Nove mesi fa sono morta, eppure oggi il Natale è arrivato comunque. Che strano.
O forse a sembrarmi strano è il fatto che dentro la mia vecchia casa si stia inscenando lo stesso copione di sempre. E io sono qui a fare da spettatrice.
La tavola è già pronta: tovaglia rossa, candele bianche e sottopiatti dorati fanno da cornice all’immancabile centrotavola di muschio e pigne. Vedo le mie figlie ai fornelli, ognuna assorta nel proprio compito da svolgere: eseguono la loro parte rivolgendosi rare occhiate distratte. Mi arrivano le voci svogliate degli uomini, le sento arrampicarsi l’una sull’altra, ipotizzando improbabili compravendite calcistiche mentre aspettano di essere serviti. Uno di loro sonnecchia davanti alla TV. I bambini giocano, eccitati per l’arrivo di Babbo Natale, ancora avvolti dall’atmosfera di questa grande bugia. Sono gli unici a recitare la loro parte fino in fondo.
Una volta c’ero anch’io seduta a quel tavolo, ero la regina della festa. L’ultima parola sul menu era la mia. Ogni anno si organizzava la riunione di rito per decidere tutti insieme cosa cucinare. Puntualmente si avanzavano proposte più o meno originali, e dopo aver trovato un accordo, ci si dividevano le cose da comprare. Altrettanto puntualmente, se qualcosa non mi quadrava, fingevo di non aver sentito e facevo di testa mia. In fondo, ero io che sovvenzionavo le feste.
Natale era il momento più atteso dell’anno: tutti riuniti in un’unica casa, ci alternavamo tra le grandi abbuffate e le interminabili partite a carte. Il cibo era genuino, casereccio, niente di ricercato. Tutti davano il loro contributo: chi apriva le ostriche, chi girava il sugo, chi non sapeva proprio come muoversi in cucina e si limitava ad assaggiare la pasta per decretarne la cottura. Nessuno si sarebbe sognato di mancare durante la preparazione della cena, sarebbe stato come saltare la cena stessa!
E se l’arrosto si bruciava, se le patate uscivano poco cotte, se la pasta si scuoceva, poco importava. Ci piaceva mangiare, e farlo tutti insieme era solo uno dei modi per volerci bene. E mangiavamo per ore: era quasi di più il cibo che finiva nelle nostre bocche mentre cucinavamo di quello che arrivavamo a servire in tavola!
Non mancava mai l’ospite inatteso, quel povero sfortunato amico che non avrebbe avuto nessuno eccetto noi per trovare un posto a tavola. Quando suonava il campanello, nessuno si scomponeva: in automatico, senza nemmeno chiederci chi fosse, aggiungevamo un piatto e una sedia e gli aprivamo la porta di casa dandogli il benvenuto.
Potevano mancare i soldi per tutto, ma avremmo sempre racimolato qualche moneta per i piccoli Babbo Natale di cioccolata nascosti tra i rami dell’albero. I bambini ne andavano matti. Margherita e Carlotta passavano ore a cercarli, inseguite da Zio Luigi a tormentarle col dubbio che la ricerca non fosse ancora finita. E loro lì a crederci, senza accorgersi che era lui a prolungarla, infilando nuovi cioccolatini tra i rami su cui erano già passati.
Quei giorni facevamo un brindisi dopo l’altro, sempre pronti a trovare qualcosa per cui festeggiare, persino negli anni più bui. Pure l’anno in cui se n’è andato Giovanni, mio marito, è stato lo stesso. Quel Natale, ci siamo stretti di più e abbiamo alzato un bicchiere anche per lui.
A casa nostra, la Vigilia durava fino alla Befana, senza interruzioni, lasciando che il clima delle feste ci avvolgesse in un bozzolo lungo quindici giorni.
Oggi vedo Margherita, la più grande, con indosso un grembiule scozzese. Frigge tutto ciò che le passa davanti, e nulla sfugge al suo controllo: ogni pezzetto di ricotta deve essere regolare e ogni porzione di carciofo deve essere impastellata in modo uniforme. La sento ricordare a tutti che è la Vigilia e quindi per tradizione si cucinerà pasta col tonno.
Massimo, suo marito, le si avvicina per chiederle se nell’attesa sia possibile spizzicare qualcosa. Lo fulmina con lo sguardo.
