karatekid

Altrimondi

La scena si presenta tranquilla: dalla torre di controllo si vede un panorama di tregua costante. Il mondo è fermo. Cielo macchiato di nuvole dai contorni frastagliati e terra giallognola e polverosa; oltre il valico c’è l’accampamento nemico. Prendo le munizioni e scendo col fucile fino alla trincea. Procedo ponendomi davanti, vicino ai compagni in prima linea. Le granate nemiche cominciano a scintillare. Il rumore è assordante. Le mie orecchie sentono il rimbombo e mi abbasso. Terra solida e senza speranze, soltanto qualche cespuglio determinato a vincere la natura desolata e severa, spezza con macchie sparse di colore la monotonia del luogo selvaggio. In un certo senso ha vinto la sua battaglia. Non mi sento affatto lucido; una canzone mi martella la testa, pressante e disarmonica, quasi disturbante, non capisco da quale punto provenga. Arrivano gli spari, imbraccio il fucile, salto la barriera e mi dirigo verso i mucchi di rovine, evito i ricordi. Sparo. Sparo a chiunque tenti di avanzare. Soldati si avvicinano nascondendosi tra le macerie. É difficile scorgerli. Devo superare il fiume. Evito ripensamenti. Arrivano colpi, abbatto un soldato. Evito i rimorsi. Schizzi di sangue volano, si espandano, lasciano contorni rossastri sulla terra giallina come tracce di rossetto su una camicia inamidata di un amante distratto, in fondo sono un romantico. Ne colpisco un altro che cade con la stessa metodica.
Evito i pensieri umanitari, non ho nessun senso di colpa, non ho tempo per pensare; solo la missione mi sta a cuore, salvare la pelle per tornare a casa. Non che mi piaccia tutto questo trambusto, questo cadere di corpi maciullati, questa fatica, questo mio timore di perdere l’equilibrio mi divora, non ho mica sette vite come i felini. Posso fare qualcosa per difendermi, ad esempio mirare e farne fuori tanti, come nei tendoni di tirassegno dei luna park di periferia. Da bambino ero bravo, i proprietari delle bancarelle spostavano di proposito il mirino per far sbagliare i clienti. Bastardi. Io già da allora però ero un bambino furbo. Sbagliavo il primo colpo a causa del loro inganno. Poi capivo il trucchetto e miravo poco più in là, e così sparavo una pioggia di colpi tutti centrati e il fastidio non per niente sopito della vecchia signora che doveva arrampicarsi mollemente sullo scanno per darmi il premio più grosso, diventava pian piano evidente. Adesso mi sembra di tornare a quei tempi, non fosse per la polvere, il sangue e la resistenza dei bersagli a passare a miglior vita. Sarà migliore poi? Considerato lo schizzo mille volte sbagliato di questa nostra esistenza, non credo che l’Autore supremo sia un ottimo artista. Comunque sia non ho fretta di scoprirlo. Ancora soldati vengono verso la duna di detriti dietro la quale mi sono nascosto. Lanciano granate verso di me. Il mio fucile canterà soavemente la lirica del loro funerale.

*****

Simone richiuse il giornale come se scottasse, non riusciva ancora ad abituarsi a quelle carneficine. Titoloni declamavano stragi di migranti che probabilmente non interessavano più nessuno. La sua vita da volontario lo aveva cambiato molto negli ultimi tempi, era diventato più duro verso l’esterno. Doveva preservare se stesso dalla tragedia che vedeva ogni giorno con i suoi occhi. Pensava alle vittime trucidate, uomini di ogni età sbattuti sulle strade, nel cemento delle città in rovina, corpi inerti e maciullati giacevano senza vita mentre il fluido rosso e viscoso degli uni si mescolava con quello degli altri: diventando così fratelli di sangue, fratelli di tragedia.
La guerra aveva lasciato dietro di sé una ricca eredità, vecchia baldracca insensibile e ambiziosa non risparmiava nessuno, anzi spesso erano proprio i più deboli a farne le spese, a morire per primi, buon saggio Levi aveva ragione.

