CO2

CO2

Racconto di Enrico Marinaro.

Balzi fuori dal letto e spegni il cicalino del sensore, prima che diventi parossistico e si diffonda per l’intera palazzina.
Il vento è fortissimo, sarà di nuovo caduto un albero sulla linea principale.
Apri la porta più silenzioso che puoi, ma i quattro giri della chiave di sicurezza rimbombano sul pianerottolo.
Speri che la Rospetti, la vicina della porta accanto, non si sia svegliata.
Attendi lo stretto necessario, ogni secondo è un tormento.
Lo spioncino dell’impicciona rimane chiuso: sembra sia andata bene anche stanotte, però da adesso è meglio limitarsi a due giri di serratura, nonostante il moltiplicarsi dei topi di appartamento durante l’estate.
Dal tuo terzo piano ti precipiti con la torcia elettrica giù per le scale, verso la cantina.
Superato l’ostacolo Rospetti, non dovresti avere problemi.
Ai Bentivoglio del secondo piano non li scuotono neanche le cannonate (lavoravano entrambi sui vagoni letto, per loro il bello della pensione è la goduria di dormire affondati nel proprio giaciglio), mentre i Lentini, che abitano di fronte, sono partiti giusto ieri per le ferie, figliolanza compresa.
Quanto al piano rialzato, l’ingegner Tomasi, sedicente esperto di meccanica di precisione, non dovrebbe essere ancora rientrato da una delle sue frequenti trasferte thailandesi.
Circa l’altro alloggio, è vuoto da anni, anzi sigillato, a causa di un’eterna vertenza ereditaria trascinata fino in Cassazione e da questa restituita al grado inferiore (a conferma della tua convinzione che la giustizia civile sia una specie di gioco dell’oca dove di sicuro vincono solo gli avvocati).

* * *

Eccoti sul mezzo, a portata di mano una Perrier.
La stappi e cominci a spingere.
Le articolazioni, sebbene ancora legnose, rispondono discretamente, ma, come sempre quando ti svegli di colpo, hai la bocca amara e impastata.
Per fortuna puoi confidare nell’acqua frizzante più buona al mondo (l’unico lusso che ti concedi): afferri la bottiglietta e bevi a grandi sorsi.
Mentre la CO2 ti ripulisce il palato, crescono impeto ed energia.
Non ci vuole molto per tirare un primo respiro di sollievo: il display ha ripreso vita, il numero risulta immutato.
18, come gli anni che avevi quando ti misero fuori squadra, in quanto refrattario allo spirito di gruppo: così disse il direttore sportivo, visto che, contravvenendo alle sue disposizioni, ti eri lanciato in fuga solitaria, incasinando la tattica di gara e finendo oltretutto per ritirarti.
Ti aveva ingolosito il premio in denaro (fino ad allora avevi vinto solo qualche salame artigianale o confezione di vini tipici) e il Bepin, il vecchio massaggiatore, l’aveva capito.
“Chi troppo vuole, nulla stringe, – aveva bofonchiato – però il tuo scatto a inizio salita, alto sui pedali, mi è piaciuto.”
È per preservare quel 18 che adesso sei qui, su questa cyclette.
Gli adduttori iniziano a bruciarti, sollevi il culo dalla sella e ti aiuti con l’immaginazione.
Sei partito all’attacco di Cima Coppi, chi prova a inseguirti scoppia dopo un paio di tornanti, mentre tu sali leggero danzando sulla bicicletta.
Il piccolo lume che hai predisposto si accende, la corrente è tornata.
Secondo respiro di sollievo, anzi di vittoria: Cima Coppi è conquistata.

* * *

Ti sintonizzi sul canale news della radio, non puoi farti cogliere disinformato.
C’è l’ennesimo bollettino in tema cambiamento climatico.
Ascolti controvoglia, spegneresti volentieri l’apparecchio: il pianeta reggerà comunque fino alla tua dipartita, dopodiché arrangiatevi.
Se non fosse per i blackout.
Passata la bufera notturna (avevi indovinato, tronchi sulla linea elettrica), per oggi si prevedono temperature asfissianti, con elevato utilizzo di condizionatori e refrigeratori e rischio di sovraccarico della rete, come scandisce il conduttore, ripetendo parole che ormai recita a memoria.
Dalla Grecia riferiscono di una moria di pesci d’acqua dolce, finiti in mare per le ripetute inondazioni dopo mesi di siccità, ma tu continui a distrarti e devi più volte richiamarti all’ordine.
Di tuo, il caldo non lo soffri, il bollino rosso non ti impressiona; abiti all’ultimo piano nella parte alta della città, tracimazioni o allagamenti non ti riguardano.
Dei cosiddetti fenomeni estremi potresti tranquillamente sbattertene.
Se non fosse per i blackout.
Termini la colazione e guardi, con riconoscenza, il sensore.
È costato, ma ne è valsa la pena, crepi l’avarizia!
Appena rileva un’interruzione di corrente oltre i tre minuti, parte un sibilo impietoso (è andata così pure stanotte, e ormai la fatica si fa sentire, dato che poi non c’è verso di riaddormentarsi).
Controlli la carica delle pile AAA al suo interno: con disappunto vedi che l’apposito tester si colora di giallo, ovvero in esaurimento.
Il sensore ne contiene quattro, stai spendendo una cifra in batterie.
Sarebbe bello poterlo lasciare semplicemente inserito nella presa, tramite l’apposito cavetto in dotazione.
Se non fosse per i blackout.

