Copertina del racconto Fumo di Londra

Fumo di Londra

Era il loro settimo anniversario. Si erano svegliati l’uno accanto all’altra, avvolti ordinatamente dalle lenzuola argentee, come ogni settimana dispari. Anna aveva aperto gli occhi qualche minuto prima di Giulio, contravvenendo alle regole. Lo aveva osservato qualche istante: le labbra perlacee rilassate, la testa perfettamente allineata al corpo d’alabastro, i folti capelli d’ebano sempre composti. Non poteva vedere gli occhi ma le bastava chiudere i suoi per farli affacciare alla mente, uguali al primo giorno in cui li aveva incontrati: un grigio topo a cui non era riuscita a sfuggire.
“Buongiorno” le disse Giulio sorridendo e suonò la sveglia. Non perdeva mai il suo tempismo.
“Buongiorno” gli rispose puntuale Anna allungandosi per il rapido e atteso bacio delle 7:00.
Si alzò e dopo cinque passi incontrò una sedia scura su cui giaceva la vestaglia avorio del martedì. La prese e lentamente la indossò. Nell’arco di venti passi superò la porta della camera da letto, percorse il corridoio e si fermò di fronte al lungo specchio rettangolare. Studiò la sua immagine: il viso plumbeo aveva la solita luce mentre gli occhi bianco sporco si stavano incorniciando di piccole pieghette, più evidenti quando rideva. Si ripromise di farlo meno possibile. La pelle del collo, bianco latte, si stava venando di increspature grigiastre spesse e fitte simili alla nebbia autunnale. I seni resistevano ancora ai segni del tempo ma non erano di porcellana come una volta, somigliavano più alla calce. I capelli, tenuti a fatica color carbone, andavano lavati. Del resto, era martedì.
Un minuto dopo era in cucina e, con i familiari sette rapidi gesti, mise il caffè sul fuoco. Al primo schizzo del liquido perlaceo, Giulio oltrepassò la soglia e si sedette.
“Che programmi hai per oggi?” le chiese il marito intonando il ritornello.
“Esco per fare la spesa, riordino la casa e poi preparo il pranzo” rispose Anna come un banale controcanto. “Ti aspetto per mangiare?”
“No, rientrerò alle 19. Oggi ci sarà molto lavoro” aggiunse Giulio, come tutti i giorni pari della prima e terza settimana del mese, versando un cucchiaino scarso di zucchero al caffè che le aveva passato Anna. Lo girò per tredici volte e dopo tre soffi lo bevve tutto d’un fiato. Si alzò e occupò il bagno per farsi la barba mentre Anna tornava in camera da letto a preparargli i vestiti da indossare.
Ispezionò tutto l’armadio, soffermandosi su ogni completo. Non riusciva a ricordare se fosse il giorno del canna di fucile o dell’asfalto. Iniziò a preoccuparsi sul serio. Simili tentennamenti non avevano mai albergato nella sua mente. Sentì Giulio percorrere il corridoio e si sforzò di ricordare. Niente. Lui si fermò alle sue spalle.
“Anna, allora?”
Lei non parlò né si mosse e Giulio, preoccupato dal fatto che mancassero 6 minuti alle 7.30, allungò un braccio. Prese la stampella con il completo grigio asfalto e la guardò.
“Che succede, Anna?” Giulio le poggiò la mano libera sulla spalla ed accennò un sorriso.
“Per un attimo ho dimenticato quale completo dovessi indossare oggi.” rispose lei afflosciandosi sul bordo del letto.
“E come facevi a saperlo? Una nostra ricorrenza di martedì! Sai quanto tempo era che non accadeva? Quattro anni! La pausa pranzo di ieri è volata, nel tentativo di decidere se mettere il grigio asfalto del martedì o l’antracite delle nostre ricorrenze! Per fortuna che mi sono ricordato che l’antracite fu proprio la scelta di quattro anni fa!”
Anna riprese a respirare. Ecco perché aveva tentennato, andava tutto bene. Non stava perdendo colpi. Delle sette cravatte nere passò a Giulio la seconda, e lo stesso fece per la serie delle camicie bianche. Su questo non c’erano ambiguità. Indossate anche le scarpe nere lucide, identiche al giorno in cui erano uscite dal negozio, il marito si avviò verso la porta di casa e lei lo seguì.
“Buona giornata tesoro” gli disse.
“Buona giornata anche a te, amore” rispose Giulio aprendo la porta. “Ah, e non dimenticarti di prenotare il nostro tavolo. Se Luigi non ci sente magari si preoccupa. Del resto, è il nostro anniversario.” Concluse fermandosi sullo zerbino.
“Stai tranquillo tesoro, quando a mezzogiorno apriranno per il pranzo la prima telefonata che riceveranno sarà la mia.” Lo rassicurò alzandosi in punta di piedi per un bacio di saluto.
Giulio sorrise, approvando la sua risposta, e con un movimento deciso si chiuse la porta alle spalle.

