Seppuku racconto di Marco Simeoni sulla droga e le vite al margine

Seppuku

Tutti i prefabbricati superstiti – sette, otto – a uno sputo dal fiume, risultano abbandonati al catasto. Erano stati costruiti con lo stampino dalla stessa ditta appaltatrice che aveva commissionato, a disperati usciti dalle Belle Arti, una tinteggiatura in quattro colori diversi.
La storia dei colori servì a dare un tocco di originalità alla fabbricazione in serie. La storia dell’abusivismo edilizio invece fu portata a galla dalla piena del fiume, il quale fece pelo e contropelo alle fondamenta difettose, abbattendo decine di case rosse, gialle, marroni e blu.
Doc si presenta a quello con i vetri superstiti alle finestre, dove orbitano Galileo e gli altri della cricca, per rimediare un po’ di buona medicina.
Incrocia Sparacicogne in pieno sole, a una decina di metri dal portico, intento a picchiare i moscerini. Mentre Doc si avvicina, Sparacicogne aumenta il ritmo dei destro/sinistro-sinistro/destro: «Sei venuto per Liam?» La voce sembra uscirgli dai pugni.
Doc saluta con un cenno del mento «Passavo di qui. Comunque… c’è Galileo?»
Sparacicogne smette di tirare cazzotti. Poggia le mani sui fianchi «No, perché se sei venuto per Liam, sta una chiavica» dice col fiatone «L’ho appena bucato.»
«Non trovava la vena da solo?»
«Eh!? No! L’ho bucato col trinciapollo. Oh-oh, buono coi giudizi. Lo sai che Liam si fissa. Stavolta scassava con Midori e… è stato un incidente. Comunque ho sbollito. Sto bene.»
Sparacicogne porta sul corpo i segni da lottatore disperato: le nocche bitorzolute coesistono con il sorriso innocente e lo sguardo di chi pensa già ai danni che farà nella prossima reincarnazione. Nemmeno la madre, ritrovandoselo davanti, giurerebbe sulla sua età.
Doc deglutisce «È morto?»
«No. È sul divano.»
«Ma respira?»
«Se non è soffocato dalle sue stronzate lo trovi nella sala relax.»
«Tu non vieni?»
«Prendo in prestito del cherosene che c’abbiamo la stufetta a secco» fa l’occhiolino «poi ti raggiungo.»

Le porte d’ingresso malmesse, al passaggio di Doc, cigolano sui cardini assieme alle assi del pavimento. I primi a lasciarlo sono i raggi del sole; i primi ad accoglierlo, nella topaia, sono gli odori. Odori di spogliatoi e di cane bagnato. E Doc, come nello stretching e nella caccia, riscalda le narici sperando di rimediare un tiro. Non è tanto per le scarpe che si incollano allo sporco obbligandolo a camminare come un astronauta, è proprio la mancanza di aria fresca a rendere quel posto un approdo alieno.
Nella sala relax ci sono le solite facce e un paio di novità.
Formalina, spalle immense che coprono la parete adibita alle freccette, si gratta la barba ispida, soppesando la presenza di un bancone da pub di foggia irlandese più ingombrante di lui. Elio il bello, sulla soglia opposta della sala, stringe una stecca da biliardo che peserà quanto lui e sembra aver scopato con un incendio. Il biliardo, presente all’ultima visita di Doc, è sparito e le bocce vagano sul pavimento butterato di fango stile Lemmings. Galileo, seduto a una scrivania d’anteguerra, con i suoi immancabili rasta sale e pepe, armeggia con scatole di attrezzi e un fornello da crack mangiafumo, sua ultima invenzione.
E questi tre, resisi conto che è solo Doc, tornano a lanciare occhiate in direzione di Liam.
Ma ci sono altri disperati, oltre a Liam imbalsamato sul divano. Doc percepisce l’ottundimento della fattanza, rumori di tubature dal piano di sopra – quello con i materassi a terra – e un vinile che riproduce il rock del gruppo It’s a Beautiful Day.
«Chiediamolo al dottorino» la voce stridula di Elio il bello lo trascina nella discussione «duemila pasticche di Methaqualone rimediate da Formalina potrebbero farci entrare nei giri giusti.»
Doc alza il mento e punta la sua attenzione sul viso massiccio e sporco di Formalina, anche se è Elio a parlare. Gestisce meglio la barba di un gorilla che le cicatrici di una iena.
