Sono arrivata in anticipo da David. Non ero mai stata a casa sua: è vecchia. È al primo piano, si entra da un portone in legno verniciato, scrostato e gonfio di umidità: una volta dentro, c’è una scalinata in travertino, reso opaco dal calpestìo; conduce a un pianerottolo su cui si aprono due porte. Lungo la scalinata d’ingresso, mentre salgo verso il pianerottolo dove David sorridente mi attende, noto assurdi quadri di creature inquietanti. Lui me li descrive, notando che hanno attratto la mia curiosità. Ma non lo seguo. David è strano. Un Nerd sfigato: i Nerd hanno delle qualità che li rendono vincenti nei loro campi di passione, lui no. David è uno di quelli che, all’epoca di mia madre, sarebbero stati definiti secchioni: quelli che ottengono qualche scolorito risultato, in generale e solo a costo di enormi sacrifici, rinunciando alla propria vita sociale, che comunque non avrebbero, visto che non piacciono a nessuno. Mi sono avvicinata a lui proprio perché tutti lo schifano. “Ti fa pena!”, commenterete maligni voi. In realtà, credo che chiunque abbia qualcosa che valga la pena conoscere. È la mia natura. Sono andata incontro a cocenti delusioni in questo modo, ma David è educato e innocuo. Alla lunga, però, questo rapporto scemerà: non ho trovato ancora qualcosa per cui abbia valso essere diventata sua amica, a parte il fatto che lui tenga in grande considerazione la nostra amicizia. Comunque, mi accorgo che non ci sono tracce dei suoi familiari. Un brivido mi corre lungo la schiena: “E se avesse approfittato della loro assenza per invitarmi e provarci con me?”. Lo studio attentamente. Ha lo sguardo vuoto che gli vedo sempre addosso, un sorriso debole e affaticato e un aspetto da bambino malato, privato troppo a lungo della luce del sole. Non riesco nemmeno a immaginare che possa avere degli istinti di quel genere. Anzi, mi viene da sorridere al solo pensiero. Dobbiamo fare una ricerca per un corso monografico: siamo al primo anno di Storia, ma lui, non contento, sta preparando anche gli esami di Scienze Naturali, pur non essendo iscritto.
Ve l’ho detto che è strano!
Mi mostra la casa. In un’ala si trovano, lungo un buio corridoio, una cucina, due camere e un bagno poco presentabile; nell’altra, c’è un bel salone luminoso, uno sgabuzzino, nascosto in fondo alla grande stanza, una cucina e un enorme bagno. Questa parte della casa è nuova e pare mai usata. Mi vuole fare vedere lo sgabuzzino a tutti i costi. Penso sia una cosa assurda, ma sembra tenerci, così lo seguo. Apre la porta a soffietto: è molto più grande di quello che sembra dall’esterno, sinteticamente illuminato da eccessive luci alogene, costituito da un disimpegno dove si trovano due porte in vetro opaco chiuse e una terza aperta; lì a terra c’è un’intera cucciolata di gattini bianchi con la loro mamma in una scatola, resa confortevole da dei bei cuscini. Ho un moto di tenerezza “Ecco!” mi dico “Finalmente conosco un suo aspetto a me affine!”. Mi fiondo dai mici e comincio a trastullarmi con loro. David mi spiega di averli trovati e, poi, mi racconta una storia assurda su due mostri: uno lo sta allevando nella stanzetta a fianco a quella dove stanno i gatti. È una creatura già formata; il secondo invece è ancora una larva, data da crescere con l’inganno a non so chi. Esperimento che tuttavia sta fallendo. Cita leggende, testi, ricerche fatte tramite documenti, tramandati dagli ordini dei frati e dei monaci. Io intercalo il mio solito non-ascoltarlo con vari “Mmmhhh”, “Davvero?”, “Ma dai?”: David ha sempre storie assurde da raccontare, cose improbabili che ritengo si inventi per attirare l’attenzione, come quando disse di aver trovato una mappa che indicava il posto esatto dove giacesse Atlantide, fu penoso vederlo tirare fuori un foglio disegnato a mano, probabilmente da lui stesso, gli procurò lo scherno di tutti i colleghi per settimane… Faccio sempre fatica a seguire le sue stranezze e, ora, sono troppo presa dai gatti, quindi le risposte in automatico, nei momenti di pausa del suo discorso, mi sembrano il compromesso migliore. Ma una cosa la sento: uno dei quadri dell’ingresso rappresenta la creatura. Se non lo conoscessi, penserei che è veramente fuori… Finita la spiegazione, torniamo nella parte vecchia della casa.
Vagamente registro che David chiude a chiave tutte le porte tra noi e il salone.
