavo, purtroppo avevamo orari simili ed era difficile. Un altro periodo infernale. Inventavo mille scuse per non mangiare in compagnia, senza destare sospetti. Facevo esercizio fisico chiusa in camera, nascosta come una ladra: non volevo che i genitori si intagliassero qualcosa, magari parlando con le mie compagne, dovevo liberarmi da ogni possibilità di supervisione esterna. Perdevo due chili per riprenderli subito, mi abbuffavo, comprando cibo oltre alla spesa fatta con le ragazze, e lo tenevo chiuso nell’armadio perché loro non lo scoprissero, lo buttavo e poi correvo alle ore più impensabili a fare nuova scorta; vomitavo nella solitudine della mia camera dentro buste di plastica, le portavo fuori furtiva per gettarle nella spazzatura. C’erano anche momenti in cui riuscivo a praticare Ana, a seguirla con dedizione, ma duravano poco. Ero furiosa con me stessa e i miei che mi avevano costretta a quell’indesiderata convivenza. Poi ho raccontato in famiglia che Cristina e Nicoletta erano poco serie, mi lamentavo in continuazione al telefono con mia madre, erano talmente casiniste che mi impedivano di concentrarmi sullo studio. Alla fine, ho ottenuto di vivere da sola in un monolocale.
Così all’inizio del secondo anno, cioè di quest’anno, sono tornata in Ana. Ma Mia, una volta incontrata, non ti molla e, rientrata a casa per le feste di Natale, sono precipitata nel circolo vizioso del m’ingozzo per non destare sospetti-vomito di nascosto.
Finite le vacanze, finalmente mi sono potuta rifugiare nel mio monolocale-regno, dedicandomi completante ad Ana. Ho messo in pratica un programma di digiuno ed esercizio fisico severissimo. Ma non ce l’ho fatta a liberarmi di Mia, così mi sono concessa un giorno di abbuffata alla settima, in modo da stabilire una sorta di limite, una specie di contenimento dei suoi effetti collaterali. Ho cominciato a redigere un dettagliato diario alimentare, cosa che già facevo ma occasionalmente. Sono stati mesi di guerra vera, quella per tornare in Ana e seppellire Mia per sempre.
Pagine e pagine di:

Lunedì 14 gennaio

Colazione
1 cracker integrale gr 5 kcal 21,60
Caffè con dolcificante kcal 0,5
Acqua

Spuntino
¼ di mela gr 27 kcal 14,04
Acqua

Pranzo
Mousse magra ai mirtilli gr 100 kcal 111
2 cracker integrali gr 10 kcal 43,20
¼ di mela gr 22 kcal 11,44
Acqua
Caffè con dolcificante kcal 0,5

Spuntino
¼ di mela gr 29 kcal 15,08
Acqua

Cena
2 cracker integrali gr 10 kcal 43,20
Philadelphia light gr 25 kcal 40
1 pomodoro scondito gr 80 kcal 14,40
¼ di mela gr 25 kcal 13
Acqua

Spuntino
Tisana con dolcificante kcal 0,5

Kcal totali 327,96
Esercizio fisico kcal bruciate 200
Saldo giornaliero 127,96

Per poi arrivare al sabato e trovarmi con catastrofi alimentari di dimensioni colossali:

Sabato 19 gennaio

Colazione
Caffè con dolcificante kcal 0,5
Acqua

Spuntino
¼ di mela gr 30 kcal 15,60
Acqua

Pranzo
½ mela gr 54 kcal 28,08
1 cracker integrale gr 5 kcal 21,60
1 vasetto di yogurt magro alla frutta ml 125 Kcal 90
Acqua

Spuntino
½ di mela gr 27 kcal 14,04

Cena
Una pizza margherita surgelata con aggiunta di ½ mozzarella
Patate surgelate al forno ½ busta
4 mozzarelline cotte al forno
2 crocchette di patate
Gelato cioccolata-vaniglia mezza vaschetta
Una scatola di Duplo

Non faccio nemmeno il calcolo delle calorie oggi, mi fa troppo schifo anche solo pensarci, ma sono andata a vomitare appena finito di strafogarmi e non ho smesso finché non ho visto il sangue. Poi mi sono data dei cazzotti sul molle e lardoso ventre per punirmi. Domani farò 3h di esercizio fisico, per compensare l’abbuffata, e non ingerirò nulla di solido, solo tisane, tè verde, acqua e limone.

Ho resistito qualche mese. Non sono rientrata per le vacanze di Pasqua e me la sono cavata. Ma ora che la pausa estiva si sta avvicinando, tutto mi crolla addosso. Le abbuffate sono aumentate, Mia ha preso il sopravvento. Mi odio così tanto, mi sono graffiata tutta la faccia, ieri sera in un attacco isterico, per la repulsione che provo per me stessa. Continuo a prendere a pugni la pancia, a masticare gomme, cerco di non tenere alimenti pronti in casa, ma, nei momenti peggiori, riesco a mangiare anche i surgelati senza cucinarli, per poi immediatamente correre in bagno. Ho buttato tutto il commestibile più volte e altrettante volte sono uscita all’ultimo minuto, preparandomi alla meglio, per fare scorta di qualsiasi cosa trovassi nei negozietti intorno a dove vivo. A volte, raccolgo il cibo dalla spazzatura. Sono dieci giorni che non smetto di ingozzarmi. Ho persino saltato un esame. Nelle ultime quarantotto ore sono arrivata a toccare tutti i fondi possibili. Ho spento il telefonino ieri, appena rientrata dalla spesa. Centosette euro: formaggi, affettati, inscatolati, spuntini. In nemmeno ventiquattro ore, ho rimesso dodici volte. Mi abbuffo, vomito, pulisco il bagno, ricomincio a mangiare, torno a vomitare, pulisco nuovamente il bagno. Sono al limite. Devo riuscire a liberarmi di Mia, ma il pensiero di mangiare mi ossessiona. Devo interrompere questo loop. Non posso permettere che qualcuno mi scopra. Nei passati mesi ero riuscita a dimagrire, quasi come ai tempi d’oro dell’inizio, quando, in piena Ana, ero finalmente splendida e perfetta. Se continuo così, vanificherò gli sforzi fatti.
Devo.
Trovare.
Un modo.
A costo di chiudermi in bagno e buttare la chiave nel cesso per non uscire più, finché non mi sarà passata questa frenesia.

Ormai è mezz’ora che ingurgito cibo ininterrottamente. Questa notte non ho chiuso occhio pensando a lui. Sul far del giorno mi sono alzata e ho cominciato a fare esercizio fisico. Non ha funzionato. Mi sono sentita male. Vertigini, tremiti. Sono tornata a letto decisa a non alzarmi, ma poi ho strisciato verso il frigo, come un ributtante verme, un’orrida, gonfia, grassissima larva.
Il ventre tira in maniera impressionante, sembra stia per esplodere, non sento nemmeno il sapore di quello che ingoio, prima di finire un boccone, ne ho già cacciato uno nuovo in bocca. Devo alzarmi da terra, allontanarmi dal frigo e andare a vomitare, devo cacciare fuori la merda di cui mi sono rimpinzata. Sono una vacca, una vacca stomachevole. Provo a sollevarmi. Su gambe traballanti riesco a mettermi in piedi, briciole e avanzi scivolano via, cadono a terra, come piccoli cadaveri. Fatico a respirare, inizio a spogliarmi per arrivare in bagno nuda, in modo da vomitare liberamente senza paura di sporcare gli indumenti, ma perdo l’equilibrio, inciampo sui pantaloncini del pigiama, mentre cerco di toglierli, crollo a terra sulle ginocchia, sento un dolore terribile irradiarsi al corpo, ho le vertigini, sudo, provo a rialzarmi, ma una pugnalata alla pancia mi fa urlare di dolore, inizio a vomitare senza nemmeno dovermi stimolare, un fiotto rimbalza sul pavimento, mi schizza addosso. È un bene, pulirò dopo. Tanto vale finire il lavoro qui dove sono. Porto la mano alla gola, ma con l’altra scivolo e finisco lunga distesa sulla chiazza viscida, la respiro, la tossisco. È la mia finta vita quella che sto sputando fuori. Voglio solo essere magra e bella. In fondo non chiedo molto: perché succede questo? Lo so. È perché ho tradito Ana. Sono una debole, indegna e ripugnante e merito una fine altrettanto indegna e ripugnante. Sdraiata a terra sulla pancia, giro la testa da un lato. Mi pulsa, mi sento soffocare, provo un dolore atroce allo stomaco. Inizio a pregare, non so nemmeno chi: «Fa’ che non mi trovino così, non in queste condizioni, con la trippa gonfia, oscena, disgustosa, fa’ che riesca a liberarmi della roba che ho dentro, fa’ che…».
A fatica, trafitta da lame dolorose, mi giro su un fianco, pitturando il pavimento della cucina con l’ammasso di contenuto gastrico espulso. Violenti tremiti mi scuotono. Mi sento respirare lontana, la bocca piena di rifiuti organici, i graffi doloranti sul viso in fiamme, il corpo impastato di vomito come se fossi io stessa cibo rigurgitato. Devo provarci a rigettare ancora. Il dolore è atroce. Caccio le dita in profondità nella trachea, lì a terra dove sono. Sto male. Soffro orrendamente. Ma devo, devo riuscirci.
Che si sgonfi un po’ la pancia, almeno!
Allora, non tutto sarebbe stato vano.

Foto di copertina di Alessia “Stamp” Damiani

Un pensiero su “Mia e Ana

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