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Il fazzoletto bianco

– Guardate! Guardate cosa ho trovato! – urlava Claudio correndo verso gli amici seduti sul solito muretto.

I tre alzarono la testa all’unisono. Nella languida noia dell’estate, un imprevisto per movimentare i pomeriggi era sempre il benvenuto. Giovanni abbassò il volume del radio-cassette e l’Andamento lento di De Piscopo si affievolì in un sottofondo indistinto. Tutti gli sguardi erano concentrati sull’ultimo arrivato: aveva l’aria eccitata dell’archeologo che ha appena scoperto una nuova necropoli.

– Cos’è? – chiese Luca. Sperava fossero soldi. Avrebbero potuto comprarsi da bere o un gelato, magari anche dell’erba, se il “tesoro” fosse stato consistente. Non che ne fumasse spesso, anzi, erano passati mesi dall’ultima (e prima) volta, alla festa del diploma di un cugino. A essere sincero non gli era nemmeno piaciuto: aveva inspirato troppo profondamente e si era messo a tossire, i compari di suo cugino avevano riso come matti. Agli amici, però, faceva credere d’essere un amatore di lunga data.

Mila e Giovanni aspettavano senza fare congetture perché non volevano rimanere delusi, ma la curiosità li rendeva impazienti.

– Non giocare agli indovinelli, spara! – urlò la ragazza all’amico che continuava a mimare silenziosi “adesso vedrete”.

Trattennero quasi il fiato mentre frugava nella tasca posteriore dei pantaloncini.

– Eccolo! – esclamò sventolando un fazzoletto bianco.

L’espressione sul volto di Claudio era trionfante, gli altri tre lo fissavano perplessi.

– Embè? – fu la reazione di Giovanni.

La smorfia di Luca non aveva bisogno di sottotitoli.

L’entusiasmo dello scopritore era intatto.

 – Stavo venendo qui, a piedi perché ho una gomma bucata, non so cos’è stato: ieri devo aver preso un chiodo, non mi sono accorto di niente, ma oggi era sgonfia… Insomma, se venivo in bici non l’avrei mai visto. Invece così ho attraversato il Parco per fare prima e l’ho notato su una panchina vicino al laghetto… E voi che dite che sono sempre distratto e non faccio caso a nulla. Ho visto subito che non era una cartaccia, ma qualcosa di valore.

Seguirono lunghi secondi di silenzio, interrotti da Luca: – Ma sei scemo?

Giovanni ridacchiò. Mila rimproverò entrambi con lo sguardo. Si rivolse a Claudio con la stessa voce paziente e comprensiva con cui aiutava il fratello minore a fare i compiti: – È un fazzoletto. Un fazzoletto bianco, mia nonna ne ha un cassetto pieno. Perché sei così eccitato?

Aveva tanto sperato che almeno lei condividesse il suo entusiasmo. Non si diede per vinto.

– Ma questo sembra antico, e senti com’è morbido. Dev’essere un tessuto prezioso. Ci sono persino le iniziali ricamate, tutte intrecciate: G.M.C. – Allungò il fazzoletto per farglielo toccare.

– Gina di Minchia Cucùlo, la conosco: è amica di mia zia, lo usa per pulirsi il… – strillò Giovanni sghignazzando, seguito da Luca.

Mila scosse la testa: – Siete due cretini, piantatela!

– O forse vuol dire “Guarda quel Minchione di Claudio” – ribatté Luca ridendo ancora più forte, imitato dal compare.

Mila li lasciò ai loro sghignazzi. Prese sottobraccio lo scopritore e si allontanarono di qualche passo.

– Forse è di seta, Cla, ma sempre un fazzoletto è. Che dobbiamo farci? Ci hai fatto immaginare chissà quale sorpresa, capirai che siamo delusi.

– Ma che vuol dire “è un fazzoletto”: magari chi lo ha perso ci teneva, forse lo sta cercando dappertutto. Potrebbe anche scapparci una ricompensa!

La ragazza sorrise: che ingenuità disarmante, quindici anni e ancora il cervello di un bambino.

– Una ricompensa? Per un fazzoletto?

– Che ne sai, magari è antico. Forse apparteneva a una persona cara per chi l’ha perso, o a qualcuno d’importante… Che ne sai. I fazzoletti erano oggetti di valore in passato. All’epoca dei cavalieri erano simboli, messaggi di fedeltà, d’amore…

– Sì, e pensa che mia nonna lo mette nel reggiseno quando fa troppo caldo per assorbire il sudore. E nonno ci fa un nodo per non dimenticarsi le cose, ma non funziona, perché le dimentica lo stesso.

Claudio cominciava a innervosirsi: – Fate pure gli spiritosi, ma un fazzoletto può essere importante. Pensa a Otello e Desdemona.

– Alla fine della storia crepano tutti, bell’esempio che fai. Dovrebbe darmi voglia di portarlo a casa?

Il ragazzo sbuffò, non voleva fare la figura dello scemo, non davanti a lei.

– Se fossimo, che ne so… soli nel deserto, sotto il sole, con solo un fazzoletto per proteggerci la testa, lo vedresti come sarebbe prezioso, questo pezzo di stoffa! E io lo lascerei a te. E anche la borraccia dell’acqua.

Mila sorrise e finse di non vedere il rossore che gli rivestiva le guance.

