“La vedo proprio in forma oggi.”
Regina sorrise alla fruttivendola. “Eh… ma gli anni pesano. Oggi sono novantaquattro.”
“Tanti auguri! E complimenti. Vorrei arrivarci alla sua età così in gamba.” La fruttivendola riempì la busta con le verdure. “E questo è il mio regalo di compleanno” disse, aggiungendo un melone. “Mi sono arrivate anche delle pesche dolcissime, senta che profumo. Gliene metto due per Livio, so che gli piacciono tanto. Quanti anni ha adesso suo figlio?”
“Settantatré…” rispose Regina. “Senza aver mai lavorato un giorno della sua vita.”
Livio appoggiò il calice di Prosecco sul tavolo, dopo averlo svuotato in un sorso, per inumidirsi la gola dalla lunga spiegazione. Era quasi mezzogiorno e Alle due spade il baccano delle chiacchiere si accompagnava al tintinnio dei bicchieri. Ai bevitori abituali, tra i quali alcuni studenti del vicino liceo artistico, si erano aggregati i clienti del mercato, venuti a rinfrescarsi dall’afosa mattinata e a rifocillarsi con vino e cicchetti. Livio riprese a commentare l’opera di Nicolas De Staël, il pittore russo, alla ragazza con i dreadlocks di fronte a lui. Con un ampio gesto del braccio indicò un quadro appeso alla parete, in mezzo alla collezione di attrezzi agricoli arrugginiti.
“Nei miei tetti, il figurativo viene trasceso nell’astratto, ma anche conservato, proprio come in De Staël. Si riconosce il gioco delle tegole, che però sono diventate spatolate di materia animata dal colore. Il cromatismo di …”
“Il Maestro ha conosciuto Vedova a Venezia, gliel’ha già detto?” L’oste arrivò alle spalle di Livio per raccogliere i bicchieri, facendo l’occhiolino alla ragazza.
“Vedova era esigente ” cominciò allora Livio, passandosi una mano tra i capelli grigiastri, lunghi fino alle spalle. “Abbiamo avuto tanti scontri, per le sue critiche.” Fissò meditabondo un pastoso tratto nero del suo quadro, come se da lì potesse emergere una scena del passato.
“Mi dispiace, ma devo proprio andare” si scusò la ragazza alzandosi in fretta e ringraziandolo più volte quando lui posò la mano nodosa sulla sua, esile e morbida, per impedirle di estrarre il portafoglio dalla borsa di canapa. Si alzò anche Livio facendo forza sui braccioli e, davanti al bancone, constatò che nel portafoglio di cuoio scurito dal sudore non c’erano altro che monetine, anche a cercare bene e pure nelle tasche dei pantaloni, per un totale di un euro e sedici centesimi. Chiese se poteva pagare il giorno dopo. Si era dimenticato i soldi a casa, cose che succedono.
“Certo, Maestro” rispose l’oste con un sorriso. “E la mamma come sta?”
“Oggi compie novantaquattro anni.”
“Arrivarci così in gamba a quell’età! Le faccia tanti auguri da parte mia, Maestro.”
Un po’ barcollante, Livio tornò a casa, con la sigaretta che gli si consumava tra le dita, perché dopo due tirate era scosso da attacchi di tosse cavernosa.
Ai tre scrocchi della porta, il coccodrillo sporse la testa da sotto il letto di Regina, facendo scorrere fin sopra gli occhi le frange del copriletto trapuntato. Regina trascinò in cucina le borse della spesa, le poggiò a terra e fece un respiro profondo. Dopo la salita della rampa di scale, fu costretta a stare seduta un bel pezzo prima di mettersi a cucinare il pranzo.