 

Dopo aver provveduto a lavare i capelli, passare in rassegna l’abito da indossare e scegliere il trucco da abbinare, Anna era pronta per il supermercato. Scese a piedi con le orecchie piene della voce di Giulio che la incoraggiava a non cedere alla pigrizia. Prima di aprire il portone prelevò la posta e la mise in borsa senza guardarla, salutò il portiere e andò incontro felice alla giornata di sole. Avrebbe sintetizzato vitamina D. Le sarebbero bastati quei dieci minuti a piedi che la separavano dal supermercato per farne il pieno. Lo lesse come un segno. Magari si sarebbe salvata.
Il giro dei reparti si svolse in fretta. La sequenza era rodata, la lista uguale da anni, e il suo occhio per le code la portava a scegliere la cassa con meno imprevisti. Giulio sarebbe stato orgoglioso di lei: il metodo per ottimizzare la questione degli approvvigionamenti l’avevano messo a punto insieme. Che spreco di tempo sarebbe stato altrimenti!
Rientrò a casa e poggiò in cucina le buste. Con movimenti precisi ripose le provviste in scaffali e frigorifero. Finalmente si sedette e aprì la borsa. Intravide il francobollo ma accantonò il rettangolo di carta. Era molto più importante aprire le bollette e classificarle per tipologia e data di scadenza.
Buttata la pubblicità e archiviati i volantini con le offerte, sul tavolo rimaneva solamente lei. Non poté più ignorarla. La cabina telefonica rossa spiccava in primo piano con accanto un autobus dello stesso colore. Sullo sfondo l’orologio della Torre segnava le 8 e 35. Si stagliava brillante contro un cielo terso, azzurro e insolitamente soleggiato.
Prese in mano la cartolina e la voltò. Il francobollo verde, su cui troneggiava il profilo della Regina, riportava un timbro con la data di tre giorni prima. Le frasi erano scritte con inchiostro blu, svolazzanti e frettolose, inclinate in un crescendo molto evidente. Anche senza leggerla si sentiva agitata. Le sue dita, solitamente tendenti al grigio fumo, si stavano pericolosamente avvicinando al tortora. Chiuse gli occhi e contò cinque respiri prima di cedere. Iniziò a leggere.
“Dicono che Londra sia piovosa e piena di nebbia ma da quando sono qui ho visto solamente belle giornate.”
Dovette fermarsi, stava tremando. Ormai la sua pelle era completamente rosea fino al polso. Si poggiò allo schienale e prese la cartolina con entrambe le mani. In un attimo si colorò fino all’avambraccio. Riprese a leggere.
“Ti avrei voluta accanto sul London Eye, da lì la vista avrebbe fatto tacere addirittura te! Come sempre, ti aspetto. Diego”. Si alzò e percorse il corridoio a passi lunghi, stringendo la cartolina nelle dita serrate a pugno. Intravide il proprio riflesso nello specchio e i capelli, ormai rossi, la sconvolsero. Tornò indietro. Poteva distinguere gli occhi azzurri e rimase a fissarli. Da quanto tempo non li vedeva?
Il rumore della pendola la ridestò, era mezzogiorno e doveva muoversi. Aveva promesso a Giulio che avrebbe prenotato e poteva concedersi al massimo qualche minuto di ritardo. Entrò in camera da letto, aprì l’armadio e la tirò fuori. Tolse il coperchio di latta alla scatola, e per la frenesia Chicago, Canberra, Ginevra, Helsinki, Oslo, Porto, San Pietroburgo e Vienna caddero a terra. Il ciliegio del parquet riprese vita arrivando fino a tingerle di blu le scarpe. Non poteva permetterlo.
Raccolse la collezione e dopo aver inserito Londra tra Helsinki e Oslo richiuse la scatola. La fronte era madida di sudore. Infilò di nuovo la scatola nell’armadio e si avviò verso il telefono. Non sapeva se sarebbe riuscita a sentire qualcosa, aveva le orecchie invase dai battiti accelerati.
“Buongiorno Luigi, sono la signora Giuliani… ah grazie, gentilissimo, a stasera.” Poggiò piano la cornetta e si diresse verso il bagno. Aveva bisogno di sentire l’acqua gelida sul viso. Non fece in tempo a muoversi che il telefono squillò.
“Ciao Anna, tutto a posto con il tavolo?” chiese Giulio con impazienza.
“Sì, Luigi ci aveva già riservato il nostro solito posto”. Una goccia di sudore le precipitò lungo la guancia sinistra.
“Ah bene. Bene. A dopo allora, buona giornata.”
“Buona giornata” concluse Anna con un filo di voce.
Riagganciò di nuovo, stringendo con forza la cornetta tra le mani, e finalmente capì che poteva rilassarsi. Il grigio fumo era tornato.