Formalina imbastisce un’espressione da Nobel per la pace «Stavano dimenticate in un posto. Si meritano una seconda occasione.»
«Sei proprio un benefattore tu eh!»
«Mi conoscete. È fiuto. Chiamatemi…»
«Bene-FATTONE» Elio dà di gomito a Doc e ride da solo «vuoi entrare nell’affare?» E spara la cifra «Non ti ci vorrà molto per rimediarli.»
«Mi ci vorrà una vita “per rimediarli”.» Lo corregge Doc «Fuori ho incrociato Sparacicogne…»
«Giusto, lascia perdere quei due gonzi. La data di scadenza sull’etichetta era già vecchia all’avvento di Cristo.» Sghignazza Galileo e i rasta gli tamburellano sulle spalle. «Semmai…»
«Scadute!? Meno effetti collaterali. Garantisce Formalina.»
«S-e-m-m-a-i!» Galileo punta il bilancino verso Liam «dagli un’occhiata che te magari ci capisci qualcosa.»
Ecco cosa accade, pensa Doc, quando attacchi col valzer delle stronzate. Se non ti credono ti vergogni di te. Se lo fanno ti vergogni per loro.
Liam sta seduto sul divano, con un gomito puntellato sul bracciolo sventrato, in cerca di un contegno e, con l’altro braccio, si preme in mezzo al petto un accenno di segno della croce sbagliato sul nascere. La faccia ha perso i colori. Gli occhi condannano un punto indefinito del soffitto.
«Ehi Liam» dice Doc «raccontami, ch’è successo?»
«’Spetta, levati.» Sparacicogne scansa Doc col culo e si siede sul bordo del tavolino ribaltando un portacenere pieno di cicche «Tieni, fatti una bevuta. Bollicine o roba seria?»
Liam risponde al soffitto «Non mi va.»
«Sta a fa’ il prezioso!» Sparacicogne gli schiaffa i bicchieri sotto il mento, bagnandolo «Annusa, direttamente dalla mia riserva.»
Liam è una statua «L’acqua è inodore.»
«Annusa. E poi tu mica l’acqua devi bere.» Sparacicogne scola uno dei bicchieri offerto un attimo prima a Liam e con la mano nuovamente libera si asciuga il sudore dalla fronte. Si guarda attorno «Ecco, meglio» arraffa una bottiglia di birra dalle mani di Elio «Alcol o alcol?»
Elio il bello ride e il pomo d’Adamo gli gonfia il collo ustionato.
Doc si gratta la testa: «Raga, tocca portarlo all’ospedale.»
«Avevi ragione Galileo, ci serviva proprio il laureato.»
«Piantala, cazzone.» Formalina alza il vocione per sovrastare le nuove risate di Elio. «C’abbiamo provato Doc.»
«Provato?»
«È successo un bordello.» Formalina mima un big-bang e getta un’occhiata a Liam prima di alzare le spalle. «Lo conosci Liam. Un sacco di input e di output.»
«Gli incasinate il cervello così» Galileo ruota sulla sedia e sfoggia occhialetti tondi e un petto nudo con una costellazione di tatuaggi e piercing «Doc è da un po’ che non bazzica da queste parti. Riassumo: ci siamo dati delle regole.» Lo dice con un certo orgoglio nella voce «A turno niente spada. Pronti per guidare, rispondere al telefono, mandare a fanculo i servi del Comune e altre cazzate così.»
«Mi sembra una buona idea.»
«Infatti.»
«E questa settimana a chi toccava restare pulito?»
«A Buba.»
«Bene.»
«No, male. È al gabbio quel punkabbestia. La furtata dei Rolex.»
Doc annuisce per arco riflesso «E adesso a chi tocca?»
Galileo fissa Doc. Sbatte le palpebre «Te l’ho detto. A Buba.»
In sottofondo, Sparacicogne si riduce a una domanda: «Come va Liam?»
La conversazione sprofonda nel vuoto. Un nuovo brontolare di tubature. Il giradischi attacca con Wasted Union Blues.
«Mi brucia.»
«Fammi dare un’occhiata. E leva sto’ braccio» Sparacicogne sposta il braccio di Liam. Il sangue rappreso sul polso vira al marrone. «Non è grave. La lama ha grattugiato giusto un po’ una costola. Hehe Assurdo! Alla fine ci rimetto io. Dovrai rimediarmi un altro trinciapollo.»
«Sì certo» Liam ha un fremito «è stato il mio primo pensiero.»
