Foto di Magale

Giocattoli

“Quale occasione può essere migliore di una domenica di pioggia per fare spese?”
Era una delle frasi preferite di Carolina, amava sfornarla appena sveglia, con lo sguardo di una che tira fuori una teglia colma di prelibatezze. La serviva calda e fumante, dopo una prima timida occhiata di là dai vetri, soprattutto all’affacciarsi dei primi freddi invernali.
Per Carlo quell’incipit aveva un odore acre di ricotta stazzonata e rancida, non certo di una specialità della casa. Sapeva che non avrebbe portato nulla di buono, né a lui né al suo abbonamento TV, che lo schiribizzo della moglie avrebbe rischiato di rendere orfano. Ma Carlo sapeva anche di non avere potere in merito, restava solo la resa.
“Dove vorresti andare oggi?” le chiese sorseggiando un tiepido caffè troppo leggero per i suoi gusti.
“Mmm… che ne dici del Bimbostore? Potrebbe essere l’occasione giusta” rispose Carolina, trattenendo il respiro in attesa della sentenza del marito.
Un rapido calcolo attraversò la mente di Carlo: metà dicembre + pioggia + domenica = impantanamento a oltranza. Attese qualche secondo, emise una serie di lunghi sospiri, tanto per avere una parvenza di voce in capitolo e farle sudare un tantino la vittoria.
“Allora?” lo incalzò lei, quasi paonazza per la manzanza d’ossigeno.
“E Bimbostore sia” buttò fuori Carlo, facendo fluire insieme alle parole anche le poche energie sonnolente della domenica mattina.
Carolina squittì di piacere e trotterellò verso il bagno, battendo le mani per la gioia. Lui spazzolò due fette di torta al limone e trangugiò un’abbondante tazza di latte. Era previdente, Carlo, preferiva essere ben equipaggiato qualora si fosse reso necessario saltare il pranzo.
Carolina riemerse dai vapori della doccia mezz’ora più tardi, ci volle altrettando tempo perché si dichiarasse pronta. E il viaggio ebbe inizio.
“Carlo ma questa macchina ce l’ha i ganci per il seggiolino?”
“Certo che ce l’ha, Caro, i seggiolini si agganciano agli attacchi delle cinture”
“Ma sei sicuro?”
“Sì che lo sono.”
Carolina prese il telefono dalla borsa e iniziò a digitare.
“Cosa stai cercando?” chiese Carlo guardandola di traverso.
“Niente.” rispose lei inclinando lo schermo verso il finestrino.
“Non ti fidi?” la canzonò.
“Sì che mi fido, ma è sempre meglio avere conferme!”
Dopo qualche decina di tasti premuti, Carolina oscurò lo schermo.
“Soddisfatta?” chiese Carlo.
“Sì.” si limitò a rispondere lei.
Il sorriso di trionfo morì prematuramente sulle labbra di Carlo, ucciso da un cartellone di lavori in corso.
“Cerca un’alternativa.”
“E come faccio?”
“Prendi il tuo bel telefono rosa, apri la app del navigatore e imposti un percorso alternativo.”
Lei lo gurdò furiosa ma lo assecondò in silenzio, e dopo avergli fatto fare almeno quattro inversioni di marcia, si arrese.
“Carolina, saremo passati di qui già tre volte. Ce la fai ad avvertirmi in tempo quando devo svoltare?”
“Non è colpa mia se questo coso si muove a scatti e non è in diretta!”
“Allora alza il volume, così la voce mi…”
“No! È insopportabile! Sembra una sciacquetta da hotline, mi rifiuto!”
“E allora? Che facciamo?”
“Accosta lì e chiedi a quel signore, quello col cappellino”
“Odio chiedere alla gente, Carolina, lo sai!”
“Lo so, e allora? Hai idee migliori?”
Carlo si arrese, accostò, e l’uomo col cappello fu così gentile da riempirgli la testa di indicazioni.
“Hai capito?” gli chiese lei, tirando su il finestrino.
“Certo. Tu no?”
“Io non c’ho capito niente.”
Un nuovo sorriso si allargò sulle labbra di Carlo, facendogli sorgere il sospetto che seppur non si potesse definire vittoria, quello potesse essere almeno un pareggio.
