Copertina di Barbie a Pezzi di Francesca Riscaio

Barbie a pezzi

La televisione è accesa, sintonizzata su chissà quale canale. L’audio giunge confuso, distante.

… il corpo di una donna è stato rinvenuto all’alba nei pressi… si tratterebbe di una giovane di 25 anni… la cui scomparsa era stata denunciata due giorni fa… le indagini affidate ai carabinieri… si cerca il compagno della vittima… al momento, risulta irreperibile…

Uno sgradevole odore aleggia nella stanza. L’uomo è sdraiato sul vecchio divano, nell’angolo in fondo alla cucina. Tutto è vecchio, ma c’è una dignità, appartenuta a un tempo andato, dimenticato, un senso di decoro che compensa la anzianità del luogo, la pittura ingiallita alle pareti, di un colore quasi uniforme, da convincere che sia il giallo originario.
Con i suoi occhi di mare, l’uomo fissa un interlocutore invisibile, questi, a sua volta, osserva la scena e me la restituisce come se la vedessi attraverso il suo sguardo. Divento io quell’interlocutore, anche se non comprendo come sia possibile. Abbraccia una donna di lenzuola bianche. Pare una donna, ma nulla oltre la stoffa che la ricopre si distingue di lei. Poi, il vento, quasi sentendomi e come per soddisfare la mia curiosità, entra nella stanza, alza un lembo delle lenzuola, vedo. L’involucro è vuoto. L’uomo abbraccia una donna di lenzuola, ma senza niente dentro. Come facciano le lenzuola a mantenere la forma è un mistero. La televisione prosegue con la sua litania appena udibile. Lui ha occhi lucidi, piange, farfuglia che non può farne a meno – di cosa? mi chiedo, dell’involucro vuoto? – cerca di trattenere le piccole lacrime che continuano a traboccare dagli occhi, ma i suoi discorsi, le parole, sono vacui, come l’involucro che stringe. Il vento soffia più forte, ma nella cucina tutto è immobile, tranne il lembo che ha rivelato il vuoto contenuto del bozzolo di cotone. La vecchia lampadina a incandescenza rischiara stranamente la stanza, fuori è il crepuscolo, ma un crepuscolo di nuvole pastose, pesanti, cariche di elettricità. Nella cucina la luce del tramonto di tempesta è appena percepibile. L’uomo continua a blaterare ragioni irragionevoli, io non lo vedo più. A malapena lo sento.

Elisa.

Un sussurro lontano.

Bambolina mia.

Fisso il soffitto di quella stessa cucina. Vedo lo stesso divano. E, al suo fianco, poggiato sul pavimento, un martello sporco.
Ora, ricordo il soffitto di quel luogo e, pure, il luogo stesso, il vecchio appartamento di mia nonna, me lo ha lasciato in eredità da poco e da poco mi ci sono trasferita insieme a Giulio, il mio compagno. Un grande passo, l’inizio della convivenza. La casa, mia, subito divenuta nostra.

Sua.

Riconosco l’appartamento. Mi pareva grande, appena ricevuto in eredità. E vuoto. Poi, dopo il trasferimento di Giulio, è diventato piccolo, striminzito. Lui non era più lui. Forse era sempre stato così e io non lo avevo mai capito fino in fondo. O non avevo voluto capirlo. Mi accorgo che le lenzuola sono bagnate e non sono più vuote. Sono piene di me. Realizzo, forse mi sorprendo. Provo ad abbassare lo sguardo su un corpo che dolorosamente, nonostante uno stordimento che in parte mi annulla, percepisco. Ma non riesco a muovere i bulbi oculari, a indirizzare la vista, a vedere. La sofferenza e l’ottundimento me lo impediscono. Giunge un rantolo da qualche parte, un respiro strozzato. Dalla mia gola? Piango? Provo a parlare? Non lo so. So che non sono più Elisa. Lo sento. Sono Bambolina mia, la Barbie preferita, quella che si porta a letto e cui si dà la buonanotte prima di dormire, quella con cui non ci si stanca di giocare e di cui essere gelosi, da non far toccare alle amichette, nemmeno alla migliore.
Anzi, ero.
Non sono più. Né Elisa, né Bambolina mia, la Barbie preferita. Sono quella con cui nessuno vuole più giocare. I capelli disordinatamente tagliati, il braccio staccato, una gamba innaturalmente piegata, il volto dipinto, qua e là, cancellato dall’usura. Sono la Barbie vecchia. La Barbie a pezzi, dimenticata in fondo a una scatola chiusa in uno sgabuzzino buio. Così come buio è tutto, ormai, intorno a me. Si è placato il vento. Solo, in lontananza, si percepisce la tv ancora accesa e la voce piagnucolosa dell’uomo pronunciare frasi sconnesse.