 

Dopo quei dieci minuti di colore Anna si sdraiò sul letto, le gambe non la sostenevano come avrebbero dovuto. Le formicolavano le braccia, aveva le mani mezze addormentate, sentiva le palpebre pesanti. Il respiro si era regolarizzato ma era appena accennato, quasi inesistente. Chiuse gli occhi e ripensò all’altra scatola, molto più grande. Sarebbe stato difficile nasconderla tra i vestiti, tanto che l’aveva sepolta nella vecchia stanza a casa dei suoi. C’erano talmente tante cartoline che metterle in ordine alfabetico avrebbe richiesto almeno mezza giornata. Se ne spedivano una a ogni viaggio, lei e Diego. Era come una firma. Certe volte ci attaccavano addirittura le loro sagome, per ricordare ancora meglio che c’erano stati, proprio loro due, insieme. Dietro scrivevano frasi stupide, le prime che gli venivano in mente e che chiunque altro non avrebbe capito: “Attenzione ai Tocali!” da Firenze, “Bel giro in Skateboard” dall’Islanda, o “Il mare è pieno di pesci” da Berlino. Quattro anni di rettangoli 10,5 x 15 centimetri inviati da ogni parte del mondo, sempre alla ricerca dell’immagine giusta, tra un impegno di lavoro di Diego e l’altro. Ancora adesso, a occhi chiusi, poteva vederlo sfilare con il suo cappello elegante che amava indossare nei momenti di libertà. Non serviva a nulla dirgli quanto stonasse con le camicie a quadri da boscaiolo, che non abbandonava per nulla al mondo, o con le fantasie hawaiane, seconda scelta di sempre. Né era mai servito tentare di inculcargli un qualche senso del colore o quantomeno il buon senso nell’abbinarli. Anna se lo era sentito ripetere un’infinità di volte: “Come mi sento, mi vesto” diceva Diego. E lei ci credeva, le bastava osservare come si muoveva di fronte all’armadio: sembrava proprio empatizzare col guardaroba. Poi che agli occhi del mondo sembrasse ci si fosse buttato dentro e ne fosse uscito con quello che gli era rimasto impigliato addosso, era tutta un’altra storia. Ma a Diego non importava, lui era fatto così, prendere o lasciare. E Anna aveva preso, aveva succhiato la linfa vitale di Diego fino all’ultima goccia, prima di tracimare.

 