Sparacicogne schizza in piedi «Visto?» Mostra Liam agli altri come se dovesse venderglielo. «Ancora caga il cazzo. Sta una favola.»
Galileo si alza dalla sedia. Le ginocchia gli scricchiolano: «Fai giudicare a Doc.»
Liam lancia un sorrisetto nella sua direzione: «Tanto sarebbe uguale.»
È facile capire Liam. L’aria da straniero, i peli e i capelli biondi come spighe al maggese, l’incapacità di lasciare andare, il tatuaggio IRA decolorato perché se vuoi cambiare, devi pagare il prezzo del cambiamento. Ma è colpa della sua memoria se Doc distoglie lo sguardo: «Posso portarlo io all’ospedale. Con la macchina di Buba.»
«È di tutti la macchina.»
Formalina con una pezza lucida il bancone da pub «Midori ha preso le chiavi. Con il cesso otturato è lì che va a scimmiare

La luce del sole bussa alle palpebre della cricca e li stimola. Girando attorno al caseggiato, trovano la Subaru argentata, con Midori collassata dentro. Elio armeggia con la portiera senza accorgersi che Midori ci si è anche chiusa dentro. Doc, da stampella improvvisata di Liam, procede lentamente, con il suo braccio sudato attorno al collo. Sparacicogne esce con una pipa da hashish e li segue a ruota. Galileo, dalla finestra dei materassi stesi, si assicura che non gironzoli nessun altro nei paraggi. Intanto i due metri per cento e passa chili di Formalina, scuotono la Subaru come una culla e hanno l’effetto inverso di svegliare e incasinare Midori: scalcia i tacchi contro il parabrezza, dà una ginocchiata al clacson e una testata al finestrino.
«Doc vieni, si è spaccata una sopracciglia.»
«Un sopracciglio» mormora Liam.
Midori segna ripetuti no con la testa e si oppone alla sua liberazione, la sua faccia spalmata sul finestrino sbava il vetro di rossetto, rimmel e sangue.
«Falla finita. Ci serve la macchina» le sbraita contro Sparacicogne indicandole Liam.
«Liam… Liam…» il labiale di Midori è un disco rotto, ma le mani si animano e sbloccano la portiera.
Sparacicogne approfitta del pertugio e afferra Midori per un polso. Gli altri restano ad assistere al tiro alla fune.
«Maiale. Garbo.» mormora Liam «Con garbo.» Si divincola da Doc e si affloscia sulla schiena di Sparacicogne cercando di serrargli il braccio.
«Lascialo!» urla Midori «Non ti è bastato?»
«Ma lascio chi, schizzata del cazzo! Smettila di tirare calci o Liam te lo lancio appresso.» Sparacicogne getta uno sguardo d’odio alle sue spalle «E voi, con calma! Appena avete finito di grattarvi il pacco se me lo scrollate di dosso…»
Liam però non ha più forze e si affloscia su se stesso.
«Liam ti tengo. Lo tengo, lo tengo.» dice Elio prima di lasciarlo cadere, bestemmiando di rimando.
Sparacicogne si passa freneticamente la mano aperta sulla maglietta «Fanculo, l’irlandese mi ha smerdato. Ecco a fare del bene che si rimedia.»
Midori esce dalla Subaru con lo sguardo vacuo delle polene. Rivaleggia col fuoco. Ha un vestito di velluto rosso con un cerchietto abbinato, adatto alla fiera delle bambole o ad un’asta di maniaci. Sulle palpebre, uno spesso strato di ombretto esalta gli occhi di una ragazza abituata a piangere.
Doc la indica con il pollice «Che si è calata per vestirsi così?»
«La conosci Midori.» gli risponde Formalina «S’agghinda. Parte sempre con l’intento di andare da qualche parte. E poi finisce qui.»
«Destino comune» mormora Liam da terra.
«Lasciatelo stare» Midori ha gli occhi liquidi, sfocati «Schifosi!» Parla con voce impastata, facendo guizzare la punta della lingua. «Schifosi tutti» incede evitando quelli della cricca come se fossero loro gli strafatti. Il sopracciglio spaccato è il doppio dell’altro. Torreggia su Liam prono «Tu no» lo aiuta a rialzarsi «tu almeno ci provi.» Lo scorta e lo adagia sul sedile posteriore, sedendosi accanto a lui, prima di chiudere la portiera.
