02 Marzo 1927
Tra poco spegneranno le luci. Di notte succedono le cose peggiori. Elsa lo sa. Anche di giorno. Ma, con la luce, a volte, si possono avere degli attimi di tregua. Quando cala l’oscurità, invece, nel silenzio spezzato da lamenti, piagnucolii, sospiri e grida, spesso violentemente sedate, nei casermoni pregni di odore macilento, corpi sudati e panni sozzi, l’orrore è certo.
“Loquace. Instabile. Incoerente. Stravagante. Capricciosa. Eccitata. Insolente. Indocile. Bugiarda. Impertinente. Cattiva. Prepotente. Ninfomane. Impulsiva. Nervosa. Erotica. Allucinata. Irrequieta. Ciarliera. Irriverente. Petulante. Maldicente. Irosa. Piacente. Smorfiosa. Irritabile. Clamorosa. Minacciosa. Rossa in viso. Esibizionista. Menzognera. Dedita all’ozio. Civettuola.”
Questi sono i sintomi per cui si può essere rinchiuse. Su richiesta di un familiare, preferibilmente maschio.
Elsa è Erotica. Ha tradito il marito. Tuttavia, lei conosce il motivo reale per cui è rinchiusa: essere donna. Semplicemente.
«Non potevi tenerti l’amante di nascosto, come fanno le altre?», le ha ringhiato la madre tra i denti, con il viso contratto dall’astio, mentre le tamponava le ferite. Elsa ha affrontato il marito, a viso aperto, per lasciarlo e reclamare la propria indipendenza, il diritto di essere padrona di se stessa e amare chi vuole. E quello, il marito, insieme al padre di Elsa, che con grande solerzia lo ha aiutato, a calci e pugni, l’ha rimessa al suo posto. Come se non bastasse, in tre anni di matrimonio, lei non è stata buona a dargli un figlio.
Da lì ad essere spedita dove si trova, il passo è stato breve.
Elsa riesce a mantenersi lucida. All’inizio ha provato a ribellarsi. Ma presto ha compreso che, a quel modo, poco lontano sarebbe andata. Ha veduto la fine toccata alle altre.
È notte. Le luci sono spente. Si avvicinano dei passi: è l’inserviente. Puzza di vino e sudore acido. Lei lo sente fermarsi a fianco alla brandina, tirare giù la coperta di lana, alzarle la camicia da notte fino sopra la pancia. Elsa chiude gli occhi. Prega perché la notte scorra in fretta. Non ha perso la voglia di lottare, ma non è quello il luogo in cui poterlo fare. Se sarà abbastanza brava, forse, la faranno uscire dal manicomio, e allora gliela farà vedere a tutti.
18 Febbraio 1975
[…]per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del Codice Penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta […]
Irene volge lo sguardo a Luigi. È meravigliato. La notizia è arrivata, ma ancora non sa bene come reagire. Ha gli occhi sgranati, e la bocca immobile in un Oh! muto. Si volta verso di lei. Che sorride, offrendogli la mano. Sorride anche Luigi, ora. Anzi, non riesce a trattenere un risata liberatoria. Ha realizzato. Afferra la mano di Irene, l’attira a sé abbracciandola. E veramente è incredibile ciò che sta accadendo. La sentenza è epocale. Un atto di civiltà niente affatto scontato. Irene, in cuor suo, benedice la Costituzione. Così bella. Libera. E, perché no?, femmina. Una pagina importante nella storia dei diritti delle donne è stata scritta. Il lavoro vero inizia adesso. Assemblee, comizi, conferenze. E, soprattutto, scendere in strada. Sarà dura, ma oggi Irene può sperare.
22 Maggio 1978
[…] Con centosessanta voti a favore e con centoquarantotto voti contrari, il Senato ha approvato in via definitiva la legge sull’aborto.
Hanno votato a favore Comunisti, Socialisti, Social Democratici, Repubblicani, Liberali e Indipendenti di Sinistra. Hanno votato contro i Democristiani, Democrazia Nazionale, MSI, Popolari Sud Tirolesi e Unione Valdostana […]
Hanno vinto. È ufficiale. La sede del partito, dove si sono riuniti per seguire gli aggiornamenti sul voto, esplode in un’acclamazione di vittoria che riecheggia all’esterno. Irene si getta tra le braccia di Andrea. L’alba di questo giorno ha valso la violenza, le intimidazioni, le umiliazioni e l’ostruzionismo che hanno dovuto subire. Oggi, in Italia, si è fatta la Storia. Irene sente che è veramente l’inizio di una nuova Epoca, un cammino di civiltà e civilizzazione, di progresso e libertà. Si abbracciano con passione, lei e Andrea, la gioia li travolge. Il coro parte spontaneo. Insieme si uniscono agli altri, un’unica voce:
Tremate, tremate, le streghe son tornate!
