Il segno

Il segno

“Ti prego, ti prego, ti prego”.
Ne aveva abbastanza di ascoltare ancora quella lagna. Spostò lo sguardo su di lei, i lividi verdi che le aveva lasciato l’ultima volta sul braccio destro gli provocarono un moto di disgusto. Tommaso decise di guardarsi intorno per distrarsi, aveva voglia di tapparle la bocca. La carta da parati marrone del soggiorno era scollata, strappata, piena di polvere e lo faceva starnutire. Il divano era macchiato e la libreria cadeva a pezzi. Se avesse preso in mano uno dei tomi dagli scaffali sverniciati gli si sarebbe disintegrato tra le mani, tanto erano decomposti.
“Andiamocene, non mi piace qui, per favore”.
Chissà chi aveva portato lì i libri. La casa di campagna gli piaceva proprio, ma bisognava lavorarci parecchio. Amava il fatto che fosse isolata. Lontano da vicini impiccioni e rompicoglioni, si sentiva libero, chiuso nel casolare con le mura di mattoni. Giulia poteva continuare all’infinito ma sarebbero rimasti lì per tutto il fine settimana. Nonostante la stranezza trovata al loro risveglio. Soprattutto per la stranezza trovata al loro risveglio.
Si era scocciato delle sue lamentele. Accarezzò la cintura di pelle, facendo scorrere le dita sulle cuciture. Se la sarebbe sfilata, era sicuro. Prima voleva assaporare l’attesa, secondo per secondo.

“Restiamo fino a domenica sera”. Giulia sentì Tommaso scandire le parole per ribadire la sua decisione.
Lui nemmeno la guardava: lei aveva passato più di due ore in bagno per essere attraente e le lacrime in un attimo avevano rovinato tutto. Si malediceva, se fosse stata più bella sarebbe riuscita a convincerlo, ne era sicura. Sapeva che era meglio non fissarlo ma ogni tanto controllava: se fosse stata degna per un istante della sua attenzione avrebbe lasciato scivolare una bretella della canottiera bianca che indossava, denudando il seno. Però lui era più interessato alla casa. Con la mano destra si accarezzava la spalla per coprire la cosa che era apparsa. Trovò un coraggio inaspettato e riuscì a far uscire una sola parola dalle sue labbra.
“Perché?”

Tommaso rimase sorpreso, raramente Giulia si permetteva di mettere in dubbio una sua decisione. Tanta sfrontatezza lo irritò ancora di più. Lei stava rendendo tutto complicato con la sua stupida emotività. Era l’unico in grado di ragionare razionalmente, ma lei lo distraeva con le sue lamentele. Pretendeva silenzio.
“Ho deciso così”.
Sperò si azzittisse una volta per tutte. Si sarebbe guastato la serata se avesse dovuto sfilarsi la cinghia così presto.

Giulia non si arrese. Le restava un’ultima carta da giocare e doveva essere brava. Spostò appena il capo, facendo scivolare alcuni ciuffi di capelli davanti agli occhi. Lasciò scendere la mano dalla spalla al seno, in una posizione pudica, quasi a volerlo coprire. Avrebbe preferito evitare che il segno strano restasse scoperto, ma sembrava molto più indifesa così. Era brutta ed era colpa sua se non lo aveva convinto. Sospirò, emettendo un sussurro tremolante.
“Ho paura”.

Tommaso percorse con lo sguardo la linea del battiscopa, interrotta in più punti. Gli sarebbe costato un bel po’ rimettere a posto l’intera casa. Mosse gli occhi su di lei. Sembrava una bambina, così rannicchiata. Spaventata, col trucco sfatto e i capelli spettinati.
Gli stava diventando duro. Con un dito le accarezzò la pelle dove era comparso lo strano segno. “In questa stanza cresce meno” disse, parlando più a se stesso che a Giulia. Lei si limitò ad annuire. “Devi stare tranquilla, ci sono io qui a proteggerti – continuò, infilando la mano tra il cuscino del divano e la schiena di lei, fino ad arrivare al fianco – ti fidi di me?”

