1.
Dal soggiorno, dove Luca aveva preparato il letto per Nicla e Claudio, arrivavano risatine e proteste per il solletico, assieme a colpi soffocati di lotte giocose. Un tonfo pesante sul pavimento, seguito da un attimo di silenzio e da uno scoppio di risate, fece concludere il trambusto. Nicla e Claudio uscirono dalla stanza con circospezione. La porta della camera di Luca era ancora chiusa. Claudio cinse con il braccio nudo la vita di Nicla da sotto la maglietta del pigiama, godendosi il tepore della sua pelle. Quando la baciò lievemente sul collo abbronzato, inalò il profumo della notte e del sonno che il corpo ancora emanava e che impregnava il pigiama. Nicla gli avvicinò i capelli odorosi al viso e fece per poggiare la testa nell’incavo della sua spalla, ma poi si liberò per entrare in cucina, pigramente trattenuta da Claudio per l’elastico della cinta, che schioccò sulla sua pelle quando venne rilasciato. Il tavolo era ingombro di avanzi e stoviglie della cena preparata la sera prima. Nicla si mise a rassettare e ai commenti di Claudio sul fatto che erano in vacanza e che quindi potevano prendersela comoda, lo rimproverò sorridendo. Stavano terminando di lavare e asciugare i piatti, quando Luca emerse dalla sua camera sbadigliando.
“La famiglia italiana!”, li salutò.
“Preparo un caffè?”, chiese Nicla.
“No, lascia stare. Andiamo a far colazione da Martha, all’angolo”, disse.
Nicla e Claudio erano a San Francisco da due giorni, ospiti di Luca, un vecchio compagno di università di Claudio che, dopo il dottorato negli Stati Uniti, era stato assunto da una ditta italiana a San Francisco. Nei weekend e la sera, Luca avrebbe fatto conoscere loro luoghi e locali particolari, mentre durante la settimana, quando lavorava, Nicla e Claudio avrebbero visitato la San Francisco più turistica e i musei. Dopo aver indossato un maglione leggero perché la nebbia era salita dalla baia e non faceva troppo caldo, uscirono dall’appartamento di Luca e in breve arrivarono alla caffetteria Martha & Bros.
“Vengo da Martha ogni giorno, a parte la domenica mattina, quando mi concedo un brunch in un caffè nella Noe Valley. Il tempo per scrivere le e-mail agli amici e dare una scorsa a un giornale italiano su internet”, raccontò Luca.
Nicla si guardava attorno assorbendo ogni particolare. Chiese a Luca informazioni sui numerosi dolci, esaminò la vetrinetta con i succhi naturali, provò a sedersi sul divano e lesse attentamente la lavagna con i differenti caffè, tè e cibi che la caffetteria offriva. Poi tornò a sedersi con Luca e Claudio.
“Apriamo anche noi un caffè come questo?”, chiese rivolgendo uno sguardo scintillante a Claudio, e appoggiando la sua spalla a quella di lui. Claudio sorrise incerto.
“Lo chiamiamo San Francisco Caffè. Io sto al banco a preparare i caffè, mentre tu, amore, che sei appassionato di cucina, ti occupi dei dolci.”
“Cable Car Coffee House sarebbe più originale”, disse Claudio.
“In Italia nessuno sa cosa siano le cable car.” Nicla scosse la testa. “Ma tutti conoscono San Francisco. Bisogna trovare un nome che incuriosisca, senza che suoni totalmente sconosciuto.” Poi, rivolta a Luca: “Credi che possiamo portarci via un menu?”. Claudio si agitò sulla sedia.
“Possiamo chiedere se ce regalano uno”, disse Luca. “Perché non chiamate la caffetteria Muddy Waters? C’è una catena con questo nome.”
“Magari possiamo aprire un caffè in franchising. Dov’è questo Maddy Water?”, chiese Nicla.
“Muddy Waters”, corresse Claudio.
“Mi sembra di averne visto uno in Valencia Street”, rispose Luca. “Comunque ci sono anche altre catene locali che servono dell’ottimo caffè. Peet’s non è distante, è in Fillmore Street, dove c’è anche The Coffee Bean and Tea Leaf. Starbucks è dappertutto e ormai è diventato una specie di McDonald’s del caffè. Poi, c’è il famoso Caffè Trieste a North Beach, ma non credo che ti interessi.”
“Ci andiamo adesso?”, Nicla si protese verso Luca e Claudio.
“Avevamo deciso di andare al Golden Gate Park…”, protestò Claudio.
“Non c’è problema”, disse Luca. “Camminiamo fino alla Fillmore e da lì prendiamo il bus.”
“Bene, abbiamo deciso. Luca scattaci una foto.” Nicla mise un braccio al collo di Claudio. “Inquadra anche il bancone, così vedo come l’hanno sistemato.” Claudio si mise in posa.