02 Marzo 2023
Il viaggio per giungere sino a lì è stato lungo, affaticante. Organizzato in pochi giorni, con la fretta e la paura di non rientrare nei tempi. Nicoletta non sa esattamente cosa provi; quando l’hanno trasportata nel corridoio, su quella barella, in attesa del suo turno, ha intravisto il lettino. Ha distolto lo sguardo con rabbia, l’inquietudine ha iniziato ad attanagliarla.
Fissa la luce sul soffitto e, con dolore, ripercorre gli eventi che l’hanno portata lì. Pensava che il peggio sarebbe stato decidere il che fare, una decisione immensa, presa per motivi che solo lei conosce intimamente e che non credeva avrebbe dovuto raccontare, veder vagliati, analizzati, giudicati, processati. Lei stessa si è sentita vagliata, analizzata, giudicata, processata. Prova una rabbia feroce. Lacrime nervose le colmano gli occhi. Li chiude in maniera repentina, serrandoli con violenza, quasi volesse cacciarseli dentro il cranio per farli sparire dalla faccia.
Per fortuna Marco.
Il suo unico amico.
È con lei, fuori dalla sala operatoria. La ha accompagnata in questa regione lontana ma che le ha permesso di esercitare ciò che la sua, di regione, le ha invece impedito. Un diritto garantito dalla legge, che però si è dovuta ri-guadagnare a suon di umiliazioni, boicottaggi, ostruzionismi, e, ovviamente, chilometri, percorsi e superati solo grazie all’aiuto dell’amico.
Un’infermiera nota che sta piangendo. È strano, lì è tutto un via vai, sembra una catena di montaggio più che una sala operatoria. Le accarezza la fronte, è gentile. «Tranquilla. È quasi il tuo turno, ora ti facciamo l’anestesia.»
Nicoletta ricorda le visite, i controlli. La decisione di abortire. Il tentativo di mettere in atto tale decisione, l’incontro con chi non la ascoltava, cercando invece di dissuaderla, o chi la biasimava, la accusava, sordi alla rabbia e al senso di repulsione che le suscitavano col tentativo di farle cambiare idea. Con le pressioni, le minacce insinuate. E, una volta realizzato che non avrebbe desistito dal proprio intendimento, con malcelata soddisfazione, l’avevano informata che, comunque, nella loro regione, gli anestesisti sono in maggioranza obiettori, così come i dottori, e le liste di attesa sono interminabili, perciò non avrebbe potuto abortire nei tempi previsti dalla legge. Nicoletta, esausta, era stata certa di non potercela fare. Aveva contato i giorni persi dietro a quelli che avevano giocato con lei, come la Morte e la Vita-In-Morte nel poema di Coleridge.
Disperata era corsa da Marco. Che l’aveva accolta ed ascoltata. E le aveva fatto una proposta per lei assurda: coinvolgere la propria nonna.
Marco è stato cresciuto dalla nonna, ma non è mai entrato nei dettagli sulla questione e lei non ha mai indagato. Che fossero molto uniti lo sapeva, ma anche tanto discreti e riservati relativamente alle faccende familiari, a maggior ragione l’offerta l’aveva sconcertata: «Cosa pensi possa fare, per me, tua nonna, Marco?»
«Ti può aiutare… Irene è una matta piena di risorse! Devi sapere che, nella mia famiglia, la matteria salta una generazione… la nonna di Irene, Elsa, è stata rinchiusa in manicomio… Irene, invece, negli anni settanta, stava in strada a manifestare… femministe, che brutta razza! Ora, dovrebbe toccare a me! Sono io la Matta Next Generation!»
Era riuscito a strapparle un sorriso, in pochi secondi l’aveva anche messa a parte di una storia che lei aveva ignorato per anni. Aveva accettato la mano tesa di Marco, e di Irene, le uniche che le erano state offerte. L’avevano realmente aiutata, senza domande. Senza giudizi, senza commenti tra i denti. Irene l’aveva messa in contatto con la Laiga, loro le avevano trovato un posto in un’altra regione per l’aborto e fissato l’appuntamento.
«È arrivato il tuo turno.» Annuncia l’infermiera che prima le ha accarezzato la fronte con un gesto di inaspettata umanità. La portano dentro la sala operatoria, accanto al lettino, le fanno l’anestesia.
«Vedrai, farà effetto subito. Non sentirai niente.»
Ancora lacrime a riempirle gli occhi, comincia a sentire la paura, ma l’anestesia inizia a fare effetto. Nicoletta ci si abbandona.
Finalmente, anche se solo per pochi minuti, potrà smettere di sentire. Soprattutto, potrà smettere di sentirsi in colpa per essere donna.