Giulia percepì il suo respiro diventare irregolare e cercò di bloccare il panico che sentiva crescere dentro di lei. Era diventata brava in questo genere di cose: il controllo doveva essere totale. Ma non quella domanda. Non ora. Alle quattro paroline magiche era concessa solo una risposta, bastava un’espressione di dissenso per indispettirlo. Avrebbe voluto urlare. Appena possibile si sarebbe nascosta in bagno per sfogarsi. Le era già capitato di prendere a pugni il muro per ritornare in sé. Il dolore la calmava e le ricordava ciò che l’aspettava se fosse crollata. La mano di lui la strinse più forte, era passato troppo tempo senza che lei rispondesse.
“Certo amore, come sempre”.

“Brava bambina” sorrise Tommaso.
Esaminò la linea misteriosa, apparsa la mattina sulla spalla di Giulia: era sempre lì, allungata di qualche centimetro. Sembrava uno di quei tatuaggi che non vogliono dire un cazzo, come il tribale del suo bicipite destro. Lei come al solito aveva drammatizzato, voleva correre al pronto soccorso ma le chiavi della macchina le aveva lui e non aveva nessuna intenzione di muoversi dalla casa di campagna. Se ne sbatteva delle sue proteste, lo irritava pensare che lo considerasse uno sprovveduto: aveva cercato sul cellulare se esistessero malattie con sintomi del genere e non ne aveva trovate. L’aveva obbligata a fare una passeggiata nei paraggi per darsi una calmata e la spalla di Giulia era rimasta identica, il segno non si era allungato. Aveva ricominciato a crescere al loro ritorno a casa e in camera da letto succedeva più rapidamente. Doveva ammettere che c’era qualcosa di eccitante in tutta quella storia. La linea appariva e cresceva indipendentemente dalla volontà di Giulia, lei poteva solo subire. Questo pensiero glielo fece diventare ancora più duro. Decise che era ora di tornare in camera da letto.

Giulia rinunciò all’idea di rifugiarsi in bagno. Doveva mantenere il controllo, malgrado tutto. Lui voleva andare di là, dove la cosa cresceva di più. Strinse le labbra per evitare che sul suo volto apparisse qualche smorfia. Si avvicinò a Tommaso e lo baciò, per rilassare un istante i muscoli del viso. Finalmente riuscì ad alzare lo sguardo e a studiare il suo volto. Aveva degli occhi scuri che le piacevano molto: non dimostravano la crudeltà di cui era capace. Anche durante le cose orribili che le faceva, la guardavano con dolcezza. Giulia agì d’istinto, infilando una mano tra le gambe di Tommaso. Quel gesto la fece sentire sicura e sensuale. Iniziò a sbottonargli i jeans: “Scopami qui, ora” gli sussurrò.

Tommaso sapeva che quando voleva lei ci sapeva fare. Glielo aveva preso in mano e lui per qualche istante non aveva più capito niente. Aveva anche pensato di fregarsene e continuare in soggiorno. Ma voleva guardare la sua espressione mentre se la scopava, consapevole del segno sulla spalla che cresceva. Questo pensiero gli diede la forza di allontanarsi. Se si fosse lamentata ancora, avrebbe usato la cintura. La prese in braccio, lei mugugnò senza opporre resistenza. I manubri con cui si allenava quotidianamente davano più soddisfazioni, era davvero un fuscello. Le sembrava completamente passiva, rassegnata. La voglia di lei aumentò ancora.