In lontananza iniziò a stagliarsi il variopinto profilo del famigerato Bimbostore. L’eccitazione di Carolina divenne incontenibile: si tolse sciarpa e cappotto, salvo poi ricoprirsi per colpa di un presunto spiffero; accese e spense la radio quattro volte nel giro di trenta metri – percorsi a passo d’uomo grazie alla fila di auto schierate alla disperata ricerca di giocattoli. Quando finalmente incastrarono anche la loro macchina tra le altre, Carlo capì che la sua TV non avrebbe avuto il piacere di ospitare il suo riflesso tanto presto.
All’entrata un omino vestito di rosso distribuiva numeretti: a loro era toccato il 164 e sul display lampeggiava il 102. Davanti alla sua espressione atterrita l’addetto fu ansioso di rassicurarli: in attesa di essere chiamati potevano girare per le corsie del negozio liberamente.
“Ci mancherebbe” aggiunse l’omino.
“Ci mancherebbe!!!” fece eco Carlo, in uno sprazzo di orgoglio.
Carolina era elettrizzata; noncurante dell’attesa e della fame, visto l’approssimarsi dell’ora di pranzo, si aggirava tra gli scaffali con occhi febbrili.
“Presto potremo avere tutto questo Carlo, ma ti rendi conto? Potremo avere questi bavaglini, questo sonaglio, e anche questi…cosi” esclamò lei facendo penzolare due pezzi di plastica e stoffa dal dubbio uso. “Vogliamo andare a scegliere intanto?” propose lei abbassando la voce con aria complice.
“Ma no, dai, aspettiamo il commesso così ci dà un consiglio…”
“Come sei cauto, Carlo! Credi che possa sapere ciò che vogliamo meglio di noi?”
Carlo la guardò: aveva gli occhi sgranati e sembrava impossessata. Non seppe stabilire quale demone ne fosse responsabile ma si sentiva di escludere lo spirito del Natale. Guardandosi intorno la possessione gli sembrò epidemica: diadi di personaggi tanto indecise quanto determinate all’acquisto si trascinavano tra le corsie, in cerca di nastri di quella particolare tonalità di rosa-confetto-da-comunione-non-da-cresima; del conglietto BunnyBoy – ultima irrinunciabile tendenza in fatto di animali-da-fattoria-che-parlano-e-cantano – essenziale per completare la serie della FattoriaAmicaMia edizione 2018ter; di scarpe numero 7 e tre quarti blu, ma non azzurre, con gli occhielli, ma solo due siamai fossero tre, con la fibbia, ma non appuntita per carità sennò con la bua come si fa?
“E se mangiassimo un panino invece?” le propose Carlo.
“Ma che panino e panino! E se poi ci chiamano e noi ci stiamo ingozzando? Che figura ci facciamo?”
Qualche minuto dopo la voce metallica dell’altoparlante annunciò il loro numero.
Carolina fece uno scatto da centometrista verso il bancone e sventolò il tagliandino col numeretto sotto al naso del malcapitato.
“Buonasera signori, come posso esservi utile?”
“Per noi è la prima volta, non siamo mai stati nel vostro negozio. Vorremmo…”
“Non si preoccupi signora, ho capito tutto, seguitemi.”
Carolina prese Carlo per mano e ci mancò poco che gliela stritolasse. Gli lanciò uno sguardo complice, che si specchiò negli occhi spenti e rassegnati di Carlo. Lui vide la delusione nello sguardo della moglie e provò a recuperare mettendo su un’espressione di speranza.
“Eccolo qui, il modello che fa per voi” esclamò il commesso, progendogli un bozzolo di mezzo metro.
“Che ne dici, tesoro?” chiese lei
“Beh…”
“Ce lo immaginavamo diverso, più…”
“Più simile a voi?”
“Ecco, sì. Più simile a noi.”
“Se volete c’è questo” disse il commesso pescando un bozzolo più piccolo “taglia media, occhi marroni come i vostri, colorito 4 sulla scala dei rosa, che mi pare una buona media tra voi due… Sì, questo vi si adatta meglio in effetti.”
Carlo guardava alternativamente sua moglie e il bozzolo, cercando di ritrovarvi una qualche base comune.