07 Marzo 2023
«Mamma, che vuol dire mest… mestuazioni?»
«Me… che?»
«Mestuazioni!»
«Dove hai sentito questa parola, Gian Piero?!»
«Da Debora, lo diceva al telefono con Chiara! Diceva che stava male perché oggi sono arrivate le mestuazioni.»
«Debora! Ma non hai un po’ di vergogna?! Come fai a parlare di certe cose davanti a un bambino!»
«Delle mestruazioni? Che non si sciupino le orecchie al figlio maschio con indegni discorsi da femmine!»
«Debora! Smettila subito! Lo dico a tuo padre quando torna, ci pensa lui a rimetterti a posto!»
Debora sale al piano di sopra come una furia, sbattendo tutte le porte e continuando a urlare contro la madre, che la insegue gridando di rimando. Gian Piero rimane solo in cucina, arriva Martina. Sono cinque fratelli, o, meglio, quattro sorelle e un fratello, lui è il più piccolo. Debora lo prende sempre in giro con una cantilena inventata da sé: «L’ultimo nato, l’unico amato. L’unico amato, l’ultimo nato.»
Ci litiga sempre per questa storia, con la mamma, che non vuole sentiglielo dire. Debora è la sorella grande, ha quasi sedici anni; poi ci sono le gemelle, Anna e Martina, tredici anni; l’ultima è Michela, undici anni, ma lei è come se non ci fosse; poi c’è lui, Gian Piero, seianniappenacompiuti. C’era un’altra sorellina, tra lui e Michela, ma Debora gli ha raccontato che è morta nella pancia della mamma e l’hanno dovuta tirare fuori come se fosse stata una bambina viva.
«Stai facendo i compiti?» chiede Martina.
È la più buona, lo aiuta sempre. Debora non vuole, neanche quando glielo ordina papà, così la mettono in castigo.
«Sì.»
«Che devi fare?»
«Questo.» Le mostra il quaderno.
«Una parte l’hai già fatta.»
«Con la maestra, quella nuova, per farci vedere come si faceva l’esercizio…»
«Quella nuova?»
«Sì, sì, la maestra Nicoletta non c’è, è malata, ma ritorna! Ora c’è quella nuova…»
«Okay, allora ti aiuto con la parte di esercizio rimasta, così fai prima e puoi giocare.»
Gian Piero ci sperava, sorride contento. Le grida da sopra continuano. Martina accende il televisore per coprirle, tanto sono abituati a fare i compiti anche così.
«Cominciamo…»
Martina inizia a leggere, ma Gian Piero la interrompe: «Martina, cosa sono le mestuazioni?»
Martina arrossisce. «Mestruazioni, si dice mestruazioni… dove l’hai sentita, questa parola?»
«Lo diceva Debora al telefono… l’ho chiesto alla mamma cosa voleva dire, ma ha cominciato a gridare a Debora…»
«Sono una roba da donne, una vera rottura, ma non riguarderanno te.»
«Perché?»
Martina è ancora più imbarazzata, vuole tagliare corto ma, quando Gian Piero parte con le domande, non la finisce più e lei non è Debora, non riesce a sottrarsi.
«Perché sei maschio e, quando diventerai grande, sarai un uomo, non una donna.»
«Un uomo come il babbo?»
«Sì.»
«E invece tu sei femmina e diventi una donna come la mamma?»
«Sì.»
A Gian Piero si illumina il volto, ora capisce quello che gli dice il babbo quando racconta che, da grande, gli lascerà l’anello d’oro.
Vedi, questo era l’anello di tuo nonno, si chiamava come te, Gian Piero Belli, ora lo porto io, Gian Paolo Belli… vedi le iniziali incise, GPB, sono le stesse, sia quelle del nome del nonno che del mio e del tuo… GPB, quando sarai grande lo porterai tu, continuerai la tradizione della nostra famiglia…
«Allora papà mi lascia l’anello perché sono un maschio come lui e sarò un uomo come lui! E a voi non ve lo lascia perché siete femmine!»
Martina questa volta non risponde. Il padre non smette di ripeterlo: «C’è voluto un po’, ma, alla fine, è venuto questo benedetto maschio! Ed è venuto pure bene!» e sorride compiaciuto.
Martina si alza: «Ti aiuto tra poco, ora devo fare una cosa.»
Sparisce veloce. Gian Piero ci rimane male, ma sa che, se dice che tornerà ad aiutarlo, lo farà; perciò abbandona il quaderno con i compiti, tanto li finirà dopo con la sorella, prende un foglio e si mette a disegnare, è contento di non essere nato femmina, così non diventerà una donna. Disegna se stesso, Gian Piero, il papà e il bel anello d’oro che da grande sarà suo. Le sorelle e la mamma dietro.
Foto di Francesca Riscaio