Ritornava in quella stanza schifosa., la peggiore della casa. I muri un tempo dovevano essere stati dipinti di una sfumatura di giallo o marrone, ma dopo tanti anni di abbandono erano di un colore indefinito, con crepe che nascevano in basso e si allargavano salendo. Il soffitto era pieno di macchie di umidità, un paio gocciavano in secchi quasi pieni. Il letto e l’armadio erano di legno scuro; piedi e ante traballanti rendevano pericolosi i due mobili. Odiava dormire lì, ma a volte Tommaso insisteva e voleva vederlo contento. Amava quando era contento. Purtroppo succedeva sempre più di rado. Ed era colpa sua. Senza guardarsi la spalla sentiva la linea tornare a crescere. Per un istante immaginò di dire tutto ciò che pensava al suo uomo: cosa provocava in lei quella casa orribile, i suoi mutevoli stati d’animo, anche il segno che le era apparso sul corpo. Lui l’avrebbe capita o ammazzata di botte, sarebbe stato uguale. Poi quel moto interiore si spense e rimase in silenzio. Qualcosa cambiava in lei, dentro e fuori. Non sarebbe mai tornata come prima. Si sorprese a pensare che questi mutamenti non erano poi così terribili. Non quanto la sua vita.

Tommaso iniziò a spogliarla, lei lo lasciò fare. Sembrava una bambina. Alzò le braccia quando le sfilò la canottiera, allungò le gambe per far scivolare via i pantaloncini e gli slip. Era stesa e nuda, a sua completa disposizione. Prima di togliersi i jeans indugiò un istante sulla cintura, quindi si stese sopra Giulia e non pensò più a niente.

Giulia voltò la testa verso destra, lui la penetrò direttamente. Quella sera era difficile persino fingere per farlo venire prima. Ormai Tommaso si disinteressava al suo piacere da più di un mese. Aveva cercato di capire più volte da quando la sua vita era diventata così schifosa, cosa si fosse guastato. Chiuse gli occhi per evitare di piangere, ormai era diventata brava. Le serviva la sua migliore uscita di sicurezza, così chiamava i ricordi che la portavano altrove quando il presente le provocava dolore.
Tredici anni, pattinaggio sul ghiaccio. Riesce ad andare così veloce che vede appena gli altri sulla pista. Nessuno la può toccare. Indossa una tuta nera con delle strisce gialle e arancioni sulla schiena. Claudia l’ha accompagnata ma è rimasta a sedere su una panchina, le passa vicino e le dà la sua approvazione alzando il pollice. Un bambino si aggrappa alla balaustra, incerto. Scarta a sinistra. Poi una coppia, si tengono per mano. Lui è goffo e rallenta anche lei. Piega le lame, allargando. Più avanti con una sciarpa bianca c’è Luca: è venuta perché sapeva di trovarlo. Ci vuole impegno per raggiungerlo ma
Spingilo via”. Un sussurro nella testa la riportò al presente. Dalle orecchie arrivavano i gemiti di Tommaso, quasi giunto alla fine. La voce nella testa no. Stava impazzendo. Riuscì a reprimere il bisogno di urlare pensando che dopo avrebbe fatto in tempo ad arrivare in cucina e tagliarsi i polsi. Mica male come via di fuga. Le sembrò rassicurante e forse, quella sensazione era ancora più spaventosa di tutto ciò che stava subendo. Sentì il bisogno di calore umano e strinse più forte il corpo che la sovrastava.

Tommaso gradì che Giulia continuasse ad abbracciarlo, era un piccolo capriccio che accettava volentieri.
“Ti è piaciuto più del solito stavolta, eh?” le mormorò. Si divincolò dalla presa di lei e controllò il segno. Era cresciuto fino al seno. La linea scendeva dalla spalla, curvando in direzioni inaspettate. Giulia sottovalutava quanto ci stesse guadagnando, così era ancora più arrapante. Tommaso le posò delicatamente una mano sulla fronte, facendola poi scivolare sul volto e chiudendole gli occhi. “Sembri esausta. Rimarrò qui accanto a te, rilassati”. Lei si raggomitolò sul lenzuolo, mantenendo sempre un contatto fisico con lui. Lui ascoltò il respiro rallentare, osservandola dormire. La trovava bellissima. Il segno dalla spalla, oltre a scendere, era iniziato a salire sul collo.

