È un sabato mattina di un luglio inoltrato. Ha chiuso male le persiane, la sera prima, e il sole che sbuca dal tetto della casa di fronte la colpisce in pieno viso, svegliandola. È ancora molto presto ma sa che è inutile provare a riaddormentarsi, meglio alzarsi e preparare il caffè. In casa non c’è nessuno in quel fine settimana, e neanche sul pianerottolo, si ricorda, i vicini sono in vacanza. Allora accende la radio con il volume un po’ alto in modo da poterla sentire da tutte le stanze, un lusso davvero insolito, e si mette a rassettare il disordine della settimana. E mentre gira per la casa, forse per qualcosa di sentito alla radio, o per qualche strana interferenza nelle onde cerebrali, le viene in mente Marina di San Nicola, un posto di mare sull’Aurelia, non lontano da dove viveva con i suoi, e in particolare il tratto di mare proprio in fondo al paese, davanti al castello, dove le è capitato di fare il bagno una volta perché l’acqua era più limpida. Quanti anni saranno passati? E con chi c’era andata? Forse con sua sorella? Non se lo ricorda proprio. Le viene l’idea. “Potrei andarci stamattina, perché no?”. Una voce subito le dice: “Che diavolo ti viene in mente?” ma lei non l’ascolta, in fondo non ha impegni, non deve fare la spesa, ha innaffiato il giardino la sera prima e così presto non troverà traffico. Farà una breve nuotata, prenderà un po’ di sole e tornerà indietro prima dell’ora di pranzo. Perfetto! Così, prima che l’abituale pigrizia prenda il sopravvento, tacitando la voce che insiste a dirle di lasciar perdere, si mette il costume, infila un vestitino leggero, ed esce.
Arriva sull’Aurelia che sono appena passate le nove e ci sono davvero poche macchine in giro. Non va spesso da quelle parti. È un posto poco sicuro, non per via del traffico o perché mal frequentato: è un luogo pericoloso per i sentimenti. Ha percorso quella strada per così tanti anni, è naturale che a ogni svolta, a ogni incrocio, ci possa essere un ricordo che sbuca inaspettato, che la prende alla gola e le toglie il respiro. Quindi cerca di tenersene alla larga. Ma quella volta, si dice, sperimenterà una tecnica nuova: concentrarsi sulla guida, guardare solo la strada, al massimo sbirciare qualche cartellone pubblicitario, tanto quelli cambiano sempre. Così riesce a oltrepassare indenne il capolinea dell’autobus, chissà che numero aveva, dove l’accompagnava sua madre la domenica pomeriggio, e supera perfino senza problemi proprio l’incrocio dove cominciava la strada per casa sua: è talmente cambiato che quasi non lo riconosceva. “Ecco” dice alla sua voce interiore “lo vedi, sei troppo apprensiva”. E così riprende a guidare rilassata, sulla via per San Nicola. Forse troppo rilassata. Perché subito dopo una curva che le è molto familiare, spinta da un impulso a cui non riesce a resistere, mette la freccia, rallenta ed entra in un parcheggio, lungo un muro alto e grigio.
Si avvia sui sentieri tra le tombe, a quell’ora deserti, e nonostante la scarsa frequentazione del luogo non ha difficoltà a trovare i suoi morti: la madre e il padre sulla fila più in alto; sua sorella un paio di file più in basso. Quello per la madre è stato il primo loculo che hanno comprato. Vista mare, avrebbe detto se in quel periodo fosse stata in vena di fare battute. Infatti dall’alto la vista scavalca la recinzione e si vede la spiaggia, ma certo uno non ha voglia di guardare il panorama, in cima alla scala per mettere i fiori alle tombe. Il padre, morto pochi anni dopo, all’inizio era stato sepolto sotto terra. Un giorno le arriva una lettera dal cimitero, in cui si dice che dopo dieci anni le salme devono essere esumate, se per caso ha già un loculo di proprietà può accomodarci anche lui. “Ho quello di mamma”, si dice, “posso spostarlo lì”. E sul momento non pensa che due bare in un unico loculo non possono entrarci, e così è del tutto impreparata quando al banco del cimitero si presenta un uomo con una cassetta lunga non più di ottanta centimetri e le dice “Ecco i resti di suo padre”. Per un attimo pensa: “Ma che dice questo pazzo, mio padre era alto più di un metro e ottanta!” ma poi capisce e a malapena riesce a soffocare l’urlo che le sta nascendo in gola. Alla fine si riprende, chiede dove deve firmare, poi segue l’uomo che apre il loculo, sposta la bara della madre e ci sistema la cassetta accanto. Lo pianta in asso mentre ancora sta sigillando il nuovo marmo con i due nomi, le due foto e le quattro date, mentre dentro di sé continua a ripetere “Mai più, mai più, mai più”.