Ancora musica, mi massacra il cervello, una tortura insensata che non vuole smettere. Da dove arriva? Questi scarafaggi verdognoli cosa sono? Uomini? Soldati? Mercenari? Non ce l’ho con loro ma neanche li amo, non avranno neanche una bandiera ad avvolgerli come la coperta di una madre devota, ma solo il loro letto di sangue sparso sul selciato.
Non penso a niente ora, sono in preda ad una furia parossistica, aziono ripetutamente il grilletto, sono concentrato sugli obiettivi, il fumo fa da cortina per pochi istanti, avvolge in una barba grigia e corposa il paesaggio brullo e desolato, una cappa quasi solida e irreale. Ma cos’è reale? Lo sgomitare quotidiano per sopravvivere a una giornata lavorativa nella frenesia turbolenta degli uffici? Accumulare pile di soldi che non vediamo mai dal vivo? Non me ne preoccupo. Per il momento. Sono come un drogato sotto l’effetto di sostanze, devo finire il grosso della missione e ritirare il premio. Ogni battaglia è un abbraccio di autostima che non ti molla, ti inorgoglisce e ti fa andare avanti. Gli altri? Sono solo figure marginali, non penso, sembrerebbe quasi tutto automatico se non dovessi impegnarmi a declinare gli amorevoli inviti delle pallottole e delle granate. Sono molto richiesto evidentemente, da queste seducenti portatrici di morte.

Quel pomeriggio si era recato nella sua facoltà, Scienze politiche, per l’assemblea di preparazione al corteo contro la guerra, lui organizzava il cordolo di protezione per evitare incidenti. Si sarebbe discusso sui metodi di protesta e ci sarebbero stati diversi interventi da parte dei compagni.
Saverio, un ragazzo magro, rosso di capelli e con barbetta incolta, stava parlando della necessità di mostrare il proprio dissenso contro l’intervento dell’esercito italiano. Si parlava spesso di missione di pace, ma la gente comune non sapeva che il governo forniva soldati, armi e fino al 1997 persino le bombe giocattolo, chiamate mine antiuomo ma che invece mutilavano i bambini. Lucilla, si era prenotata nella lista degli interventi e quando fu il suo turno, lisciò il suo pesante gonnellone in stile gitano e balzando dal banco sul quale era seduta andò a prendere il microfono. Aveva pensato di creare degli elmetti da soldato da indossare durante la manifestazione, insieme a tetre maschere da teschio per mostrare il volto turpe della guerra. A tutti era sembrata una buona idea e scrissero su un foglio i nomi di chi, offrendosi volontario, le avrebbe realizzate. Aldo invece era scettico sull’effettiva partecipazione dei cittadini, alla maggior parte di loro non interessava né l’Iraq né le altre nazioni lontane, ma soffiava come un gatto in difesa dei propri cuccioli quando si trattava di proteggere i propri valori e i propri beni materiali. L’empatia secondo lui era una dote, non si poteva né insegnarla né tramandarla. Fu questo discorso che colpì in special modo Simone, che decise per quello di mettersi in lista per parlare.
Interventi brevi, avevano detto, ciononostante erano rimasti tutti ad ascoltarlo. Cercava risposte più che raccogliere idee e diceva ai compagni: Il soldato è un mercenario a tutti gli effetti o c’è qualcosa di oscuro nella natura umana che lo spinge alla violenza? Da quando la lotta per la sopravvivenza, in difesa del territorio o del cibo si è trasformata in imperialismo, sopraffazione da parte di uno stato che ne invade un altro per mire di natura economica? Durante la storia si è passati dalla violenza del corpo a corpo, con i cadaveri smembrati sul territorio e la predazione nelle baracche alle bombe Intelligenti” lanciate sugli obiettivi sensibili. Certo ci sono ancora i fucili ma ormai domina la strategia e le vittime sono solo dei numeri sui giornali, spersonalizzate. Forse anche la persona morta durante la Seconda Guerra Mondiale, agli occhi del nemico poteva essere un oggetto, anche il combattente ucciso a fil di spada nel medioevo era un fantoccio inutile agli occhi del guerriero, ma oggi con la diffusione delle informazioni, questo fenomeno è ancor più evidente.’
” Hobbes” gridò qualcuno in fondo all’aula. Un ragazzo coi capelli ricci e neri come tratti di inchiostro aveva parlato.
“ Homo homini lupus” e lì tra quelle mura l’avevano studiato tutti.
“Proprio così” – Ribatté Simone –
“Come possiamo cambiare? Creare una società non violenta se l’uomo è di natura crudele? Il primo antenato che per rubare il cibo ad un altro uomo, ha preso un sasso per spaccargli il cranio ferocemente ha inventato la guerra o ha seguito l’istinto? Ha ragione Aldo o c’è modo per tutti noi di abbandonare quel sasso?”. – “Bella domanda”- disse Leda “la moderatrice” guardando Giulio che era accanto a lei. Lui prese il microfono e ricordò gli impegni per la preparazione del corteo, gli orari di incontro e invitò tutti alla diffusione dei punti discussi e poi ringraziò chiudendo la seduta.

