Giacomo detto Mino fa il portalettere. Comincia il giro dal civico 49, il basso della signorina Antonietta; lei dalla sedia gli dice di entrare, ha fatto la sarta tutta la vita e da lontano ci vede poco. Riceve pubblicità e cartoline da associazioni a cui in passato ha fatto piccole offerte, ma quella che aspetta davvero è la lettera che arriva dall’Africa dove ha adottato un bambino a distanza. Si chiama Bomani, quando Antonietta pronuncia la a le si vede bene la dentiera. Giacomo l’aspetta quella a, viva e presente, gli serve per distrarsi e dimenticare i suoi polmoni che respirano.
Mino continua il giro, alcuni citofoni sono bruciati, preme sempre gli stessi bottoni per farsi aprire; chi risponde lo sa, qualcuno saluta, qualcuno apre solo il portone. Finisce le consegne di Monte Calvario e comincia a scendere di nuovo verso via Toledo, alza la testa all’altezza del numero 78; lì all’ultimo piano c’è l’anta di un balcone con due vetri rotti, è una casa disabitata da anni e con il passare del tempo anche altri inquilini della palazzina sono andati via. Giacomo si è fatto l’idea che sia colpa di quei vetri. Una volta ha letto qualcosa su una teoria delle finestre rotte: qualcuno aveva fatto un esperimento lasciando due auto uguali in quartieri diversi, a una delle due era stato frantumato un finestrino e in pochi giorni, durante la notte, era stata smontata del tutto; l’altra auto invece era ancora intatta e non era stata toccata. Poco dopo anche a quest’ultima fu rotto un finestrino e nel giro di qualche giorno fu distrutta come l’altra. Mino ci ha pensato molto a questa storia che dove le cose sono già intaccate, la distruzione mangia più in fretta quello che c’è intorno. Torna su via Toledo a caricare la posta, la strada ora è diversa, hanno aperto i negozi, è tutto un andare di scope, secchi e stracci che lucidano le vetrine. Riempie di nuovo la borsa al casellario stradale e comincia la salita del Vico due porte a Toledo, una parallela di Monte Calvario; deve consegnare fino all’altezza di via Speranzella che taglia il vicolo a metà. È qui che è successo un’estate, Giacomo ci ripensa spesso: a quei tempi fa il giro da poco più di un anno e maledice i pantaloni lunghi; al Vico due porte i bassi si alternano a qualche negozio, di tanto in tanto in strada ci sono sgabelli o sedie a sdraio, qualcuno approfitta dell’ombra che dà il vicolo e del vento che invade le traverse. Gli archetti parapedonali che costeggiano la strada diventano la giostra di qualche bambino. Giacomo fa le consegne con la lentezza che genera l’estate e arriva al civico 84 per portare una raccomandata a don Antonio, il portiere. Sono passate da poco le otto del mattino, la strada è quasi muta, Mino cammina a testa bassa e si accorge di alcuni passi che arrivano da via Speranzella: è un uomo grosso, trascina per un braccio una ragazza che piange sottovoce e cerca di restare in piedi su dei tacchi troppo alti. Deve pensare in fretta, deve pensare a cosa avrebbe fatto un altro uomo in quella situazione, ma lui è Mino, ha ventotto anni e non ha mai dato un pugno in tutta la sua vita. Si ferma dove i due vicoli s’incrociano, poggia la tracolla su un paletto e comincia a guardare nella borsa come per cercare qualcosa; il suono dei tacchi lo raggiunge e passa oltre. Mino resta fermo nella sua miserabile salvezza, riesce a guardare le gambe della donna, sono sottili, di carnagione chiara e molto sporche. I due camminano con passo svelto, girano l’angolo salendo verso il Teatro Nuovo ed è lì che Giacomo sente un solo urlo e subito dopo un silenzio surreale; si erge frammentato il vocio sommesso dei vicoli che cresce fino a divampare. Da qualche parte dentro di lui, Giacomo trova il coraggio di svoltare l’angolo: c’è un gruppo di persone che forma un cerchio al centro della strada, altre facce spuntano dai bassi e dalle traverse come murene tra gli scogli. Mino si sporge oltre le spalle di un vecchio e guarda a terra i tacchi, i polpacci sporchi e gli occhi aperti; qualcuno copre la faccia della ragazza con uno straccio mentre arriva una volante che risale lungo i vicoli occupandone quasi interamente il passaggio. Nessuno ha visto niente.
Mino sogna la donna molte volte; in quei sogni tutto il quartiere diventa un labirinto di gallerie scure, ognuna con la sua porta e la finestra accanto e dentro le cornici di quelle finestre vede le facce della gente come ritratti appesi ai muri: don Antonio il portiere, la signorina Antonietta che non è più cieca, i bambini, tanti, che gli girano intorno urlandogli di sbrigarsi. Mino allora comincia a correre, vede da lontano la processione della Madonna dell’Arco e vuole andare a guardare la statua che ondeggia sui passi dei battenti. Raggiunge la parte fitta della folla, lì sul trono invece della statua c’è la ragazza morta ammazzata e appena Mino si accorge che è lei, nel sogno tutti cominciano a gridare, tutti arrivano a fiumi dalle traverse, da via Toledo e anche da più lontano; tutti gli dicono di mettersi in ginocchio, di chiedere perdono a questa donna e soprattutto a questa città che ci ha provato a farlo uomo tutte le volte che l’ha mortificato, ma non ci è riuscita. Giacomo ubbidisce, si avvicina alla ragazza, le bacia le gambe e si mette a terra con la faccia sul selciato per pregare. L’uomo grosso spinge la folla con i gomiti per arrivare da lui. Qui si sveglia Mino tutte le volte.
Non ha mai voluto cambiare zona di consegna, ci passa ogni giorno nel Vico due porte a Toledo e non ha mai raccontato a nessuno quello che ha visto. Per qualche mese ha avuto paura che ammazzassero anche lui, poi ha cominciato a desiderare che lo facessero. Giacomo è diventato il palazzo morto di Monte Calvario, se ne sono andati tutti, Delia ha smesso di arricciarsi i capelli per lui, ha smesso di pulire casa, di fargli da mangiare e poi di esserci. E così gli altri. È stato un tramonto incessante, le ombre si sono allungate fino a diventare niente.
Mino? La senti?
Mino adesso ha gli occhi chiusi. È lui che ondeggia seduto sul trono dei battenti, la testa cullata dal movimento e dalla musica della banda che suona fortissimo Maronn e l’Arc a mi.
Mino? La senti? La città ti ha perdonato.
Non sente.
Copertina di João Paulo da Pixabay
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Maria La Tela, napoletana, ha conseguito studi linguistici ed è impiegata nel settore farmaceutico. Ha partecipato due volte al contest “8×8, un concorso dove si sente la voce” e alcuni suoi racconti sono apparsi su riviste. Da qualche anno lavora a un romanzo che è risultato tra i testi segnalati della XXX ed. del Premio Italo Calvino.
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