Aprì gli occhi. Stava cominciando a calare il buio, alle cinque ormai era già notte. Aveva poco più di due ore per riprendersi prima dell’arrivo di Giulio. Sentiva le labbra secche, si alzò per bere ma le mancavano le forze per arrivare in cucina. Si era colorata troppo, serviva più tempo per smaltire. Posò la testa sul cuscino e si rassegnò ad attendere.
Lo squillo del telefono la svegliò. Impiegò alcuni secondi a capire cosa fosse quel suono e si chiese se sarebbe riuscita a rispondere in tempo. Era Giulio, la chiamava sempre appena usciva da lavoro, e non gli avrebbe fatto piacere se non avesse risposto. Appoggiandosi alla parete raggiunse l’apparecchio e lo sollevò a fatica.
“Sono io.” Sentì dire Anna, e per un attimo restò confusa. La risposta collaudata non funzionava per quella frase. E l’interlocutore nemmeno l’avrebbe capita. “Come stai?”
Ma che vuol dire come sto? Pensò Anna.
“Hai già ricevuto Londra?”
“Sì” riuscì a dire lei.
“E non ti è venuta nemmeno un po’ voglia di salire sul London Eye?”
La sua voce la ricordava diversa. Pensava fosse un’ottava più bassa. O forse era il timbro a sembrarle modificato. Dalle sue reminiscenze di canto lirico Anna sapeva bene che i colori della voce avevano una parte stabile e una mobile, ma Diego avrebbe potuto cambiare entrambe senza stupirla più di tanto. Chissà quando era successo, si chiese, e chissà se lui lo sapeva.
“Sì” ripeté lei.
“E allora cosa aspetti? Al terzo sì scatta l’invio di un altro genere di pezzo di carta, con una bella data di partenza, invece che di arrivo, stampata sopra!” disse Diego ridendo. In sottofondo Anna riusciva a sentire il traffico che scorreva. Un clacson le fece venire in mente che i taxi a Londra erano neri e non gialli come a Roma. Chissà se le macchine nere in Inghilterra avevano lo stesso mercato, si chiese Anna, di auto private gialle in Italia non ce n’erano.
“Non ci credi?” chiese lui trascinando la risata di prima.
“Sì” disse Anna chiudendo gli occhi. Non si sentiva la pioggia, pensò lei. Chissà perché tutti credono che a Londra piova sempre.
“Allora ciao, Anna. Come sempre, ti aspetto”.
Ora sentiva il silenzio. Corse in cucina, aveva molta più sete di prima, ma non riuscì ad arrivarci perché lo specchio la fermò. Aveva la pelle completamente rosa, il vestito blu, le calze sabbia, le labbra rosse e la fede d’oro. Si coprì la bocca con le mani. Tornò correndo verso la camera da letto e ripassando davanti al telefono vide che era verde. A quello avrebbe pensato dopo. Giulio non si era fatto sentire, probabilmente aveva trovato occupato, ma tra poco sarebbe arrivato.

 

L’aveva chiamata. Dopo otto anni Diego l’aveva chiamata. Anna non riusciva a pensare ad altro. Conosceva il suo indirizzo da sempre ma così in là non si era mai spinto. Ora aveva varcato il limite e Anna non capiva il motivo. Perché chiamare, perché a dicembre, perché di martedì, perché alle 18.00? Le sembrava il genere di domande di cui Giulio, se solo avesse saputo la situazione e non fosse stato suo marito, sarebbe andato fiero.
Forse c’era qualcos’altro, posato sul fondo della coscienza, che la faceva sentire scomoda. Oltre al fatto che era colorata, naturalmente. Rettangoli stretti e lunghi: cosa voleva dire? Un rumore sordo le partì da dentro risvegliando per la seconda volta in un giorno antiche discontinuità. Perdeva battiti, ne ritrovava alcuni troppo presto e faceva caldo, poi freddo. Era tornato Diego. Ogni giorno con lui era così.
Una volta, nei primi tempi con Giulio, aveva provato a fare il calcolo di quanti respiri in meno avesse fatto nei quattro anni al seguito di Diego ma non c’era riuscita. Le ore in meno che aveva dormito invece le aveva calcolate, erano più o meno 3893, mentre le notti in cui era riuscita a dormire senza svegliarsi di soprassalto, tremante e sudata, erano state un calcolo più arduo, ma ne aveva stimate circa 120. All’inizio della storia con Giulio, mentre lui riposava dopo pranzo, Anna restava in cucina a contare. E di numeri ne aveva messi da parte tanti: la dozzina di test di gravidanza fatti e fortunatamente risultati negativi, le decine di delle volte in cui era quasi svenuta avendo dimenticato di mangiare per correre da un posto all’altro, le manciate di serate a casa davanti alla tv e le cataste di aperitivi, cene, teatri, dopoteatri, prime colazioni, brunch. Voleva che andasse sul London Eye con lui. Era buffo, pensò Anna. Su delle vere giostre non ci erano mai stati, che bisogno c’era?
Diego parlava di biglietti aerei. Anna aveva provato a non capire ma adesso che la lucidità di quegli anni le era risalita su, gradita come un singhiozzo, si era arresa all’evidenza. Le avrebbe spedito un biglietto per Londra. Si sentiva le guance bruciare. In quel momento doveva essere più colorata che mai.