Uscirono da Martha, attraversarono Divisadero Street e continuarono a chiacchierare, camminando lungo California Street, fino ad incontrare Fillmore.
“Ho trovato”, disse Nicla. “Lo chiamiamo Golden Gate Cafe e come logo usiamo un’immagine del Golden Gate Bridge. Lo conoscono tutti!”
2.
“Luca! Che bello sentirti.” Nicla teneva il cellulare tra il collo e la spalla, mentre estraeva un pacco di bicchieri di carta con il logo del Golden Gate Cafe e, dimenando la testa verso un armadietto sotto il bancone, indicava a Giulia dove sistemare lo zucchero. “Sei un tesoro a chiamarci il giorno dell’inaugurazione… Lo so, doveva essere il ventisette maggio, come per il Golden Gate Bridge, ma cade di lunedì quest’anno, allora abbiamo deciso per oggi. Claudio ha fatto anche preparare un rivetto d’oro, dorato non proprio d’oro, da inchiodare sul bancone, come l’ultimo bullone, o rivetto, quello che è, del ponte, ma non abbiamo fatto in tempo a sistemarlo. Lo mettiamo la prossima settimana, con comodo… Un casino… Sono qui con Giulia… Sì, è carina. Stiamo preparando la sala e Claudio sta cucinando i dolci con Alice.” Nicla si spostò in cucina. “Ti passo Claudio che ha appena sfornato dei brownies. Uhmm, che buon profumo!”
“Con tutto quello che devo preparare non posso anche rispondere al telefono”, diceva l’occhiata di Claudio, ma Nicla gli ficcò in mano il cellulare e uscì dalla cucina.
“Ciao Luca, non ho molto tempo”, disse Claudio. “Ho chiesto tre giorni di ferie per l’inaugurazione, ma c’è ancora un sacco da cucinare per stasera… Penso anch’io che verrà molta gente. Almeno spero… Nicla ha invitato amici, parenti, sconosciuti… Vedremo chi continuerà a frequentare il caffè, ma credo che stasera andrà bene… Ciao, grazie.”
L’inaugurazione del Golden Gate Cafe, a un anno di distanza dal viaggio a San Francisco, venne dedicata a una degustazione di caffè provenienti da diverse parti del mondo: Giava, Jamaica Blue Mountain e Brasile Bourbon Santos. Claudio aveva cucinato dolci della tradizione statunitense: muffins, cookies, brownies, apple pie, e anche una Sicilian Black Rice Cake. La ricetta era nel bel libro di cucina dedicato al riso comprato a San Francisco, e tra gli ingredienti c’era il caffè. “Non c’entra nulla con i dolci americani”, si era opposto Claudio, ma Nicla aveva troncato la questione dicendo che se la torta fosse piaciuta, allora nessuno si sarebbe lamentato. La serata aveva avuto il suo culmine in un concerto blues, applaudito calorosamente dal chiassoso pubblico accalcato nel caffè.
Il locale aveva chiuso alle due e mezza. Nicla e Giulia stavano al bancone, ridendo dei fatti accaduti nella serata, mentre Alice, che rassettava la cucina, le stava ad ascoltare. Claudio faceva scomparire nel sacco di plastica nera bicchieri e piatti di carta sporchi sparsi sui tavoli, tovaglioli appallottolati e forchette di legno impiastricciate di avanzi di torte. Del caffè rovesciato su un tavolo era colato su due sedie, ora appiccicose, e una fetta di torta, caduta per terra e calpestata, aveva imbrattato il pavimento.
“Riusciamo a sbrigarci e tornarcene a casa?” borbottò Claudio.
“C’è ancora il bagno da pulire” disse Nicla. “Poi, quando abbiamo finito, andiamo a ballare. Non vieni anche tu?”
“No. Sono stanco. Vedo che qui si va per le lunghe.”
“Siamo tutti stanchi.”
“Non mi va di perdere tempo. Invece di chiacchierare, vorrei finire.”
“Stiamo lavorando, non perdendo tempo.”
“Non si può finire domani?”
“No. Anche se apriamo tardi, dobbiamo preparare il brunch.”
Claudio finì di riempire i sacchi della spazzatura, li portò al cassonetto e poi rientrò. Giulia puliva i tavoli con una spugnetta, raccontando che un ragazzo aveva continuato a chiederle il numero di cellulare per tutta la sera. Nicla, che appoggiava le sedie a gambe all’aria sui tavoli, si fermò e le chiese perché non glielo avesse dato.
“Vado a casa”, disse Claudio. Incrociò le braccia e guardò Nicla. Giulia, durante la conversazione, si era messa a pulire dei tavoli distanti dalla coppia.
“Vai, se non vuoi rimanere”, disse Nicla. “Piuttosto di vederti con quella faccia.”