Il coccodrillo, remando con le zampe, pattinò sulla pancia attraverso il corridoio tirato a cera e andò a stringersi alla bell’e meglio sotto il tavolo della cucina. Il corpo, verde oliva a fasce nere, era incassato addosso alla parete, la coda saliva l’angolo del muro come un’invadente pianta grassa. Immobile, seguì con lo sguardo le gambe di Regina, fasciate da spesse calze grigie, che si spostavano dal frigorifero ai ripiani con le stoviglie, dalla pattumiera al frigorifero.
Quando Livio rientrò in casa, puntò dritto al suo studio per recuperare un pacchetto avvolto in carta da regalo blu. Come ogni mattina, si era alzato tardi e non aveva ancora salutato la madre, uscita a fare la spesa. Andò in cucina.
“Tantissimi auguri, mamma” le disse, aggrappandosi a lei in un abbraccio, e curvandosi per baciarla sulla guancia rugosa. Si staccò e le porse orgoglioso il pacchetto.
“Hai ancora sbevazzato con gli altri fannulloni?” gli chiese Regina, annusandogli l’alito.
“Aprilo. Voglio vedere se ti piace.”
Regina scartò il regalo sotto gli occhi impazienti di Livio. Era un piccolo quadro, racchiuso in una cornice dorata.
“Ho dipinto i girasoli che ti piacciono tanto.”
“Grazie, caro” disse la madre al suo bambino di settantatré anni. Abbassò lo sguardo sul regalo e sfiorò la superficie ruvida della tela con la punta delle dita, soffermandosi sui petali gialli.
“Per ottenere questi giochi di luce ho mescolato il giallo cadmio con …” iniziò Livio. La madre si affrettò ad appoggiare il quadro sulla credenza e a invitare il figlio a mettersi a tavola per il pranzo: prosciutto crudo e melone, e la piccola torta di crema e pan di Spagna che comperava a ogni compleanno.
“Ho finito i soldi” disse Livio, infilzando con la forchetta da dessert un pezzo di torta. “Di questi tempi, con la crisi che c’è, durano poco.” Fece una pausa, la forchetta a mezz’aria, indeciso se mangiare o continuare il discorso. “Mi daresti cinquanta euro?”
“Ancora?” Regina appoggiò la forchetta sul piattino dal bordo dorato del servizio buono. “Cosa ne fai dei soldi? Te li bevi tutti all’osteria con quei fannulloni?”
“Compro i colori e le tele” rispose Livio, concentrato sulla torta in punta alla forchetta.
“Ma se non hai mai venduto un quadro, santoddio! Dici che in provincia l’astratto non lo capiscono: allora senti qualcuno di Milano o Roma. Oppure lascia perdere una volta per tutte.”
“Come sarebbe lasciar perdere?” ripeté Livio, puntando la forchetta verso la madre.
“Possibile che tu non riesca ad arrangiarti una buona volta?”
“Parli così perché hai la tua pensione e quella di papà. A me non danno neppure l’assegno sociale perché abito con te.”
“Sei fortunato che stia bene e che abbia ancora la testa a posto. Pago tutto io: bollette, spesa, visite mediche. Se ci fosse ancora tuo padre…” Regina mise di traverso la forchetta sul piatto e lo spostò a lato.
“Sempre la solita storia: tuo padre, tuo padre, tuo padre. Tu e papà non avete mai capito niente. Nessuno ha mai capito niente della mia arte.”
Gettata sul piatto la forchetta con il pezzo di dolce, Livio si alzò e se ne andò nello studio sbattendo la porta.
“Devi prendere le medicine per la prostata” mormorò Regina, rivolgendosi ormai solo a se stessa. Inghiottì con un sorso d’acqua il lucido confetto arancione per il colesterolo e una compressa bianca per la pressione, poi aggiunse nel fondo del bicchiere una decina di gocce per il cuore.
Il coccodrillo, immobile sotto il tavolo, teneva d’occhio le ciabatte di Regina. Quando lei cominciò a sbattere nervosamente il calcagno sulla suola, si sollevò sulle zampe e aprì le fauci armate di denti aguzzi, ma poi, come per un ripensamento, tornò a distendersi ghignante. Non era ancora il momento.