Giulia si svegliò, era stupita di quanto si fosse sentita stanca, ma le serviva crollare così. Era un altro modo per staccarsi dalla realtà. Si trovò addosso gli occhi di Tommaso che la studiavano. Aveva sognato qualcosa di angosciante, si era dimenticata cosa fosse ma ne era ancora turbata. Quello sguardo insistente la insospettì. Seguì la linea che aveva sul corpo, molto più lunga di prima. Dalla spalla scendeva sul seno, diventando più spessa e arrivando al fianco, quindi cambiava direzione e si fermava a metà coscia. Non avrebbe potuto più nasconderla né indossare una gonna corta. Era sempre più difficile controllare le emozioni. Qualcosa dentro di lei crollò.
“Cazzo, cazzo, cazzo! Ma la vuoi smettere di giocare col mio corpo?” Le parole scapparono dalla bocca prima che riuscisse a filtrarle.
“Guarda che sei bellissima anche così” rispose lui per rassicurarla ma era visibilmente infastidito. Lei lo fissò. Sentì una forza che non era la sua. Pensieri che non erano i suoi. Aprì la bocca e nemmeno la voce era sua, aveva un altro accento.
“Testa di cazzo, vogliamo andarcene da questa merda di casa?”. Assieme al fiato uscirono da lei tutte le sensazioni nuove e rimase sola. Lui allungò una mano per afferrare i pantaloni e sfilò la cintura. Sorrise. Un sorriso di quelli brutti, che la spaventavano.

Tommaso era soddisfatto, era l’ora di punirla. Spesso indugiava troppo e perdeva il momento giusto, guastandosi il divertimento. Non poteva permetterle di parlare così di lui e della sua casa. Era già di nuovo eccitatissimo.
Colpì quattro volte il braccio di lei con la cintura per farle superare l’attacco di panico. Le rifilò un paio di ceffoni perché ancora urlava. Se fosse rimasta su quel cazzo di letto non l’avrebbe tirata per i capelli per riportarcela e se non avesse provato ad allontanarlo con un calcio avrebbe evitato di piantargli un pugno sul naso rischiando di spezzarglielo. Finalmente si era azzittita. Se la sarebbe riscopata subito ma lei lo fissava con un fazzoletto poggiato sopra il labbro per fermare il sangue che colava. Lo voleva far sentire in colpa, la troia, sperava avesse imparato la lezione. Doveva comportarsi a modo.
“Resti finché mi va” ordinò. La sistemò nel solito modo e uscì dalla stanza. Si lasciò cadere sulla poltrona in soggiorno, poggiò la testa sullo schienale e si rilassò. Forse era più stanco di quanto pensasse e chiuse gli occhi un istante, per rilassarsi e riflettere sull’accaduto.

Giulia era concentrata sul suo respiro, costretta a letto. Avrebbe anche potuto piangere o lasciarsi andare, ma temeva di perdere definitivamente il controllo. Si era spaventata tanto quando Tommaso aveva tirato fuori le manette dalla valigia. Aveva promesso di averle gettate via, l’ultima volta era sembrato sconvolto anche lui. Lei non si stupì troppo del fatto che le avesse conservate. Era bloccata col polso sinistro allo schienale del letto, l’altra mano era libera, per asciugarsi il sangue con i fazzoletti lasciati da Tommaso. Se avesse sporcato il letto si sarebbe infuriato ancora di più. Cercò il suo riflesso nello specchio graffiato: il suo corpo era pieno di lividi. E il segno si era raddoppiato, triplicato. Buona parte del suo lato sinistro ne era coperta. Sembrava una di quelle tipe che si riempiono di tatuaggi, solo che lei non aveva scelto i disegni. Era bruttissima, ancora più del solito.
La finestra aperta affacciava sulla statale e di tanto in tanto scorreva qualche automobile diretta in città. Se qualche curioso si fosse fermato per pisciare l’avrebbe vista nuda e sanguinante. Avrebbe potuto toccarla, allungando la mano oltre il bordo. Non le importava. Stava impazzendo, nella testa rimbombavano parole di qualcun altro, come quelle che avevano fatto infuriare Tommaso. A volte erano incomprensibili, ma diventavano sempre più definite. Suoni strani, mai sentiti, le riempivano le orecchie.
“Se c’è qualcuno nella mia testa, gli lascio volentieri questo corpo di merda” gridò nella stanza vuota, per coprire la voce che continuava a parlare dentro di lei. O magari lo desiderava davvero, la sua resa definitiva a una vita che non era più capace di gestire.

