La rubrica Echi – a cura di ItaliansBookitBetter – nasce da quel senso di malessere che il veloce scadere dei libri porta con sé. Esistono libri che hanno la colpa di essere pubblicati da mesi e cadono nel dimenticatoio, diventando invisibili, indipendentemente dal loro valore, solo in base al criterio del tempo che è passato. Il senso di Echi è quello di non permettere che accada, almeno per alcuni di loro, e far rivivere nella memoria libri vicini e distanti, ma mai passati.
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L’idea dietro questa rubrica è quella di parlare di libri che, a causa delle dinamiche di mercato e della fretta che ci governa, esauriscono la propria voce in poco tempo. Libri nati ieri ma che avrebbero tanto da dire ancora oggi se solo ne avessero la possibilità. “Echi, però, potrebbe essere anche qualcosa che nasce oggi e s’impone in maniera prepotente prevedendo già il futuro che sarà. È il caso di “Vocabolario minimo delle parole inventate” a cura di Luca Marinelli e pubblicato da Wojtek Edizioni. Un’antologia in cui il racconto è un microcosmo dove costruire mondi inseguendo un’intuizione. Ventidue scrittori, tutti con precedenti esperienze nelle riviste letterarie, si fanno parola e costruiscono un nuovo vocabolario.
Una raccolta in cui gli autori sono diversi per voce e per stile ma accomunati dalla sfrenata voglia di sperimentare, di prendersi uno spazio, di mettere da parte l’ordinario. Marinelli assembla un’antologia che rimette prepotentemente la parola al centro della scrittura. Ogni racconto ingaggia una vera e propria caccia al tesoro con il lettore che diventa parte attiva della narrazione. C’è una parola nuova a cui cercare di dare un significato decifrando il racconto, scavando nel modo in cui questa si intreccia con le altre parole, il suono che fa quando scivola per la prima volta sulla lingua, i sinonimi da accostare e la voglia di ficcarla nei discorsi comuni per ravvivare le parole abituali. Un processo di ricerca che fa sentire il lettore scomodo e intrigato e che mi ha ricordato le sensazioni provate leggendo il racconto “La parola proibita” di Dino Buzzati.
Un abbecedario che muove i passi dall’oscuro e dispersivo mondo delle riviste letterarie online riportandone le dinamiche, le voci, la varietà di stili e la precarietà di questo tempo che riecheggia in ogni storia.
“Mio padre si chiamava Giggi. Giggi l’astronauta, perché stava sempre su un altro pianeta. Quando correvano le ambulanze e lo guardavo volare via sui lettini e poi sbarcare qualche giorno dopo e gli chiedevo: papà che c’hai? Lui mi rispondeva: c’ho il gravicoma. E cioè? Gli chiedevo, che ti senti? Mah, faceva lui, niente, un po’ di vertigini, un po’ di cattiveria… il mal di spazio”
Racconti che hanno come protagonisti il mal di spazio e la difficoltà della convivenza forzata tra solitudini come in Gravicoma di Claudia D’Angelo.
“Sembrava un randagio a tre zampe malato e impazzito: le spalle incassate, un alone di sfiducia non risolta e irriducibile, indossava senza disinvoltura una macchia gialla di tessuto sintetico infilata da una riga di bottoni con il secondo, il terzo e il quinto sbrecciati, una giacca grigio topo di due taglie abbondanti foderata all’interno di rosa, la lingua di una cravatta nera pencolante nella tasca rivoltata dei Champion bianchi incassati nelle Dottor Martens slacciate ai piedi”
In Hibrisifico Pierluca D’Antuono e la ferocia degli autopubblicati in una ironica e frammentata biografia di Claudio Maria Gaggiollo.
“Ma la testardaggine era supponenza, gli fece notare il prete, e la volontà è sempre negativa.
Lei non crede nella volontà di Dio? Gli chiese il dottore.
Io credo nell’abbandono, e lei? In cosa crede? Lei che non è riuscito nemmeno a stare accanto a sua moglie”
Una storia cupa, un ospedale psichiatrico e il rovesciamento continuo di ruoli in Amulico di Alessio Mosca.
“Uno alla volta i cantori fanno la storia.
Un punto se muovono al riso.
Un punto se muovono al pianto.
Se muovono al riso e al pianto.
Se muovono al riso e al pianto i punti si sommano.
Se arriva la paura un punto in più”
Il gioco nostalgico della morte con regole semplici sottostante al difficile e vitale gradimento del pubblico raccontato in Demiurnare di Emanuela Cocco.
Storie di ricerca: esplorazioni fisiche e mentali (Picarébico di Andrea Frau), etimologia, uso nel linguaggio comune e trasformazione di una parola (Queleticismo di Andrea Zandomeneghi) e fughe per trovare una definizione di sè (Robbantare di Federica Sabelli).
E poi ancora parole che grazie ad una consonante diversa trasformano radicalmente il loro significato (Memolabile di Gianluca Bartalucci) o che invece intorno a quella lettera si raggruppano per farsi spazio (Lallità di Anna Adornato). Nomi che diventano parole perdendo la loro intimità (V-Dianare di Simone Lisi) o che riflettono l’incastro su noi stessi da cui spesso è difficile liberarsi (Inculcraniarsi di Francesco Quaranta). La casa come nascondiglio in Wone di Alfredo Zucchi e Zipzappare di Stefano Felici. E molti altri racconti che mi riservo di non citare per lasciare ai lettori la curiosità della scoperta.
Piccola nota a margine , la non presenza di biografie degli autori. In un periodo in cui si richiede di scrivere bio ovunque ci si affacci, appare singolare la scelta di non dare ulteriori informazioni oltre al nome degli scrittori inseriti. Scelta che sembra sottolineare il desiderio di richiamare l’attenzione sui racconti e sulla parola scritta.
Se è vero che siamo le parole che usiamo , l’esigenza di trovarne di nuove appare l’unica via per potersi esprimere in un ambiente che tutti accusano per la sua staticità. E se non dovesse bastare percorrere sentieri già tracciati per sentirsi davvero liberi di dire ? Forse bisognerebbe cominciare a cedere allo sforzo di creare altre combinazioni, di coniare nuove espressioni, di cercare diverse strade e di non imbrigliarsi nella smania di omologarsi e piacere a tutti. Se ventidue autori inventando parole ci stessero chiedendo uno spazio, saremmo pronti a darglielo? Se le riviste letterarie consapevolmente o meno stessero creando un nuovo linguaggio, saremmo pronti ad ascoltarlo?
Citando Achille Lauro e rivolgendomi idealmente al mondo editoriale, Tieni da parte un posto e segnati sti nomi: Alessio Mosca, Francesca Corpaci, Simone Ghelli, Emanuela Cocco, Paolo Gamerro, Lorenzo Vargas, Claudia D’Angelo, Pierluca D’Antuono, Francesco Quaranta, Anna Adornato, Gianluca Bartalucci, Paolo Parente, Alfredo Palomba, Andrea Frau, Andrea Zandomeneghi, Federica Sabelli, Andrea Donaera, Luca Mignola, Guido Zavanelli Zanetti, Simone Lisi, Alfredo Zucchi, Stefano Felici.
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Luca Marinelli, romano, ha studiato fisica e sceneggiatura. È redattore di “Verde Rivista“, ha fondato “Guida Quarantadue” e il blog di racconti “Narrandom“.