“Ma sì, Carolina, può andare.”
“Ma come può andare? Deve essere perfetto, Carlo!”
“Sì, sì, dai, era quello che volevo dire, no?”
“Dici?” chiese lei dubbiosa. Prese il bozzolo tra le mani. “Fammi una foto, voglio vedere come mi sta.”
“Se volete ve ne faccio una insieme” propose il commesso.
Carlo si posizionò accanto alla moglie e accennò un sorriso.
“Ma non sorridere, Carlo, cerca di essere naturale. Sii spontaneo!” lo rimproverò lei.
Un attimo dopo erano entrambi lì a fissare lo schermo del telefono, intenti a fare congetture.
“E se mandassimo la foto a Sara, Beatrice, Marta, Guglielmo, Giovanni, Veronica e ai rispettivi? Raccoglieremmo abbastanza opinioni da fare una statistica accurata, che ci darebbe un’idea di quanto in effetti…”
“Carlo, Carlo, frena, sta iniziando a uscire fuori l’ingegnere che è in te. E ti ricordi che abbiamo detto a proposito di questa cosa che ogni tanto ti succede?” gli chiese Carolina prendendogli la testa tra le mani e guardandolo fisso negli occhi.
Carlo respirò a fondo. “Sì, Caro, abbiamo detto che serve solo quando sono nella stanza del bricolage e tu non sei in casa.”
“Bravissimo. Dove siamo qui?”
“Al Bimbostore.”
“Perfetto. Allora siamo daccordo che non ci serve?”
“Sì.”
Tornarono a guardare il bozzolo. Scambiarono fitti sussurri intervellati da frasi più acute e silenzi concentrati.
“È lui” convennero infine.
“È proprio lui? Ne siete sicuri?” chiese il commesso. “La nostra politica sui resi…”
“Siamo sicuri” tagliò corto Carolina stringendo a sé il loro imminente acquisto.
Sbrigarono le pratiche restanti, scelsero gli accessori e si avviarono verso l’auto.
Lei caricò il portabagagli mentre Carlo si occupò del bozzolo: provò ad adagiarlo sul sedile posteriore tentando varie manovre, finché non lo fece sbattere al tettino.
“Ma vuoi stare attento?” lo rimproverò Carolina.
“È che questo bozzolo…”
“Ma la smetti? Ti decidi a chiamarlo col suo nome? E’ Luca. L-U-C-A, ricordi?”
Carlo sospirò e lo adagiò con più cura.
Quando l’auto fu riempita, si sistemarono ai rispettivi posti. Carlo si immerse nel traffico pomeridiano, costatando di non aver solamente perso la partita ma anche la Domenica sportiva.
Si girò verso una delle auto che li circondavano, avanzando a rantoli rassegnati verso l’uscita, e vide lo stesso pensiero dipinto sul volto del guidatore. Gli mancò il coraggio di rivolgergli uno sguardo solidale. Carolina era insolitamente taciturna, la sua gioia non era sbocciata in esclamazioni di giubilo e turbinii di gesti, ansie, progetti sul nuovo arrivato come Carlo aveva immaginato. C’era solo il silenzio e un furioso digitare, interrotto dopo pochi secondi da una serie di trilli a ripetizione.
“Beh, non rispondi? Tanto facciamo un metro ogni dieci minuti.” si lamentò Carolina, come se fosse un esito inaspettato.
Carlo prese il telefono: erano comparsi dodici nuovi gruppi, tutti col medesimo titolo “Benvenuto Luca!”. Ne aprì solo due, gli bastò per capire che la festa di benvenuto era fissata per le 16 della domenica successiva e che l’invito era comune ai colleghi del lavoro di lei, di lui, agli amici del quartiere di lei, di lui, alla famiglia di lei, di lui, e via contando fino a dodici.
“A che ora ha detto il commesso che si sarebbe schiuso?” domandò Carolina.
“Ci ha riempiti di informazioni, mi pare ci volessero dalle 6 alle 12 ore… perché?”
“Speriamo che si sbrighi, i gruppi senza foto non li posso soffrire.”

Foto di copertina di Magale

3 pensieri su “Giocattoli

  1. Bello!!! in qualche modo e per qualche motivo mi è venuto in mente il Villaggio dei dannati, forse una sua versione pop. Complimenti!!!

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