«Venti euro che non la schiodate da lì» dice Galileo dalla finestra, con le mani a megafono.
«Ti sentirai meglio.» Midori accarezza i capelli di Liam. Sta per aggiungere altro ma viene posseduta da un conato, poi un altro e un altro in un tarantolismo addominale. Liam, immobile, viene investito dal getto di vomito. Alla poltiglia calda e acre, sono mescolati chicchi di riso e strani filamenti che coprono la ferita al torace in un bendaggio osceno.
Midori scoppia a piangere.
«Adesso sento meno… meno freddo» prova a dire Liam per consolarla, immerso nel tepore della poltiglia.
Doc è in corto circuito. Ce l’ha con tutto e tutti. Fanculo la roba. Fanculo la balla della laurea mai discussa e il suo credersi migliore di loro. Non li vuole attorno. Punto. E non si tratta di un menare le mani che lascia strascichi: no. È un assumersi la responsabilità della propria inadeguatezza nello stare al mondo.
Invece dice qualcosa, non sa cosa, alla cricca. Non è lui a parlare. È il bisogno. Il bisogno di farsi. Il vociare riprende. Un senso di solitudine gli schiaccia subito i polmoni, gli strizza il cuore, gli ritrae le palle. Formalina dà una controllata dentro al cofano della Subaru e gli mettono in mano le chiavi.
«Ne porti uno, ne porti due» conclude Elio, già di spalle, con la schiena rachitica che sciacqua dentro al maglione e le gambe a stecco che ripercorrono in automatico le orme degli altri rintanati nella topaia.
Doc è lasciato lì, con il piattume del posto che smorza anche il sole. «Dammi qua» e strappa dalle mani di Sparacicogne la pipa da Hashish. Fa un mezzo tiro e la dose è finita.
«Voi due, piccioncini» Galileo lancia una boccetta dall’alto e Sparacicogne la prende al volo. «È Flunitrazepam, così mettete a nanna Midori e vi evitate rotture.»
Sparacicogne bacia la boccetta «Mamma Benzo
«E per me niente Popper?» chiede Doc.
Galileo fa una smorfia rassegnata; sparisce e riappare dalla cornice della finestra «Non ti ci abituare.» Stavolta lancia in direzione di Doc una scatola di pillole per gatti «Tritale e godi. E riporta la macchina.» Chiude la finestra. La flebile melodia del giradischi s’azzittisce.

Il sedile posteriore è un lebbrosario a pH acetico.
Midori è in piena overdose da pentimento «Voglio tornare a casa. Vi prego! Voglio tornare.» Spilucca i chicchi di riso, incrostati sul sedile come i grani di un rosario.
Liam è una pezza da piedi «Siamo arrivati. Siamo arrivati presto.» afferma e ripete.
Doc si massaggia le tempie: «Dai la camomilla a Midori»
«Sei tu il dottore» Sparacicogne, in ginocchio tra i due sedili, spinge la pipetta del farmaco in gola a Midori.
Doc, seduto al volante, inserisce le chiavi nel quadro «Buba si incazzerà parecchio per la carretta.»
«È di tutti la macchina» dice Sparacicogne tornandosene seduto sul lato passeggero.
«Niente è nostro» Liam parla in playback. Le parole gli escono asincrone «Anche la merda ci abbandona.»
«Oh! Di’ all’ospedale che ti sei fatto un incidente, okay?»
Dallo specchietto retrovisore, Doc controlla l’irlandese «Mi sa non ti ha sentito.»
Sparacicogne ripete.
Liam resta zitto a lungo. Alla fine apre così tanto la bocca che spuntano le carie «È stato un incidente, si dice.»
Sparacicogne strippa «Non cominciare con le tue lezioncine del cazzo Okay?» Inspira a fondo «Ti sei affettato da solo.»
«Hara-kiri» dice Doc.
Liam pare far cenno di sì con la testa. Gli occhi però sono chiusi. «Seppuku.»
Finalmente la Subaru collabora e avvia il motore. Gli pneumatici lisi pattinano una frazione di secondo sul terriccio prima di prendere grip e velocità.

*

La sniffata-con-sosta di Doc ha dilatato il viaggio da un’oretta scarsa verso l’ospedale in un viaggio senza fine. A quell’ora il fiume sembra diventato piatto e lento. Le braccia dei salici sulla sponda accarezzano il pelo dell’acqua e basta un posarsi di libellule per incresparlo.