E invece di lì a poco c’è dovuta tornare, in quel cimitero, per seppellire sua sorella. Qui le cose sono andate lisce. Marina, donna intelligente e pratica, aveva espresso il desiderio di essere cremata, e questa volta era arrivata preparata di fronte alla sua urna. Cosa c’era dentro? Sali di calcio, in grande quantità, e residui della combustione di materiale organico. Aveva tutto ciò qualcosa a che fare con sua sorella? Assolutamente niente, era ovvio, quindi superò l’evento senza traumi. Almeno apparenti.
Continua a rimuginare davanti alle tombe, finché non si accorge di un uomo anziano, le spalle curve e ossute e i lineamenti del viso ispessiti dagli anni, che la sta guardando. Pensa che la foto che metteranno di lì a poco sulla sua tomba, pescata in qualche vecchio cassetto, non gli rassomiglierà molto. L’uomo scambia il suo sorriso per un saluto e si avvicina.
– Non l’ho mai vista da queste parti. Sono parenti lontani?
– No, sono i miei genitori e mia sorella.
L’uomo la guarda stupito e un po’ scandalizzato. Lei immagina quello che gli passa per la testa. Forse può tollerare che un figlio maschio non visiti la tomba dei genitori, ma una figlia femmina! Inconcepibile. In questi casi lei si sente un’entità aliena. Non rispettare la parte rituale del culto dei morti, forse l’unico sentimento comune a tutta l’umanità, in tutti i tempi, è una colpa gravissima, che non ha giustificazioni. Come spiegare che quel sentimento le è del tutto estraneo ma ciò non fa di lei una cattiva persona? Lei non crede in un’altra vita, e quindi esclude che i morti possano esserle grati della sua visita giacché, essendo morti, non provano sentimenti. Quanto a lei, non trova nessun conforto a sostare davanti a quelle brutte foto, che somigliano così poco a come erano loro da vivi. Si sente vicina a sua madre davanti a una bella pianta di rose, come quelle che lei coltivava, non di fronte a quel pezzo di travertino ingrigito, che riesce solo a intristirla. Tutti dicono di ricevere pace dalla visita alle tombe, lei invece ne esce sempre affranta e arrabbiata con la vita, per quelle morti troppo precoci. Quindi perché darsi questo supplizio? Trova prezioso il silenzio dei cimiteri e le piace visitarli, a patto che non ci sia sepolta nessuna persona cara. Ma non è cosa facile da far capire.
L’uomo continua a guardarla, crucciato, si vede che aspetta una risposta. Non vuole che pensi male di lei, vorrebbe capisse che ama davvero i suoi morti, quindi cerca le parole adatte e il giusto tono per spiegare, ma alla fine si arrende.
– Vivo all’estero.
Finalmente le rughe sulla fronte del vecchio si distendono e l’uomo sorride.
– Allora la lascio alle sue preghiere.
E se ne va.
Rimane ancora qualche minuto, poi guarda l’ora. Si sono ormai fatte le dieci e se vuole farsi un bagno è il caso che si muova. Così si avvia di nuovo per l’Aurelia e prende lo svincolo per San Nicola, come se tutto fosse normale, ma alla rotonda nel paese, dove due frecce, ortogonali, indicano una la spiaggia e l’altra Roma, capisce che la sua giornata al mare è finita e se ne torna a casa.
Copertina originale dal titolo “Una giornata al mare” di Ilaria Salvatori