 

Quel giorno alla Posta Giulio l’aveva urtata per sbaglio. Anna aveva guardato negli occhi grigi e aveva capito subito. Gli aveva concesso il suo studiato e composto corteggiamento, imparando a conoscere la pianura delle sue giornate, inalando aria a volontà. Aveva accolto con gioia tutti i suoi punti fermi, in fila uno dopo l’altro, seguendo con diligenza le sue tappe: il cinema settimanale, il pranzo della domenica dai genitori di lui, il teatro il primo sabato del mese e il mare a ferragosto. Il dopoteatro con Giulio era escluso, provocava disturbi del ritmo circadiano del tutto superflui, come l’aperitivo, che interferiva invece con una sana dieta mediterranea.
Da quando aveva comunicato a Diego che non lo avrebbe accompagnato nel suo ennesimo viaggio di lavoro al giorno in cui aveva fatto le valigie, il passo era stato breve. 72 ore. Quando Giulio aveva capito che Anna sarebbe andata volentieri a vivere con lui, dopo soli due mesi di frequentazione, era rimasto un po’ interdetto ma si era concesso il lusso di un’eccezione. Il tempo giusto era un anno, Giulio lo ripeteva sempre a tutte le coppie di amici appena fidanzati, ma con Anna aveva chiuso un occhio. Sui tempi per la convivenza, come su quelli per il matrimonio.

 

Sentì l’auto rientrare nel cortile del palazzo e spegnersi. Suo marito avrebbe raggiunto le scale in pochi minuti e presto lo sentì chiudere il portone. Lo immaginò mentre camminava con passi regolari, superando la cassetta delle lettere con la calma degli ignari. Un giorno il postino ci avrebbe fatto scivolare una busta, e la busta avrebbe contenuto un biglietto, a nome di Anna De Angelis. Se Diego l’avesse spedito quella sera stessa quando sarebbe arrivato? Tre giorni? O di più? Doveva prepararsi in fretta, pensò, senza far capire immediatamente le sue intenzioni a Giulio. Suo marito avrebbe provato a fermarla, ma quella era la sua unica opportunità e doveva sfruttarla al meglio. Se Giulio avesse anche solo subodorato i suoi piani non avrebbe saputo cosa inventare.

 

Anna sentì la chiave girare nella serratura, andò incontro al marito indossando la sua espressione migliore.
“Anna, ma non sei ancora pronta?” chiese lui stupito “Non è tutta in nero che voglio portarti a cena stasera. Lo sai cosa è bene indossare per i nostri anniversari” aggiunse suo marito con un sorriso di blando rimprovero.
Lei gli restituì il sorriso e lo guardò senza rispondere.
“Anna, perché mi guardi così?” chiese Giulio preso alla sprovvista.
Lei lo abbracciò. Era tranquilla adesso, aveva tempo per organizzarsi. Appena Giulio fosse uscito la mattina successiva, Anna avrebbe raccolto l’occorrente e lo avrebbe portato giù con sé. Non era necessario un grande equipaggiamento, un cacciavite sarebbe bastato. Del resto, era la signora Giuliani da sette anni ormai, quel “De Angelis” poteva sparire dalla cassetta delle lettere senza troppe spiegazioni.

 

Copertina: immagine originale di Erika Romano

Il racconto è stato pubblicato anche sul portale di racconti ReaderForBlind: https://www.readerforblind.com/single-post/2017/07/12/Fumo-di-Londra

15 pensieri su “Fumo di Londra

  1. Racconto bello e particolare. Due robot e un uomo e una donna. Prevale il robot ed in certi momenti della vita, forse, è giusto così….forse! Risposte scontate a domande scontate, certezze, sicurezze ! Routine? Certo ! Ma soltanto doppio aver assaporato la vita…quella vera !
    Una domanda: perchè Anna, quando è con Guido, si sveglia di soprassalto e tutta sudata ?