* * *

Carmen entra nell’ufficio che dividi con altri due, per distribuire i buoni pasto.
Bella non è, ma si muove con una certa sinuosità e sa ridere di sé (chiamatemi, se preferite, la bruttina stagionata).
“Che bel fresco da voi! – esclama allegra, però guardandoti storto – Da noi abbiamo ancora il vecchio modello, tocca tenerlo al massimo e fa un casino del diavolo!”
Vanamente hai proposto ai compagni di stanza, per non gravare sull’ambiente, di tenere spento il condizionatore per un paio d’ore (quelli non si sono presi nemmeno la briga di risponderti).
E quando, lo scorso sabato, Carmen si è autoinvitata da te – da me è impossibile, coi miei vecchi in giro per casa -, l’analoga motivazione non ha sortito miglior effetto.
“Si schiatta qui, non hai almeno un ventilatore?”
“No, sai per ragioni ecologiche…”
“Pensavo di farmi una scopata, non una sauna”, ha sibilato riallacciandosi il reggiseno.

* * *

Il neon si mette a sfarfallare, poi si spegne, si riaccende, lampeggia di nuovo, infine muore, così come il ronzio del condizionatore e il led della stampante.
Butti l’occhio alla strada, i semafori sono inattivi.
Balbetti di un impegno urgente e corri giù alla bicicletta.
Accusi lo sbalzo dall’aria condizionata all’afa senza scampo; sei proprio sicuro che, di tuo, il caldo non lo soffri?
Ti lanci in salita, verso casa.
Hai un mancamento, reagisci e ti metti in piedi sui pedali.
Prendi finalmente velocità, gambe, addominali e lombari lavorano all’unisono (se non fossi in emergenza ti piacerebbe rievocare il giudizio con cui Carmen aveva rotto il ghiaccio – sei in forma, dimostri meno dei tuoi anni – e la tua pur goffa ma ammiccante risposta – non conosco la tua età, in ogni caso sembri in forma anche tu -, anche se poi è andata com’è andata).
Sei in volo sulla ciclabile, il ritmo è forsennato, ma uno stronzo col monopattino elettrico (un altro vampiro di energia) ti affianca nello stretto e ti costringe alla frenata.
Riparti imprecando, con l’afa a incollarti all’asfalto che va squagliandosi.
Realizzi di essere allo stremo e senti tutti i tuoi anni, per quanto non li dimostri.
Traffichi con il cambio, ti concedi un rapporto più morbido, Bitossi perse un mondiale a pochi metri dal traguardo per non rassegnarsi a cambiare marcia e tu non vuoi commettere lo stesso errore.
Stai di nuovo filando, hai perso in potenza ma hai guadagnato in leggerezza, tuttavia sei comunque al limite della fatica.
Col fiato corto e la lingua arsa scorgi, quasi accecato dal sudore, il profilo della tua palazzina.

* * *

Sotto casa, sebbene stravolto, verifichi che non ci siano occhi indiscreti.
L’edificio, esposizione sud-ovest, sembra boccheggiare sotto la sferza del sole, con le imposte chiuse e le persiane abbassate, comprese quelle della Rospetti.
Infili la chiave nella serratura del portoncino d’ingresso cercando di controllare il tremolio della mano.
Sgusci affannato in cantina, non c’è tempo per toglierti la camicia inzuppata, balzi sulla cyclette.
Ci dai sotto, però il display rimane grigio e vuoto.
Ti pieghi in avanti digrignando i denti.
Il display si accende, finalmente.
Ma non segna l’agognato -18.
Cazzo, -17!
Continui all’impazzata, poi sbirci il display.
-16!
Imprechi contro il generatore collegato alla cyclette e contro te stesso.
Pitocco che sei, hai voluto risparmiare con il modello in offerta, ed eccoti servito!
Ti stacchi dalla sella, dondoli sulla bici, che comincia a oscillare.
Senti il fiele in bocca, hai bisogno della Perrier, il display non ti dà tregua.
-15!
Alto sui pedali, pigi come un ossesso e ti sporgi per afferrare l’apribottiglie.
Il piede di spinta scivola, perdi la presa, voli verso il muro.
Quella vecchia staffa di ferro, che non ti sei mai deciso a rimuovere, ti entra dritta in gola.
La estrai di puro istinto, indietreggiando, ma inciampi nel generatore.
La nuca sbatte indifesa sulla spigolosa apertura a scatto del congelatore a pozzetto.
Lo sportello si solleva ed esce un vapore gelido, il display si mette a correre.
-14 -13 -12, già parte il bip dell’allarme.
Chissà se la Rospetti riesce a sentirlo, chissà se i Bentivoglio hanno aggiunto ai loro piaceri anche quello della siesta, se l’ingegner Tomasi è rientrato dall’Oriente.
Provi a rialzarti, ma il cranio non ti asseconda e rimane come inchiodato a terra.
Non senti il grido del tuo dolore, solo un denso gorgoglio, è un urlo silenziato, di mero cervello.
Poi avverti una specie di svuotamento della testa, mentre gli occhi ti si annebbiano, e non per il sudore.
Nel sangue che ti soffoca, riesci a salutare Cima Coppi e a mandare un pensiero a tua madre.
Tranquilla, ci troveranno e riceverai degna sepoltura.
Ti dispiace solo che l’indomani sarebbe giorno di pagamento pensioni.

Foto di copertina di autore sconosciuto in Dutch National Archives su licenza Creative Commons

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Enrico Marinaro. Figlio del baby boom, redige testi da una vita, ma per ragioni di ufficio; (ri)scopertosi appassionato lettore, è fatalmente incappato nella scrittura creativa.
Ama i racconti brevi perché consentono/impongono di proiettare sguardo e immaginazione oltre i bordi delle storie.
Ne ha pubblicati di vario genere, in antologie cartacee e su riviste/siti online.

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