 

Nella serata di ieri, un uomo di 31 anni, Giulio Milleni, è morto in uno spaventoso incidente. La sua vettura, lanciata a folle velocità, ha perso il controllo schiantandosi contro un tir. Quando gli agenti si sono recati presso l’abitazione, dove Milleni conviveva con Elisa Battisti, 27 anni, hanno rinvenuto il cadavere martoriato della donna. Le forze dell’ordine sospettano che sia stato proprio Milleni a uccidere la giovane, per poi fuggire all’impazzata. Sono in corso gli accertamenti del caso. Se l‘ipotesi fosse confermata, sarebbe l’ennesimo caso di femminicidio…

Stizzito, Alessio cambia stazione. Vuole ascoltare la radiocronaca dell’anticipo di campionato, ma c’è l’intervallo e trasmettono il notiziario locale.
«Che palle ‘sta storia dei femminicidi!» sbotta infastidito. «Se non vuoi farti ammazzare, scegli uno che non lo fa! Vero, amo’?» e cala una sonora pacca sulla coscia di Serena seduta sul posto passeggeri.
«Ahi!» protesta lei.
«Dai, mica vorrai dirmi che ti ho fatto male?! È solo una pacchettina! Senti che belle cosce!» continua Alessio, palpando energicamente la gamba schiaffeggiata.
Serena non risponde. Si ripete che Alessio non lo fa con cattiveria, scherza, ha questa mania delle pacche, sul sedere, sulle braccia, sulle cosce, per lui è anche un modo di fare i complimenti, un segno di apprezzamento, ma, a volte, non calibra bene il colpo. E, negli ultimi tempi, sono diventate più pesanti quelle mani, in certi momenti lasciano addosso a Serena segni che impiegano giorni a sparire.
Stanno andando a casa dei genitori di lui per il pranzo domenicale; è un appuntamento che saltano raramente. Alessio ci tiene. Guida sicuro sulla statale che li porterà alla villetta fuori città dove abitano i suoi. Fin troppo sicuro, pensa Serena. È una bella strada ma ci sono molte curve e Alessio va decisamente forte per i suoi gusti. Si è spesso lamentata, ma lui le risponde sempre che si sbaglia.
«Amo’, ma che dici? Guarda, siamo appena a sessanta chilometri orari!».
Lei ha smesso di lamentarsi. Si limita a voltarsi, guarda fuori dal finestrino e afferra nervosa la maniglia dello sportello, come faceva da adolescente con la sbarra di contenimento del calcinculo, per paura di essere sbalzata fuori. Peccato, pensa, vorrebbe ascoltare la notizia di quel femminicidio. È curiosa, il fatto è accaduto in un comune vicino. Ma chiedere di cambiare stazione ad Alessio nemmeno a parlarne.
«Chi guida sceglie che ascoltare» sostiene, e, spesso, è lui a guidare. Del resto, la macchina è sua. Sua la macchina, sua la scelta.
Lei, l’auto, l’ha venduta, la usava poco e Alessio le ha proposto di darla via, per evitare spese inutili. Ha traccheggiato un po’, ma Alessio ha insistito fino a farla capitolare.
Vabbè, conclude tra sé Serena, cercando di fermare il corso di quei pensieri, Tanto ormai staranno parlando di altro… poi, a me che importa? Mica mi riguardano queste cose!
Intanto Alessio continua a guidare con una mano sola, tiene l’altra sulla coscia di Serena. Non parla ma muove le labbra, sta facendo un discorso con se stesso, tira una seconda pacca possente sulla gamba di Serena, che si irrigidisce trattenendo un’esclamazione di dolore, un’espressione sofferente le contrae i lineamenti; Alessio non le presta attenzione, accelera soddisfatto, concentrato sulla strada e sui propri pensieri, scuote la testa condiscendente, ride sprezzante e conclude a voce alta: «Proprio una gran puttanata ‘sta storia dei femminicidi!».

 

La televisione è accesa, sintonizzata su chissà quale canale. L’audio giunge confuso, distante.

… il corpo di una donna è stato rinvenuto all’alba nei pressi… si tratterebbe di una giovane di 25 anni… la cui scomparsa era stata denunciata due giorni fa… le indagini affidate ai carabinieri… si cerca il compagno della vittima… al momento, risulta irreperibile…

Foto di Francesca Riscaio

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