Alla quinta domanda senza risposta dal sedile posteriore, nell’abitacolo della Subaru è emersa una realtà che soffoca. Doc frena di schianto, impreca e scende dalla macchina. Apre la portiera dal lato di Midori, bestemmia, la richiude e apre quella opposta. Sparacicogne vede il tuffo sgraziato. Sente il tonfo. Si rifiuta di assistere alla scena di Doc piegato intento a raccattare e comincia a mangiarsi le unghie.
Ripartono. Sparacicogne è all’ottava unghia mangiucchiata e, se continua così, dovrà attaccarsi a quelle dei piedi, Midori, spaparanzata sul sedile posteriore, mugugna nel sonno indotto e pianta ripetutamente i tacchi su naso, labbra e zigomo di Liam.
Sono costretti a fermarsi dal loro vagare senza fine costeggiando il fiume, perché né Doc né Sparacicogne hanno soldi per mettere benzina. Midori non si sveglia nemmeno dopo la seconda frenata brusca e il successivo trasbordo da una superficie in similpelle a una in vera terra. È umido. La natura regna dalla sua prospettiva. Doc tormenta il quadrante dell’orologio come se potesse convincerlo a riportarlo a quella mattina. Ma l’orologio gli restituisce solo il tempo inevitabile che occorrerà a prendere la decisione. È da settantatré minuti buoni che Doc si è convertito al corso del tempo, al corso del fiume.
Al corso delle cose.
Il fiume scorre lento, incessante e incurante di quanto gli accade intorno, di quanti respirano o hanno smesso di farlo, di quanto accadrà a breve.
Ora anche Liam è una cosa. C’avrebbe pensato la selezione naturale a farsi carico dei loro futuri. Loro non possono. Si stanno già arenando.
L’odore acre del sudore di Sparacicogne avverte Doc del suo arrivo: «Tu lo sai, ci sono quelle malattie cazzo-ereditate. Ci nascono di burro, giusto Doc? Oh giusto?»
«Non mi toccare!»
Sparacicogne arretra «Sì, scusa. Va bene. Però tu l’hai visto che era un taglietto, zero sangue. E poi scusa un cazzo!» si rifà sotto «È colpa tua! L’avremmo salvato se non ti riempivi il naso di farina. Te ne sei stato bello bello nel tuo mondo e io dagli a chiamarti, ma niente. E tu saresti un medico? Giuramento d’ippocoso un cazzo!»
Per tutta risposta Doc apre la portiera della Subaru «Stai zitto e dammi una mano.»
«Ah okay!» Sparacicogne rifiata «Fanculo» si passa la lingua sulle labbra «oh sveglio Midori? La imbastiamo che lei l’ha scopato a morte.»
«Forse non hai capito» Doc afferra Sparacicogne per il colletto e se lo porta a un tanto così dalle labbra «Liam si è rotto il cazzo, si è fatto lasciare nel parcheggio del pronto soccorso e se n’è andato.» E senza liberarlo dalla presa aggiunge «Questo diremo. Questo sapranno Midori e gli altri.» Lo molla «Ripeti.»
«Liam, andato… Liam si è rotto il cazzo e se l’è squagliata. Ma sì! Anzi sai che ti dico? Sono contento che è schiattato. È colpa sua se dopo la storia dell’aborto di quella troia di Katiuscia mi hanno affibbiato ‘sto soprannome.»
Doc dedica un momento alla crudeltà del suo, di soprannome, dopo la quasi laurea in medicina sfumata: «Dava un nome ai fallimenti.» Poi, per cambiare argomento, getta un’occhiata a Midori, poggiata su un tappeto d’erba a quattro di spade, prima che il buio della notte ne reclami i contorni. «Credo si fosse preso una cotta per lei.»
Ora anche Sparacicogne la sta osservando «Te l’ha detto lui?»
«No.» Doc torna a fissarsi le mani tremanti che stringono le caviglie del corpo scomposto di Liam. «Però è l’unica che ha sempre chiamato col suo vero nome.»
Il cadavere di Liam emette un tonfo sordo sul terreno.
Doc detta istruzioni: «Prendilo da sotto le ascelle e dondolalo. Stai attento a dove metti i piedi, non sembra ma c’è una forte corrente. No, aspetta, rigiralo: deve stare a bocca in giù, così. Dai dondolalo, dondolalo. Al tre lo lanciamo.»
Lo lanciano all’uno.

Copertina originale di Lavinia Buffa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *