Di fronte, la finestra di Fabio De Masi

La finestra di fronte

Erano le otto e mezzo di una sera di fine maggio. C’erano all’incirca ventidue gradi. Ero uscito sul balcone, che dava sulla via, per prendere una boccata d’aria: io dicevo così, in realtà ero uscito a fumare. C’era ancora una bella luce.
Vivevo solo, in un bilocale. Ogni tanto veniva a stare con me mio figlio di nove anni. Avevo un armadio da cui usciva un letto per lui. Mi piacevano le cose dalle quali poteva uscire qualcos’altro. Il matrimonio non aveva retto, ovviamente. Ovviamente è il mio commento tipico quando si discute di una fine, perché la fine è la logica conclusione di ogni cosa. Un bel gioco dura poco e ‘ste puttanate che ci raccontano da bambini, in realtà, sono dei buoni insegnamenti che bisognerebbe applicare per ogni tipo di gioco. In sostanza ci siamo stufati, ce lo siamo nascosti per anni e poi ci siamo fatti del male tradendoci. Ma ora è passato, in tutti i sensi. E mio figlio è la cosa uscita da qualcos’altro.
In ogni caso quella sera ero solo. Esco a fumare, e noto che la finestra dell’alloggio di fronte, quella del bagno, era semiaperta. Dentro ci vedo una donna sui trent’anni, illuminata dalla luce dello specchio, che si stava lavando le ascelle nel lavandino. Era senza reggiseno. Giro lo sguardo, poi ci ritorno. Intanto tiravo dalla sigaretta assaporando un nuovo tabacco che lasciava la bocca dolce. Sulla ringhiera avevo appoggiato il posacenere, l’accendino e i gomiti; tutti in fila. Quando finisce di lavarsi, prende l’asciugamano, si tampona le ascelle, il seno, poi si gira verso la finestra e mi vede. Si copre con un braccio, istintivamente. Io allora alzo le due dita, con cui tenevo la sigaretta, in segno di saluto, anche se sembrava più l’inizio di una benedizione, e faccio un sorriso simile a una smorfia. Mi pare di aver intravisto un sorriso anche da parte sua, poi ha chiuso la finestra e ha tirato giù la tapparella. Io nel frattempo ho finito la sigaretta e l’ho schiacciata nel posacenere. Intanto la luce intorno si era abbassata notevolmente, tanto da non sapere se fosse già iniziata o meno la notte.

Il mattino seguente, erano circa le nove di sabato, hanno suonato alla porta di casa. Ero sveglio da circa quattro ore, ma nonostante questo, quando non devo andare a lavoro, amo poltrire e farmi i cazzi miei fino a tardi.
Ho guardato dallo spioncino e ho visto un uomo che non conoscevo; mi sembrava quello del palazzo di fronte.
– Chi è? – chiedo.
– Sono il vicino.
Ho aperto.
– Buongiorno – dico – Vedo che tentenna; pare agitato. – Mi dica, chi sta cercando? – continuo. Sul pianerottolo c’era già odore di cucina etnica.
– Mi ha detto la mia ragazza che ieri sera si è messo a spiarla dal balcone.
– La sua ragazza?
– Sì.
– Quindi non è proprio un vicino.
– Che importa.
– La sua ragazza, ripeto e mi veniva da sorridere.
– Che ride? Non c’è nulla da ridere.
– È sua in che senso?
– Non mi faccia incazzare ancora di più.
– Mi scusi, non è mia intenzione; non ho ancora capito perché lei sia qui. In ogni caso io non ho spiato nessuno.
– Poteva rientrare, invece di stare lì a guardarla tutto quel tempo.
– Tutto quel tempo; vivo qui solo da cinque anni. E comunque stavo fumando, sul mio balcone, avevo appena acceso la sigaretta e non volevo sprecarla. Io in casa non fumo.
– E lei era nel suo bagno.
– Quindi ognuno era al proprio posto. Ma perché è qui? Vuole picchiarmi?
– Non vado in giro a menare la gente.
– Allora questo suo gesto è inutile. Poteva starsene a casa a dormire con la sua ragazza.
– Sono un uomo anche io; so benissimo con che occhi l’ha guardata.
– Vuole entrare?
– Non sono venuto per fare conversazione.
– La stiamo già facendo, purtroppo. Comunque l’ho guardata perché era lì, di fronte, proprio come lei mi sta guardando ora, mentre sono in pigiama.
– È diverso.
– Certo che è diverso: io ero a casa mia. E non si preoccupi, non ho più l’età per masturbarmi per così poco.
Siamo rimasti in silenzio per qualche istante. Lui aveva il viso paonazzo, non capivo se per la rabbia o per l’imbarazzo.
– Dai entri, metto su un caffè, alle nove del mattino non voglio questi odori in casa.