*****

Sono riuscito ad avanzare fin nei pressi del fiume; lo vedo scorrere guizzando come una coda mozzata di lucertola, mi sembra di vederne le onde. Guardo il ponte di legno che dovrò attraversare, ormai il villaggio è stato distrutto, se riuscissi ad essere abbastanza veloce nessuno mi vedrà. Rischio. Corro quasi volando su questa passerella sbilenca e arrivo incolume sull’altra sponda. Sembra che non ci sia nessuno. Il carro armato del mio battaglione è lì dove deve essere, mi hanno dato indicazioni per proseguire, salto a bordo prima che i nemici arrivino. Sono stato tempestivo, una pioggia di colpi si abbatte intorno a me, mi do da fare col cannone, sono a metà dell’opera, presto raggiungerò la vecchia fattoria in cui sono rifugiati gli alleati.

*****

Era stata una giornata produttiva e stancante ma Simone era soddisfatto. Avevano portato i libri al centro sociale per quel progetto di insegnamento dell’italiano ai ragazzini immigrati, aveva fatto lezione, e aiutato a risistemare il piccolo orto collettivo. Said gli aveva sorriso e lo aveva abbracciato con forza, aveva scelto un libro antico ma ancora emozionante: I viaggi di Gulliver. Era stato contento lui stesso, rivivendo la stessa emozione quando, da piccolo, lo aveva trovato a casa dei nonni. Andò alla scrivania per distrarsi, stendendosi con la schiena sulla sedia, un po’ di svago non gli avrebbe fatto male.

*****

Continuo a sparare, pezzi di uomini saltano, pezzi di carri, di macerie, pezzi di tutto. Ciò che è intorno a me viene colpito, si trasforma a sua volta in una pioggia di proiettili, e poi c’è il fuoco, vivido, attraente, sembra quasi un invito ad andare in quel caldo, avvolgente ma terribile. Sto per raggiungere la meta ma c’è un aereo che viene verso di me, decido di… Schermo nero. Game over inaspettato. Maledizione! È saltata la corrente. Cazzo stavo vincendo! Non mi accorgo di aver sbattuto con forza il posacenere a forma di pallone che avevo accanto a me, con rabbia ho urlato. Lo guardo, si è scheggiato, penso al mio discorso di ieri, e tutto a un tratto l’oggetto mi sembra la prima pietra che ha frantumato la testa del nemico.
Istinto primordiale o vera essenza violenta dell’uomo? Non sapeva rispondere, avrebbe lui stesso usato violenza nel momento del bisogno? Per sopravvivere o difendersi, probabilmente lo avrebbe fatto. Forse, il male assoluto è un ragno che attende, nero e fumoso, nell’anfratto più recondito e segreto dell’animo umano. Aspetta, così celato, il momento per liberarsi e sporcare il cuore del più puro degli uomini. Veglia, coi suoi cento occhi, paziente e silenzioso, fino alla fine della razza umana.

Immagine di Ryan McGuire

Racconto di “Wally Schiele”

4 pensieri su “Altrimondi

  1. Mi sono divertita molto a leggerlo, mi chiedevo quale fosse il senso del parallelismo e dove volesse andare “a parare”. Quando hai fatto capire, ho sorriso. 🙂

  2. Ciao Wally Schiele (poi dovrai spiegarmi nel dettaglio lo pseudonimo).
    La parte di guerriglia è quella che ho apprezzato di più.
    Molto belli gli “indizi” che dissemini nel testo per svelare il finale. Quel verbo scintillare che mi aveva fatto storcere il naso diventa invece una chicca.

    Alla prossima!

  3. Grazie ragazzi, anche per l’aiuto nella scrittura, sono contenta che vi sia piaciuto, era diverso dal mio modo di essere, non so neanche come abbia fatto a venirmi in mente, del resto la mente percorre spesso percorsi inusuali prima di poter esprimere ciò che si vuol dire. Mi piace seminare indizi anche nella vita reale, giocare con la gente che sa farlo.

  4. Il nome è stato scelto in omaggio della modella-compagna di Egon Schiele, quella che gli fu vicino per pochi anni, ma poi lui scelse,( per motivi di interesse? Accettazione sociale? Vero amore? Non lo sapremo mai) di sposare un’altra donna e troncò per volere di lei, ogni tipo di relazione con Walburga, detta “Wally” . Il mio è stato un tentativo di rimettere le cose a posto, di darle il giusto matrimonio, di ricreare uno dei tanti futuri, o meglio “passati” che avrebbero potuto essere ma che non sono stati.

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