Tommaso spalancò gli occhi. Il cuore gli batteva forte nel petto. La luce che veniva dall’esterno era cambiata, c’erano toni cupi e sfumature di rosa. Il tramonto. Quanto aveva dormito lasciando Giulia ammanettata sul letto? E se l’avesse chiamato? Bloccata com’era poteva aver pisciato sul pavimento o peggio ancora sul letto. Lo sperò, voleva ancora menare le mani. Anche dopo la punizione in camera. Era sempre così, più la colpiva maggiore era la voglia di continuare. E non l’aveva mai picchiata così forte. Maledetta stronza, poteva urlare più forte se aveva bisogno. La voce la trovava sempre quando voleva rompere i coglioni per chiedergli di andarsene. Gliela avrebbe fatta uscire tutta finché non ne avrebbe avuta più in gola. Puttana.

Giulia era in compagnia da parecchio tempo, ormai l’aveva capito. La stanza era vuota ma sentiva una presenza dentro. Un pensiero metallico, il solo modo in cui riusciva a definirlo. Capiva meglio ciò che veniva detto. Erano parole rassicuranti, affettuose, anche se pronunciate in maniera strana, con tutti gli accenti sbagliati.
Non preoccùparti. Andra tutto bene. So chi sei. Chi sei dàvvero. Le veniva da piangere, si vergognava. Le faceva schifo ciò che era diventata. Si sentiva violata, nessuno avrebbe dovuto conoscere i suoi pensieri più intimi. I segni che le coprivano buona parte del corpo e del viso iniziarono a muoversi, quasi fossero dita gentili che la carezzavano. Percepiva una sensazione di calore. Il braccio era indolenzito, erano ore che il polso era obbligato nella stessa posizione. Per quanto si muovesse, stava sempre scomoda. Poi avvertì una vertigine e qualcosa nella sua mente avanzò.

Tommaso aprì la porta e rimase senza fiato dallo sgomento. Il letto era vuoto. Il bracciale della manetta che aveva assicurato al polso della sua donna penzolava dalla spalliera.
“Sei tornato finalmente!” esclamò Giulia, appoggiata all’armadio. Non l’aveva nemmeno vista, con lo sguardo fisso sul letto. Aveva gli occhi spalancati e un sorriso troppo largo sulle labbra, lo spaventava. Il polso a cui era stata ammanettata era piegato innaturalmente, così come il pollice. Giulia scosse la testa.
“Tranquillo, niente dolore. Lei mi ha promesso che non ne sentirò mai più”.
“Ma che cazzo dici, ti sei rincoglionita del tutto?” le rispose, avanzando minaccioso, ma Giulia lo ignorò. Lo rese ancora più furioso.
“Ora dormi caro” riuscì ad ascoltare, poi qualcosa di molto veloce lo colpì diverse volte alla testa. Crollò a terra.