Livio si sedette davanti al cavalletto, oscillando la testa a ribadire no, no, no, mentre la flaccida pelle del sottogola seguiva il movimento, come i bargigli di un gallo. Fu solo inalando l’odore familiare e persistente dei colori a olio, con sottofondo di una nota acre di trementina, che ritrovò la tranquillità. Rincorse con lo sguardo un nastro di luce che, zigzagando sui barattoli dei colori, esplodeva in un sole dai raggi vibranti su un coperchio di metallo. Nella cornice della finestra vide incrociarsi antenne, camini, file di tegole e tetti, oltre i quali giocavano a nascondino le chiome degli alberi. Si divertì allora, con la punta della spatola, a rigare il colore fresco, allontanandosi poi dal quadro per osservarne l’effetto, anche perché gli doleva la schiena a stare troppo seduto.
“Mamma?” chiamò Livio, davanti alla porta chiusa della camera da letto della madre. Era ormai mezzogiorno. Regina era supina, la coperta leggera appena sollevata. La bocca era un buco dove le labbra ricadevano sulle gengive senza dentiera, il volto lucido pareva ricoperto da una velatura trasparente sopra pelle cerosa color giallastro.
In camera, Livio la chiamò più debolmente, con delicatezza, come se non volesse svegliarla. Distese la mano per sfiorarle il viso: una lieve carezza con la punta delle dita a cui rispose la pelle fredda. Si abbandonò sulla poltroncina accanto al letto. Aveva il cervello intorpidito, non solo il resto del corpo. L’unica frase che galleggiava nella sua coscienza era Adesso devi arrangiarti, ma non riusciva a visualizzarne le conseguenze. Si era occupato sempre e solo di arte, mai di pulizie, bucato, spese, cucina, medici, ricette, soldi, pensione, 730, bollette.
Disteso sull’altra piazza del letto matrimoniale, il coccodrillo, con una tozza zampa sul ventre di Regina e la coda a penzoloni sul pavimento, aprì un occhio per fissare Livio.
Dopo un tempo infinito, riemergendo dalla contemplazione dei solchi neri tra i tasselli del parquet, Livio gettò un timido sguardo al corpo inerte e si alzò dalla poltrona. Il coccodrillo cominciò ad agitarsi. Scalciando con le zampe, rotolò su se stesso, finché non cadde con un tonfo a lato del letto. Spingendosi indietro, ma intralciato dal comò e dall’armadio, ci mise un po’ per districarsi e inseguire Livio, che uscì di casa prima che il coccodrillo arrivasse alla porta d’ingresso.
Alle due spade c’era solo qualche avventore. Livio trangugiò il secondo Prosecco, poi appoggiò il calice sul bancone.
“Maestro, la vedo pensieroso oggi” lo interpellò l’oste, asciugando una caraffa di vetro.
Livio rispose con un mugugno, assorto nella visione del bicchiere vuoto. Adesso devi arrangiarti, pensò.
“Dimenticavo, Maestro. Dopo che se n’è andato via ieri, è passato un tizio distinto, che ha guardato un pezzo i suoi quadri, e poi mi ha chiesto se conoscevo l’autore. Sembrava molto interessato. Mi ha dato il biglietto da visita. Vediamo dove l’ho messo, con tutto questo disordine. Eccolo qua.”
Livio prese il cartoncino ruvido che l’oste gli porgeva. Achille Bonito Oliva, il famoso critico d’arte. Sotto il nome, un numero di cellulare. Poi le scritte gli si acquerellarono davanti agli occhi e l’inchiostro sembrò velare delicatamente la carta. Una lacrima rotolò sulla guancia rompendosi tra la barba ispida.
Il coccodrillo si spinse in camera di Livio, intrufolandosi sotto il letto. Nel buio, tra i bioccoli di polvere, immobile come un tronco, rimase in attesa della prossima preda.
Copertina originale di Ottavia Marchiori