    1. Grazie per le riflessioni, Nicola, danno spunti altrettanto interessanti. Secondo me Anna con Diego si sente su delle montagne russe che la portano a perdersi, la destabilizzano, quasi come se si annullasse e smarrisse se stessa. Per quello è sempre in agitazione… Come fosse in un vortice che la risucchia, in funzione di lui. Ma questo è solo il mio sentire… Che ne pensi? Ti ci ritrovi in questa lettura, pensando ad Anna?

      1. Mi sento di condividere. Il bisogno di vivere non diminuisce neanche nel sonno! E le montagne russe che a volte impauriscono, non potrebbero simbolicamente meglio la voglia di vivere a pieno un sentimento.

  2. Molto riuscite le metafore Ileana! Mi piace questa lotta tra grigio e colorato, e la sofferenza di Anna che diventa incontenibile. Un ritratto fedele di molte situazioni…brava!

  3. Molto bello e intenso. E’ uno di quei racconti che ti incastra in una realtà “diversa” dalla quale prima vorresti fuggire perchè ti dà quasi fastidio (tutto quel grigio all’inizio quasi mi angosciava) ma poi resti volontariamente nella rete, non più intrappolato come un pesce, perchè vuoi capire come la situazione si risolve, e se si risolve. Non ho ancora letto gli altri racconti, purtroppo non ho molto tempo, ma mi impegno a leggerli. Se sono tutti così, sarà bellissimo.
    Due piccolissimi dettagli tecnici: nell’ultimo dialogo, potresti togliere “Anna”. Cioè, la frase …“Anna, perché mi guardi così?” chiese Giulio preso alla sprovvista…. potrebbe diventare: …“Perché mi guardi così?” chiese Giulio preso alla sprovvista… Prova, mi sa che suona meglio.

    Il marito Giulio sai chi mi ricorda? Il personaggio Furio Zoccano in Bianco Rosso e Verdone.

  4. Francesco, mi fa molto piacere leggere il tuo commento, è davvero lusinghiero! Per l’osservazione tecnica: “Anna” vorrei lasciarlo perché mi dà l’idea che anche se preso alla sprovvista Giulio sia comunque misurato, quasi usando il nome di lei per prendere le distanze, o comunque essere sempre formale…
    Sì, Giulio sembra proprio Furio… è certamente caricaturato (e quindi un po’ esagerato) ma mi sembra di capire, dai commenti ricevuti, che renda bene l’idea del porto sicuro, della sicurezza, anche se noiosa… che poi penso fosse anche il senso di Furio. Che ne pensi?

  5. L’aggettivazione all’inizio mi stava stranendo. Soprattutto gli occhi grigio topo. Poi ho continuato e ho capito (colpa mia).
    Mi è piaciuto davvero tanto.
    Mi piace molto come scrivi: mi piace il fatto che pensi molto al come, più ancora che al cosa. Non hai paura di sperimentare con punti di vista e inganni stilistici e metti molta cura nella scelta delle parole.

    Ho l’impressione che i due uomini di questa storia, più che persone reali, siano due sfumature (beh, sì, ‘sfumature’ ci sta) estreme di quello che cerchiamo negli altri e in noi stessi. Hai messo in scena la lotta fra bisogno di sicurezza e bisogno di vivere pienamente e lo hai fatto senza descrivere, solo mostrando. Mostrando colori, appunto.
    Ogni dettaglio parla dei due mondi, assolutamente incompatibili, che i due uomini rappresentano.
    Ok, anche se fino alla fine sembrava tutt’altro, Anna ha scelto la sicurezza. Sicurezza estrema e ansiogena nel voler prevenire qualsiasi ansia.
    Del resto spesso lo facciamo anche qua fuori.

    Uniche due cose:
    – anche se di solito la tendenza a chiamare i propri personaggi Jack o John anche se vivi a Fiano Romano è ridicola, in questo particolare racconto, così surreale e sospeso, i nomi italiani a volte hanno qualcosa che non mi suona. D’altra parte dev’esserci un ‘qui’ e un ‘altrove’ se si parla di viaggi… quindi non ho alternative da suggerirti. Boh, è solo una sensazione.
    – efficace il cambio di nome nel finale, ma Anna sarà davvero al sicuro? Una scheggia impazzita come Diego potrebbe ritelefonare…