Il pomeriggio e la serata passano tranquilli. Finiamo la ricerca, poi, mi mostra foto, testi, copie di documenti a dir poco insoliti: conclude con una vecchia edizione della Bibbia, in più lingue a righe alterne, di cui mi parla quasi con passione. A quel punto, ho la palpebra semichiusa e, nel modo più educato possibile, mi congedo. Lui capisce, si scusa per l’eccessiva lunghezza del soliloquio-conferenza e mi augura buon riposo. Era già deciso che restassi da lui per la notte, perciò mi dirigo verso la camera mostrata nel pomeriggio e a me destinata.
Inopportuna fisiologia! Nel cuore della notte, la natura chiama e io, imbarazzata e cercando di fare meno rumore possibile, mi dirigo, grazie alla luce del mio cellulare, verso il bagno nell’ala nuova della casa. L’altro, per i miei gusti, non è proprio praticabile! Le chiavi sono nelle serrature, perciò non ho problemi ad accedervi. Mentre torno verso la camera, sono attirata da degli strani versi, provenienti dal salone.
Ecco, queste sono le cose idiote che, quando vedi fare nei film, ti fanno scagliare contro i protagonisti, insultandoli con ferocia.
Tant’è che apro ed entro: il trambusto viene dallo sgabuzzino ora buio, mischiato al pianto disperato dei gatti. Mi agito, mi affretto, punto la luce e mi dirigo senza esitazione lì. Ma la porta si apre e quello esce.
La creatura formata. La Bestia.
Rimango paralizzata, con la torcia del mio smartphone puntata sullo schifoso. Ho appena il tempo di intravederlo. La luce lo disturba. Si ritira nel ripostiglio. L’attimo è infinito. L’attimo che mi ci vuole per realizzare e iniziare a muovermi a ritroso, tenendo sempre puntata dinanzi a me la luce. Di quella cosa ho notato solo un paio di dettagli: ansima un fiato fetido e puzzolente di zolfo, è enorme e dalle fauci, incastrati in una dentatura irregolare e seghettata, gli pendono brandelli di qualcosa di bianco e rossastro, imbrattati con un liquido vischioso che cola giù in grosse gocce. Non voglio conoscere altro. Chiudo a chiave la porta del salone. Sempre a ritroso, giungo al pianerottolo e, mentre chiudo anche quella di porta, una voce alle spalle mi prende alla sprovvista: «Vi siete conosciuti, allora!»
Ho un sussulto, quasi lascio cadere il cellulare, mi volto spaventata e, più pallido della morte, David mi sorride, un ghigno orribile.
«Volevo prepararti, prima…» continua. «Sai non era previsto che fosse questa notte. Lui me lo ha chiesto. Ho provato a spiegarti, ma noi abbiamo degli evidenti problemi di comunicazione… Non so come farmi capire: non mi ascolti mai».
Non è me che guarda mentre parla. I suoi occhi, sempre spenti, si illuminano di una sinistra luce e puntano oltre la mia spalla. Sento dei rumori dietro di me e capisco. Sta arrivando. Nonostante le porte chiuse a chiave, la Bestia sta arrivando. Ho i nervi al limite e le percezioni acutizzate al massimo. Mi guardo velocemente intorno. Sulla parete di fondo del pianerottolo, a una lunghezza di braccio da me, c’è un mobiletto dove sta appoggiato un vassoio. Ho poco tempo. Devo essere veloce e non sbagliare.
«I gatti, i cani, i topi non sono adatti. Lui vuole te per crescere, per nascere definitivamente, per prendere…»
Bla, bla, bla. Le parole si confondono nella mia testa. Seguo solo l’intensità della folle luce nei suoi occhi che cresce. Eccolo, infine, il click della porta che si apre dietro di me. Il volto di David si illumina definitivamente. Sorride alla bestia. Afferro il vassoio, roteo su me stessa, con tutta la forza che ho in corpo, colpendo prima David e poi il mostro . Gli punto la luce addosso e cerco di scendere quanto più rapidamente possibile, tenendo sempre la torcia su di lui. Rotolo gli ultimi scalini. Mi rialzo nel panico totale. Armeggio nel tentativo disperato di aprire il portone, ce la faccio, forsennata corro via, raggiungo la macchina.
L’ultima cosa che sento è David che mi grida dietro: «Non serve fuggire. Ti ha scelta, ti troverà! Servi a questo, sei femmina, sei dannata per natura, sei mezzo per la Bestia! Tutti gli dei degli uomini dicono la stessa cosa!»
“All’inferno te, la tua Bestia e pure i tuoi dei!”, penso, mentre metto in moto e parto a tutta velocità, con il corpo che trema ancora per il terrore. Scoppio a ridere ai miei stessi pensieri, mentre guido verso non so dove come una pazza. Poi, mi metto a piangere e capisco che non so proprio cosa fare. Sono disperata e terrorizzata. Non riesco a immaginare alcuna soluzione. Le lacrime mi offuscano la vista. Quasi sbando. Riprendo il controllo e continuo la fuga.