Mi sono messo a trafficare con la moka. Dal riflesso dello sportello laccato, ho visto che si è avvicinato alla finestra e ha spostato la tenda per guardare fuori.
– Com’è casa tua vista da qui?
– Mi prende pure per il culo?
– Assolutamente no. Dalla reazione che hai avuto suppongo che sei ancora follemente innamorato. Se lo è anche la tua ragazza, di cosa ti preoccupi?
– Certo che siamo innamorati; almeno, io lo sono. Ma sarei qui in ogni caso, per come sono fatto.
– Sicuro? Da quanto tempo è che state insieme?
– Poco più di tre anni.
– Capisco.
– Cosa?
– Quanto zucchero?
– Due.
– Ti piacciono le cose dolci, vedo.
Si è accomodato; gli ho messo la tazzina davanti e mi sono seduto al tavolo col mio caffè amaro.
– Ti ammiro sai? Non ti invidio, non capisco per quale motivo sei qui, ma ti ammiro – Non sapevo se dirgli che la sua ragazza mi aveva sorriso mentre la guardavo, anche perché non ne ero certo.
– Non c’è niente da ammirare.
– No, è vero. È bello essere innamorati. Follemente innamorati, intendo.
– E lei dovrebbe iniziare a non spiare le donne degli altri.
– Le donne sono di tutti. Sono belle. Sono fatte per essere guardate. E a una donna piace essere guardata.
– Non a tutte.
– A tutte, fidati.
– Non a lei. Poi cosa può saperne di chi non conosce?
– Già. Anche la mia ex moglie mi rimproverava per questo.
In quel momento ho ripensato a quella sera in cui mi disse, “Tu sempre che parli d’amore come se conoscessi ogni cosa, e guarda la nostra relazione che fine sta facendo”. Aveva ragione, ma aveva anche torto: in fondo l’amore è sempre lo stesso. Anche a lei piaceva essere guardata. Io avevo smesso di guardarla, e c’è sempre qualcuno pronto a sostituire degli occhi.
– Mi spiace di non avere nulla da offrirti: ho dei biscotti se vuoi.
– No, non mi vanno.
– Ti giro una sigaretta?
– Non fumo.
Così me la sono girata io e gli ho chiesto di farmi compagnia sul balcone. Le tapparelle di casa sua erano ancora tutte abbassate.
– Sta dormendo? chiedo, indicando con la testa il palazzo di fronte.
– O magari non vuole essere guardata dagli estranei, mi ha risposto.
– Tu hai mai guardato le cose che stanno dall’altra parte?
– In che senso?
– Come adesso, ad esempio. Vedi, hai detto che abitate lì da quasi due anni e state insieme da tre, giusto?
– All’incirca.
– Ecco, ti chiedo, perché prima non è mai successa una cosa del genere? Mi era già capitato, fumando, di guardare all’interno della camera da letto o del bagno, ma se lei entrava si preoccupava di chiudere la finestra o tirare le tende. Perché ieri no?
– Si sarà distratta. Magari era sovrappensiero.
– Già. È proprio questo che intendo. Dovresti venire un po’ di qui per vedere le cose mentre cambiano.
Ho spento la sigaretta e l’ho guardato.
– Ora puoi anche andartene da casa mia, ho un sacco di cose da sbrigare; e ritengo che non abbiamo più nulla da dirci.
– Pretendo le sue scuse, mi fa.
– Ascolta: ho quarantacinque anni, e non me ne frega un cazzo di guardare le tette della tua ragazza da qui. Se lo volessi fare la inviterei a prendere un caffè, tu che ne dici? Vuoi le mie scuse? Ecco le mie scuse: mi scuso se il vostro cazzo di amore finirà, o se sta già finendo; e quando capiterà non sarà certo per causa mia, perché l’ho guardato morire mentre fumavo sul mio balcone. Perché ho guardato un paio di tette!
Mi fissava. Non sembrava più arrabbiato, solo confuso. Non ha aggiunto altro, ed è andato via.

L’inverno successivo li ho visti traslocare. Non insieme, però: ognuno portava via la propria roba.
Pochi mesi prima, nell’autunno, avevo avuto modo di rivedere quelle tette direttamente a casa mia.

Racconto e fotografia di Fabio De Masi

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Fabio De Masi (1980) vive e lavora a Torino. Nel 2013 ha frequentato una palestra di scrittura per racconti presso la Scuola Holden. Nel 2014 ha pubblicato un racconto sull’antologia In giro per l’Italia in Vespa (Giulio Perrone editore). Questa primavera è prevista l’uscita della raccolta di racconti Disamori Domestici (Montag) che includerà anche il presente racconto. Scrive poesie.

3 pensieri su “La finestra di fronte

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