  6. Fabio, ci ho messo qualche giorno a rispondere al tuo commento perché mi ha molto colpita e non sapevo bene da dove iniziare 🙂
    Allora, se all’inizio gli aggettivi ti hanno stranito non penso sia colpa tua, semmai mia che avrei distribuirli un po’ meglio nel testo… probabilmente non li ho amalgamati bene e il tuo è un ottimo spunto su cui riflettere.
    In questo periodo sto riflettendo parecchio su se sono soddisfatta o no di ciò che scrivo, perché in effetti spesso mi sembra di privilegiare il come e l’introspezione a scapito magari della storia, della trama, e magari della fantasia, che in effetti sembrano quasi secondarie…
    Di certo i due uomini sono un po’ caricaturati, per rendere subito l’idea dei mondi che rappresentano… e sono felice che non ti siano risultati troppo estremizzati!

    Secondo me Anna finché telefona potrà gestirlo… è lontano, è solo una voce… I suoi biglietti aerei non la raggiungeranno mai. Ma certo, non possiamo essere sicuri che la cancellazione del nome non scongiuri l’arrivo di Diego in persona…

  7. Un raconto che ho riletto, mi ha riportato indietro agli anni 1980 e 1990, quando andava di moda tantissimo, nelle case dei colletti bianchi, il rigoroso bianco o colori molto seriosi, dal guardaroba, ai mobili, il famoso settimino solo maschile, tutto programmato, dal menu, tempo, sport…. in questo racconto è descritto benissimo, questa dimensione adottata per avere tutto sotto controllo, calmo e scorrevole, diversa la dimensione vulcanica di Diego che si inventa la vita minuto dopo minuto con tutta la fantasia espressa in ogni campo, un domani sempre da definire, elaborare….molto contemporaneo, realistico per i tempi di adesso incasinati al massimo.
    La scelta di Anna sembra un rifugio per escludere o togliersi dal caos, arrivando ad eliminare anche la scritta del suo nome fuori dalla casa condivisa col marito ma gestita gran parte sempre dal marito.
    Mi è piaciuto molto, ricco di descrizioni e di “sfumature ” sbiadite e colorate, di mondi intersecati tra loro.
    Buon proseguimento con la scrittura a te Ileana Moriconi.

    1. Grazie!!!! Mi fa molto piacere leggere nel tuo commento, come negli altri, quanto sia riuscita a trasmettere alcune sensazioni che avevo chiare in mente ma che non sempre si riescono a rendere quando si scrive… Ed è molto interessante sapere quali aspetti ogni lettore coglie, sentendo situazioni come sue, familiari, evocative… Mai come in questo racconto il confronto con chi lo ha letto è stato fonte di conferme ma anche di ispirazione… grazie ancora!

  8. Eccomi qua Ileana, finalmente sono riuscito a leggere “Fumo di Londra”. 🙂
    Confermo tutto quanto già detto sul tuo stile: moderno, personale, ironico, piacevolissimo.
    Anch’io ho avuto qualche difficoltà con il diluvio di aggettivi iniziale, ma una volta compresa la loro funzione diventa tutto chiarissimo e perfettamente coerente: non toccare nulla!
    La metafora dei colori è resa benissimo con un’applicazione ferrea è quasi maniacale dell’aurea regola dello “show don’t tell” e i tuoi personaggi, tanto quelli in scala di grigio quanto quelli in CMYK, escono dalla pagina con le loro personalità, piatte o sfaccettate che siano.
    Il racconto risulta quindi ottimamente scritto, avvincente e “vero” (in quanto applicabile alla vita vissuta di un numero elevatissimo di donne e di coppie), con la giusta dose di “mislead” che conduce il lettore a un finale geniale, ma opposto a quello atteso.
    Ti segnalo solo un piccolo refuso là dove dici “di delle decine” ma nel complesso bravissima!

  9. Ma grazie!!!! Mi fa piacere leggere il tuo commento, così articolato e puntuale! Nelle tue parole vedo tanti miei dubbi, e mi rassicura vedere cosa ne pensi… non tocco niente, ma correggo il refuso 🙂
    Da alcuni punti di vista, ma giusto qualche accenno, ho trovato delle piccole somiglianze con i temi di fondo del tuo “Fenomenologia del gin tonic”… anche se ovviamente parliamo di tutt’altra storia, con tutt’altri personaggi e stile 🙂

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