Da quel giorno, non so quanti altri ne siano passati. Scappo ancora. Inseguo la luce. E faccio ricerche. Mi sono sforzata di ricordare tutti i discorsi che David mi fece, nelle ore prima che la follia esplodesse, e di recuperare tutte le informazioni che mi diede. Piano, piano sto riuscendo a dare un senso alla vicenda, a ricostruirla. Ho cercato in biblioteche, monasteri, conventi, ho viaggiato in posti dove nemmeno credevo esistessero libri. Ho studiato gli affreschi di alcune chiese particolari, ho ricercato fatti di cronaca e testimonianze scritte.
Non sono mai più tornata indietro.
La notte della fuga, rubai tutto quello che potei da casa dei miei, lasciandogli un biglietto atroce: volevo essere certa che non mi cercassero. Dubito abbia funzionato e non so cosa sia stato di loro. Non ho più incontrato la Bestia in modo ravvicinato. Ma, dovunque io arrivi, trovo i segni di ciò che accade al buio. Ho comprato un furgone, nel quale vivo e dove ho installato un sistema di illuminazione: sembra una centrale elettrica. Al fondo, ho ricavato un piccolo vano dove tengo degli animali vivi. Un paio di gatti, un cane randagio, qualche altra bestiola. Mi è capitato, a volte, di dovermene lasciare qualcuno dietro, quando sono troppo lenta a raggiungere la luce: allora serve un diversivo, un riscatto per la mia salvezza. Non ne vado fiera. Amo quegli animali. Ora, però, non gli do più un nome… Mi sono lasciata dietro molto di peggio, se proprio lo volete sapere.
Fuggo dalla Bestia.
Ma, in fondo, mi chiedo se mi stia veramente salvando. Cosa rimane di me? Non sono anch’io diventata una belva, capace di qualsiasi cosa per sopravvivere?
Mi dico che lo faccio per trovare il modo di eliminare il mostro. So che c’è. Ma mi manca la chiave. Qualcosa continua a sfuggirmi.
Al diavolo!
Proprio ora mi salta il generatore? Ora che scende la notte? Mi sono persa nelle mie riflessioni… Il buio mi sta raggiungendo e valuto che non ho abbastanza tempo per spostarmi sul retro, capire che succede e risolvere il problema. Ho un piano B, ovviamente. Davanti a me, sul cruscotto, un pulsante attiva un sistema secondario di luci. Allungo la mano. Sbircio lo specchietto retrovisore e la vedo.
La Bestia dietro di me.
Per un attimo penso che sia nel furgone. Ma il mio retrovisore punta a un secondo specchio. Ciò che sto guardando è la mia nuca: sta orrendamente mutando, prendendo la forma del muso della Bestia. Non la vedo solamente, la sento. Sento il calore alla testa, i rumori sinistri delle ossa che scricchiolano, si rompono, cambiano. Mi tocco, percepisco il sangue tra i capelli. Le mostruose sembianze di quella cosa affiorano da me, come schiuma putrida dalla superficie del mare, rompendo gli argini della mia fisicità, violentandone le forme. Sento la puzza di zolfo addosso, intorno, dentro di me. Ma non provo dolore. Solo ondate di caldo violento che si irradiano in tutto il corpo. Un senso di schifo e di orrore indicibile.
Sono ancora lucida.
Allungo la mano, pigio l’interruttore, regolo le luci al minimo.
Il muso del mostro rimane così, delineato in parte, sporgente dal retro del mio cranio, una protuberanza sanguinolenta e immonda che ghigna guardandomi allo specchio dietro di me.
Vorrei impazzire. Vorrei morire.
Capisco.
La chiave che cerco sono io.
I gatti, i cani, i topi non sono adatti. Lui vuole te per crescere, per nascere definitivamente, per prendere…
…forma.
Chiara appare la parola allora non compresa.
Che sempre mi sono portata dentro, come la Bestia.
Svelando adesso il senso di tutto.
Ricordo anche che David mi gridava mentre scappavo: «…Servi a questo, sei femmina, sei dannata per natura, sei mezzo per la Bestia!»
Il Nerd sfigato non sbagliava. Non è servito fuggire.
Questa notte, dirò addio ai miei animali e comincerò il viaggio a ritroso. Ho intenzione di andare a cena da David, una delle prossime sere. Da lui e da tutti quelli che mi hanno voluto dannata in virtù della mia natura.
Alla fine dei nostri incontri, non avranno mutato opinione sulle femmine, ma, certo, di questa opinione non se ne faranno più niente.
Hai avuto ragione sulla fuga, David, non sul mio scopo: non sono io il mezzo della Bestia ed è grazie a te se l’ho capito. La Bestia è il mio mezzo e io sono Vendetta.
Copertina Doctor Tale & Mister Shot
Un pensiero su “Il ritorno della Bestia”