Claudio esitò, infine si avviò rivolgendo un saluto collettivo, salutato di rimando da Giulia e Alice.
Nicla tornò a casa alle sei, dopo essere andata a ballare salsa, dormì due ore e si rialzò per andare ad aprire la caffetteria.
3.
In cinque mesi, il Golden Gate Cafe conquistò una clientela stabile. Nicla si dedicava a tempo pieno alla caffetteria, mentre Claudio, che aveva mantenuto il lavoro in un ufficio di assicurazioni, badava alla cucina di domenica mattina, per il brunch, e venerdì e sabato sera, quando la caffetteria rimaneva aperta fino a tardi per proporre concerti e spettacoli.
Una domenica di ottobre, nell’unico pomeriggio libero della settimana per entrambi, Nicla e Claudio passeggiavano lungo l’argine del fiume cittadino che scorreva lento, ingentilito da cigni e grasse anatre.
“Dovremmo tenere aperto il caffè anche mercoledì sera. Che ne dici?”, disse Nicla. “Molta gente esce a metà settimana. Potremmo organizzare una serata di cabaret o una lettura di poesie.”
“Ma non facciamo già abbastanza per impegnarci anche al mercoledì? Chiudiamo tardi già venerdì e sabato.”
“Sarebbe una serata in più.”
“E chi starà al caffè un’altra serata? Io no.”
“Potrei rimanere al caffè recuperando un pomeriggio. Della cucina invece se ne occuperebbe Alice.”
Claudio raccolse un sasso dal sentiero e lo gettò in acqua. Si fermò ad osservare le onde concentriche che si allargavano dal punto dove si era inabissato.
“Ho sempre seguito io la cucina nelle serate”, disse.
“Mi hai appena detto che non ce la fai. Lascia il lavoro e segui la cucina tutti i giorni, allora.”
“No. Se la caffetteria non dovesse funzionare, almeno io ho un lavoro sicuro. Cosa faremmo se entrambi ci trovassimo senza lavoro?”
“Così però non fai bene né una cosa né l’altra. Non sei soddisfatto del lavoro dell’ufficio e ti lamenti che non hai tempo di fare quello che desideri al caffè. Ti dico di farti sostituire da Alice il mercoledì e neanche questo ti va bene. Sembra che in cucina debba fare tutto tu. Insegna ad Alice come cavarsela così si arrangia quando non ci sei e posso assumere una ragazza che l’aiuti nelle serate.”
“Mi piace la cucina e vorrei occuparmene io.”
“La vuoi seguire e non hai tempo. Deciditi.”
“Comunque alla fine decidi sempre tu.”
“Certo che decido io. Se non arrivano clienti, come pago Giulia, Alice e me? Tu hai uno stipendio fisso, non ti devi preoccupare.”
“Anch’io lavoro. Sembra che vada in ufficio a fare quattro chiacchiere con i colleghi.”
“Non ho detto questo. Se capitano dei problemi tu te ne torni a casa, però. Io, se si guasta una macchina del caffè, rimango finché non arriva il tecnico.”
Nicla e Claudio continuarono a camminare silenziosi. Sul sentiero, quando Claudio la calpestò, una lattina appiattita grattò sui sassi con un rumore stridulo.
“Ho deciso. Mi tolgo dal caffè. Non serve più che continui a venire, e i dolci li può preparare anche Alice.”
“Adesso non fare l’offeso. Ti lagni sempre che non hai tempo per te. Perché te la prendi con me se non vuoi impegnarti di più al caffè?”
4.
Nicla si alzò dal letto e cominciò a vestirsi.
“Stai ancora un attimo”, la supplicò Claudio allungando il braccio verso di lei sulle lenzuola ancora tiepide.
“Sai che non posso, devo sostituire Giulia e Alice”, gli rispose mentre si allacciava il reggiseno. Claudio si spostò per aggrapparsi alla sua gamba.
“Stai qua, non andare via.” Nicla smise di vestirsi e lo baciò sulla testa.
“Non posso, davvero, ho lasciato il pomeriggio libero alle ragazze.” Lui continuò a trattenerla per la gamba.
“Va bene, vai pure.” Lei attese brevemente, poi si svincolò con lentezza e ricominciò a vestirsi.
“Vorrà dire che andrò a trovare Manuela. Ci siamo lasciati da una vita, ma siamo rimasti buoni amici”, disse Claudio.
“Va bene. Allora forse ti tradirò con qualche cliente. Ce ne sono molti che mi fanno la corte.” Poi proseguì poco convinta: “Vieni anche tu al caffè, così mi fai compagnia.” Ma Claudio rispose con un rifiuto, semplice per Nicla da accettare. Si salutarono con un bacio.