Giulia si sentiva forte. Aveva eseguito gli ordini che la voce nella testa gli impartiva. Si rilassò e si lasciò scorrere dietro. Non esistevano nomi per la sensazione che provava, riusciva a capire che l’altra era davanti. Vedeva con i suoi occhi, sentiva i rumori della strada con le sue orecchie, percepiva il vento tiepido che le carezzava la pelle. Ma era la creatura a decidere. Ci mise qualche minuto ad abituarsi, sembrava che fosse tutto nuovo: toccava oggetti, li leccava per capirne il sapore. I segni continuavano a cambiare forma, li sentiva fondersi con la sua carne. Si erano addirittura allungati fino a colpire forte Tommaso. Era svenuto, le dispiaceva vederlo così, anche se l’altra diceva nella sua testa che era sbagliato sentirsi in colpa per lui.
Come scosse elettriche arrivavano periodicamente nubi di informazioni. L’essere vivente che era entrato in lei era molto antico. Più della Terra stessa. Giulia era stordita, erano troppe e al tempo stesso magnifiche e devastanti le immagini che le trasmetteva la sua nuova immensa memoria. Panorami lontani anni luce, dove vulcani sputavano una materia che non era solida né liquida né gassosa. Creature a base di vapori velenosi si cibavano di colori e odori. Sfumature di luci e suoni che non avrebbe potuto nemmeno immaginare e che la commuovevano. Riviveva in un secondo la vita brevissima, meccanica e già programmata di un insetto e la solitudine millenaria di un planetoide composto di coscienza e neon. Riemerse dall’orgia di figure e sensazioni solo grazie ai movimenti sul suo corpo, che la riportarono al presente. Le carezze toccavano punti sempre più intimi e con maggiore decisione. Esplose dentro di lei un orgasmo, il più forte che avesse mai provato. Si lasciò andare.

Prima ancora di aprire gli occhi Tommaso capì che aveva le braccia e le gambe legate. Verificò l’intuizione, provando inutilmente a spostare una mano. Si decise a guardare e ci mise un istante a rendersi conto della situazione. Era immobilizzato con strisce di tessuto ottenute con i suoi vestiti. Giulia era sbagliata. Un ginocchio si piegava in avanti, la testa pendeva leggermente a destra. I segni sul suo corpo si muovevano, come serpenti che le strisciavano addosso.
“Ma che cazzo succede?” chiese gridando.
“Ah, scusa per prima – rispose Giulia ancora con quell’espressione strana e una voce troppo acuta – era necessario, lei diceva che le serviva tempo”.
“Ma che ti sei presa? Lo sai che mi fai incazzare quando…”
“No, caro, ora è tutto diverso. C’è lei. Mi ha lasciata tornare avanti perché vuole che lo faccia io. Prima ha combinato qualche casino” disse lei ridacchiando e indicando il ginocchio piegato al contrario.
“Basta con questi deliri, se mi liberi ora prometto che dimenticherò gli ultimi minuti. Altrimenti sarà peggio”.
“Lei è tanto curiosa lo sai? Ci guarda, ma è sola, infinitamente sola. Più di me. Per questo l’ho attirata capisci? Lei sono loro – Giulia indicò i segni sul suo corpo – e adesso lei sono anche io. A lei interessi tanto”.
“Vaffanculo, troia. Adesso basta o veramente non esci viva da…”
“ Lei vuole sapere perché sei così. Diverso dagli altri che ha visto. Secondo lei hai qualcosa dentro, lo vogliamo trovare”. Giulia si avvicinò di qualche passo.
“No, amore, davvero. Adesso smettila con questo gioco, dai lo sai che ti amo!” balbettò Tommaso.
“Io le ho spiegato che tu sei solo più fragile e sensibile degli altri, ma lei non ci crede. Mi ha chiesto di cercare. Mi dà l’onore di farlo con le mie mani. Mi spiace tanto amore, non ci possiamo fermare ora”.

Giulia gli toccò il ventre e Tommaso si rese conto dal calore in mezzo alle gambe di essersi pisciato sotto. La implorò ancora ma lei lo ignorò. Iniziò a premere sempre più forte. Non fu così fortunato da svenire subito. La cosa che era diventata Giulia spinse con le dita fino a creare uno squarcio nella pancia. Ci infilò dentro una mano, incurante delle sue urla. La ricerca era appena iniziata.

Illustrazione di Erika Romano

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