– E che ci faremmo soli nel deserto io e te? – chiese piano, ma prima che lui potesse rispondere furono raggiunti dagli amici.

– Ehi, ragazzi, abbiamo trovato: “Gradisco Moccio Colante”, ecco il significato delle misteriose iniziali, sono le istruzioni d’uso! – sibilò Luca posando un braccio sulle spalle di Mila.

– Questa è fighissima, dovete ammetterlo, – aggiunse Gio.

Ridevano così di buon gusto, fieri della loro trovata, che strapparono un sorriso anche agli altri.

– Che scemi che siete! E se avessi ragione io? Le iniziali fanno pensare a un nome nobile, magari di sangue reale.

– E se anche fosse? Come lo ritroviamo?

Claudio si strinse nelle spalle.

– Forse hanno messo un annuncio per oggetti smarriti?

Perduto prezioso fazzoletto usato. Chi dovesse ritrovarlo è pregato di contattare il barone Giulio-Mauro della Cazzuola. Ricompensa in caccole baronali, – declamò Luca scimmiottando quella che a lui sembrava una voce da araldo.

Claudio sorrise di nuovo, indeciso se sentirsi più offeso o divertito. Ma non voleva ancora arrendersi.

– E se… –

– E se lo butti sto fazzoletto, Cla, e andiamo a farci un giro in centro? Mila ti carica sulla bici e vi tiro con il Ciao.

– E ci facciamo una granita al chiosco di piazza Mazzini. Mio padre mi ha dato doppia paghetta perché ieri gli ho lavato la macchina. Offro io! – concluse Giovanni scuotendo le tasche della salopette di jeans per far tintinnare le monete.

Claudio guardò gli altri incamminarsi verso i loro due ruote. Potevano essere cretini e insopportabili a volte, ma poi erano così, sempre pronti a condividere. Erano i suoi amici, fin dall’asilo. Erano loro a riportarlo con i piedi per terra quando si lasciava prendere troppo dall’immaginazione. Quando partiva con la testa nelle nuvole e i piedi gli inciampavano nei pali della luce, come diceva sua madre.

E poi c’era Mila. Da quando era arrivata ad abitare nel palazzo di Giovanni era diventata parte della banda. Il quarto moschettiere. Lui però D’Artagnan non se lo era mai immaginato così carino, con le ciglia lunghe lunghe e quelle tette piccole e a punta che spingevano da sotto la maglietta, che a lui capitava di sognarsele di notte.

– Allora, vieni? Smetti di stare lì imbambolato, butta quello straccio e sbrigati o ti molliamo qui.

Si strinse nelle spalle, diede un ultimo sguardo al fazzoletto e lo lasciò cadere a terra tra i mozziconi di sigaretta e le gomme masticate. Corse a raggiungere gli amici.

Erano passati solo un paio di giorni, i tre amici d’infanzia tornavano a casa da un torneo di biliardino, con il morale a mezz’asta per essere stati battuti da una squadra di ragazzini delle medie. Ognuno rimuginava in silenzio alla ricerca di una giustificazione per placare il proprio orgoglio ferito, quando Luca notò dei volantini affissi qui e là.

– E quelli cosa sono?

“Smarrito nel quartiere prezioso fazzoletto di seta bianca, ricamato con il monogramma di famiglia del Duca Gian Maria Coccapani. Cimelio dei suoi avi, di inestimabile valore per sua eccellenza. Generosa ricompensa. Contattare il numero…”

– Cazzo, Cla. Avevi ragione tu. Siamo delle merde…

Claudio senza scomporsi rimase a guardare gli amici disperarsi tra scene madri e turpiloquio d’ordinanza. Giovanni, che doveva sempre esagerare, urlava e fingeva di strapparsi i capelli.

Claudio sorrise. Non aveva detto a nessuno di essere tornato a cercarlo la sera stessa, quel fazzoletto, prima di rientrare a casa. Lo conservava ben piegato dentro a un sacchetto di carta, al sicuro nel suo cassetto dei calzini. Generosa ricompensa. Quelle due parole gli solleticavano la fantasia. Quanto generosa?

Non voleva mantenere per sempre il segreto. Avrebbero condiviso come al solito, ma prima voleva divertirsi un po’. Farli disperare e sentire in colpa. Lo avrebbe detto loro solo dopo aver intascato la ricompensa, e magari portato Mila a mangiare un gelato. Il cuore gli scoppiava di gioia e d’orgoglio. Per i sognatori sono rare le occasioni di cantar vittoria e questa voleva godersela tutta.

Forse il duca, folle di gratitudine, vorrà invitarci a cena nel suo maniero. I duchi abitano nei manieri, o solo i re?

Non ne era sicuro, ma di certo sarebbe stato meraviglioso e già immaginava l’ammirazione nello sguardo di Mila. Una Mila bellissima, vestita come una principessa da Mille e una notte, perché mica ti puoi sedere alla tavola di un duca in jeans e fruit bianca… già, ma io come mi vesto?

Forse era presto per preoccuparsi dell’abbigliamento consono per un invito a cena ancora inesistente, ma preferiva non rischiare.

– Luca, Gio, chi di voi ha una cravatta da prestarmi?

Copertina di Dimhou da Pixabay,

trasformata in disegno tramite IA

 

 

 

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