Una decina di minuti dopo la partenza di Nicla, Claudio si alzò dal letto, andando incontro alla sua faccia vuota, riflessa nello specchio dell’armadio. Girovagò per casa, attraversando le stanze deserte, fino ad arrivare in cucina. Aprì e richiuse il frigo, poi andò a sedersi in salotto e accese la televisione, passando da un documentario sui bradipi a un film d’azione.
Nicla, in auto, accese la radio e canticchiò al ritmo della salsa, battendo il tempo sul volante. In una ventina di minuti arrivò al caffè. Era sollevata che Claudio non l’avesse accompagnata in caffetteria. Le volte che aveva insistito, dopo che Claudio aveva lasciato il suo impegno con il caffè, se n’era rimasto tutto immusonito dietro al banco, domandandole di tanto in tanto se c’era qualcosa da sbrigare. Quando lei gli chiedeva cosa ci fosse che non andava, rispondeva con stupore che non c’era proprio nulla che non andasse. La sera, a casa, la tensione accumulata da entrambi durante il giorno confluiva in una discussione sulla scelta del film da noleggiare o sulle troppe spese di quel mese.
“Cosa prendete, ragazzi?”, chiese Giulia, sporgendosi dal bancone verso i due giovani che si erano accomodati sugli sgabelli.
“Te”, rispose il più intraprendente.
“Allora una camomilla al bromuro”, disse Giulia. “Invece, vi faccio assaggiare un caffè che è appena arrivato: Guatemala Antigua. Poi mi direte se vi piace.”
“D’accordo, ci fidiamo. Quando arriva Nicla?”
“Perché? Non ti basto io?”
“Lo sai che stravedo per te, ma non vuoi darmi il tuo numero. Quante volte te l’ho chiesto?”
“Giulia, hai un altro pretendente”, commentò Alice affacciandosi dalla porta della cucina.
“Tanto lui è innamorato di Nicla, non vedi come la guarda.”
“Ma se è sposata…”
“E allora, cosa vuol dire? Non sono mica geloso”, disse il ragazzo.
“Com’è il marito di Nicla?”, chiese l’amico che sino a quel momento era rimasto ad ascoltare.
“è uno tranquillo”, rispose Giulia dopo averci pensato un po’. “Sa fare degli ottimi dolci.”
“Ma che ci fa Nicla con un tizio del genere? Lei che è sempre così allegra, che le piace stare in compagnia…”
Giulia si strinse nelle spalle.
“Mi sembra di non aver più visto il marito di Nicla qui al caffè, vero?”
“Ha il suo lavoro.”
“A proposito, qual è il tuo numero di cellulare?”
“Ti ho già detto che ho il ragazzo”, aggiunse con un’espressione d’intesa, rivolta ad Alice che era rimasta sulla porta della cucina. “Arriva tra poco. Te lo faccio conoscere se vuoi.”
“Sì, sì, va bene”, disse il ragazzo ad alta voce e, rivolto all’amico silenzioso: “Andiamo a sederci a un tavolo finché non arriva Nicla. Qui non si combina nulla.”
“Eccola”, annunciò il taciturno. Lei li salutò allegramente, scambiò con loro qualche parola e si diresse verso la cucina per controllare che tutto fosse a posto.
Nicla sentì gli sguardi dei due giovani carezzarle il corpo. Poteva sentire il calore di quegli sguardi che si addentrava nel tessuto fino a raggiungere la pelle. Ormai ci era abituata, e se per certe occhiate provava fastidio, da altre riceveva la soddisfazione della conferma di piacere e di far nascere il desiderio maschile. Anche se la sera sentiva le gambe di piombo per essere stata tutto il giorno in piedi, era una donna di trentacinque anni in buona forma.
5.
“Sono così stanca.” A casa, quella sera, Nicla si era buttata sul divano, poggiando la guancia sulle cosce di Claudio. “Oggi è stata una giornata pesante. Ero da sola e una macchina del caffè si è guastata proprio quando c’era un sacco di gente. Mentre cercavo il tecnico continuavano ad entrare clienti. Ho sbagliato anche degli ordini.” Claudio le pettinava i capelli con le dita, risalendo dall’attaccatura alla base del collo e dividendoli adagio in grosse ciocche.
“Voglio andare in vacanza”, continuò Nicla. “Non fare niente. Distendermi al sole.” Claudio le inanellò l’orecchio con i capelli e riordinò una ciocca che le ricadeva sulla fronte. Da quando il riscaldamento si era spento, la casa si stava progressivamente raffreddando. Nicla, dopo aver accoccolato le gambe per trattenere il calore del corpo, aveva iniziato a respirare con regolarità. Claudio si chinò per sfiorarle la tempia con le labbra, ma lei girò la testa e inarcò il collo per unire la sua bocca a quella di lui.
Nell’oscurità della stanza.
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