Il concetto di addio

Il concetto di addio

Passeggia per la città e riflette sul concetto di addio.
L’etimologia parla chiaro: la parola deriva dalla locuzione a Dio, cioè raccomandare all’Onnipotente. Un congedo dal sapore di definitivo, un commiato profumato di eternità.
Insomma, si dice addio quando non si contempla un ritorno. Quando si lascia con la consapevolezza che non ci si vorrà o potrà più rivedere. E nemmeno sentire.
Un’eclissi senza fine di sentimenti, emozioni e fisicità. Con la bieca consapevolezza che l’altro o l’altra continuerà ad esistere in un differente emisfero esistenziale.

Ed è proprio mentre cammina che si accorge di quanto questa parola possa tradire. Perché nonostante l’abbiano pronunciata entrambi come un triste, sintetico incantesimo, lei è ancora lì. Nonostante lui, col groppone in gola di chi termina una lunga e profonda relazione, si fosse accomiatato con l’aria di chi cambia continente, lei gli è rimasta al fianco, di fronte o alle sue spalle.
Che siano i suoi occhi verdi, l’armonia dei suoi lineamenti o la sua voce delicata, non c’è possibilità di allontanarsi da lei. I suoi dettagli sono sempre presenti e lo accompagnano anche adesso, alla fermata della metro in cui gli verrebbe voglia di attendere i quattro minuti e mezzo segnalati sul tabellone luminoso per scagliarsi sotto al primo treno in arrivo.

La beffa del destino. Ma lei è proprio lì, davanti a lui. E lo scruta con gli enormi occhi verdi capaci di ipnotizzarlo. E mentre si fissano, pensa che siano ancora più grandi del solito, anche se più sgranati.
Lei lo sta fissando insistentemente. Poco importa che lo faccia da un cartellone pubblicitario posto all’interno del tunnel della linea gialla nella metropolitana milanese.

Capita almeno un paio di volte al giorno. Lo sta perseguitando. E lui non riesce a rifuggire da quella presenza.
Non può essere possibile. Da quando è finita, lei non lo lascia in pace; che sia in questo cartellone in metropolitana, sulle fiancate degli autobus o dei tram, in televisione in qualsiasi fascia oraria. O ancora online, negli spot che anticipano le canzoni e i video che tenta di visualizzare.

Sa che non c’è modo di uscirne. Lei lo scruta e sembra quasi volergli ricordare che è capace di scortarlo, ad ogni suo passo, nella città che comincia a detestare con tutto se stesso.
Perché lei è dappertutto. Forse qui come altrove, in ogni metropoli, in oggi città, in ogni paese e in ogni frazione del territorio italiano.
A volte pensa che dovrebbe emigrare. Andare altrove per dirle, con un nuovo magone, ancora addio. Un addio che possa essere autentico. Magari oltre oceano, dove la sua presenza non possa palesarsi.
O forse nemmeno là troverebbe pace. Il tempo potrebbe condurre la sua immagine e il suo volto all’estero, magari su qualche manifesto pubblicitario di qualche piccola cittadina della Patagonia o in qualche film trasmesso a bordo di un autobus thailandese.

Mentre cede al suo verde sguardo, ricorda il motivo di quell’addio e avverte una leggera fitta al petto. E’ finita per le ambizioni di lei, così incapace di vivere una vita normale, per quel sogno artistico che è riuscito a soffocare una storia d’amore.
Pensa alle parole che le ripeteva sempre, fino allo sfinimento, talvolta soffocandola, evitando di credere in lei e in quella sua passione così primordiale. Quando ti cercherai un lavoro normale?, come per cercare di condurla a una scelta fondamentale, con la presunzione del peggiore dei padri castranti: la nostra relazione o l’arte che non ti sta portando da nessuna parte. Come quella volta in cui l’avevano chiamata per un casting importante un maledetto sabato mattina e avevano cominciato a discutere, fino a quando lui aveva alzato la voce, esagerando, facendosi sentire da tutto il palazzo, tarpando ogni margine di negoziazione e ricordandole che dovevano partire per quel week-end in montagna che attendevano da mesi.
Si siede sulla panchina gelida all’interno della metro. Il tabellone luminoso segnala che il treno è in arrivo. Lui prova ad alzarsi, contraendo gli addominali, poi si lascia ricadere.
Il convoglio rallenta con il consueto sibilo che lo stordisce, ma questa volta rimane impassibile. Nonostante la panchina ghiacciata gli geli il fondo schiena, decide di restare ancora un po’ seduto, a guardarla. Per la prima volta è lui a cercare il suo sguardo, e lei non lo distoglie. E per un brevissimo momento, sembra quasi sorridergli.

Copertina di Pixabay

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Massimiliano Piccolo (1982) vive a Laveno Mombello (VA), sulla sponda lombarda del lago Maggiore. Di professione brancola nel buio come tanti della sua generazione. Per il resto ama leggere, vagare per boschi e viaggiare. Suoi racconti sono stati avvistati su varie riviste letterarie tra cui Pastrengo, Argo, A-Rivista Anarchica, CrapulaClub, Inutile e Cadillac.

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