“Stai scherzando?” gli chiede in tono di nervoso rimprovero “E vorresti rovinarti in un attimo l’appetito? Non esiste!”
“Va bene, tesoro.” abbozza lui ritraendosi sconfitto.
“E dì a Simone che i Babbo Natale nell’albero non si toccano! Mica gli vorrai far rovinare tutta la decorazione?!” aggiunge Margherita.
Seguo con lo sguardo Roberta, la mia secondogenita. Sorride, appoggiata alla finestra con la sua immortale sigaretta tra le dita. Sembra non rendersi conto di avere la disapprovazione stampata sul viso. Lei, femminista per vocazione, ha sempre disprezzato i convenevoli e le moine. “Odio le donne che fanno le femmine, rovinano tutta la categoria” diceva. Era il suo motto, un grido di battaglia. Anche se non ho mai capito esattamente contro chi lottasse.
Roberta si riscuote e riprende ad affettare il pane. E’ riuscita a trovare una comoda via di mezzo tra l’essere e il non essere coinvolta nella preparazione della cena. Ha sempre avuto fantasia nell’inventare nuovi modi per urlare al mondo di essere l’opposto di Margherita.
In mezzo a loro due vedo agitarsi Carlotta, animata dalla sua intramontabile allegria. La sento canticchiare canzoni di Natale inventando improbabili testi a metà tra l’italiano e l’inglese. Balla e canta, Carlotta, senza prestare attenzione all’alzata d’occhi di Roberta, infastidita da tanta esternazione. Canta e balla, senza fermarsi nemmeno davanti allo sbuffo di Margherita quando la urta. Balla e canta da sempre, la mia Carlotta. Chissà se quelle note le risuonano anche dentro.
Vedo Carlotta passare accanto a Sergio, il piccolo cinquantenne di casa, richiamandolo con un cenno all’ordine. Non abbandonerebbe mai le sorelle ai fornelli, ma non può nemmeno evitare di buttare un occhio alla TV, dove trasmettono uno dopo l’altro i gol più belli del 2017. Lo osservo allungare il collo per non perdere nemmeno una rete, senza smettere di aprire le ostriche.
“Ahia!” esclama Sergio, tenendosi stretto l’indice della mano sinistra.
“Mettilo subito sotto l’acqua” gli suggerisce Carlotta con fare pratico “ti prendo il ghiaccio.”
“Sei sempre il solito! Come hai fatto a farti male?” urla Margherita.
“Non lo so… mi sarò distratto…” risponde Sergio mettendo sul dito il cubetto che gli passa Carlotta.
“Distratto…forse se avessi guardato un gol in meno e un’ostrica in più…” ironizza Roberta.
“I gol? Ma ti sembra il momento?” esclama incredula Margherita “Con tutto quello che c’è da fare? Dobbiamo ancora mettere in forno le patate, mettere su il sautè, accendere le candele… Lui pensa al calcio!”
“Va bene, ma non l’ho mica fatto apposta!” si difende Sergio.
“E ci mancherebbe!” ribatte Margherita. “Quanto tempo perso…non saremo mai pronti per le otto…”
“Vorrà dire che Babbo Natale arriverà più tardi quest’anno….” Taglia corto Roberta, premendo con forza il mozzicone nel posacenere.
“Non esiste! Babbo Natale da che mondo è mondo arriva a mezzanotte” insiste Margherita.
“E allora salteremo la partita a carte…” propone Carlotta sospirando.
“Sì, questo si può fare. Ceniamo, facciamo contenti i bambini scartando i regali a mezzanotte, un bel brindisi, e anche per quest’anno ce la siamo cavata” concorda Margherita.
Questa sera li osservo dal mio abito trasparente, e per la prima volta mi sembra di guardarli dalla giusta distanza. Dicono che se la sono cavata, loro. Margherita, Roberta, Carlotta, Sergio… se questo è il Natale che volete oggi, sono contenta di avervi lasciati.
Copertina di Doctor Tale & Mister Shot
“Album di famiglia” è tra i racconti preferiti della settimana
https://italiansbookitbetter.wordpress.com/2017/12/10/una-settimana-di-racconti-14/
Anche questa è la magia del natale, da un punto di vista particolare, ma molto bello. Complimenti!