Assediati dalla notte

Assediati dalla notte

“Mettilo sotto!” gridò mio fratello.
“Dopo devo lavare la macchina…”
“Chissenefrega! Sterza! Mettilo sotto!”
Lo zombie camminava sul ciglio della strada con lentezza esasperante, come se stesse pensando a mettere un piede davanti all’altro. Le braccia penzolavano ai fianchi. Si fermò il tempo di girare la testa, roteando gli occhi ciechi, prima di ricevere il colpo che lo scagliò a qualche metro di distanza. Cadde come una bambola rotta.
“Passagli sopra.” Oltre a pulire il paraurti, avrei anche dovuto lavare le ruote.
La jeep traballò scavalcando il corpo. Frenai e guardammo indietro. Lo zombie alzò la testa.
“Dovevi schiacciargliela, coglione.” Mi faceva incazzare quando mi trattava da idiota, ancora di più se sapevo che aveva ragione. Feci una brusca retromarcia. Ripartendo, vidi nello specchietto la testa ridotta a una poltiglia sanguinolenta.
“Grande!” urlò mio fratello, mollandomi il solito pugno sulla spalla.
“Mi hai fatto male, cazzo.”
Prese a lisciarmi i capelli come fosse il pelo di un gatto. “Vuole le carezze della mamma, lui…”
“Vaffanculo.”
Mancavano ancora cinquanta chilometri al prossimo rifugio quando vedemmo la zombie, i lunghi capelli color miele solo un po’ arruffati. Questa non la metto sotto, pensai. Mio fratello mi disse di fermarmi.
“Non hai visto che culo?”
Superai la zombie e parcheggiai la jeep di traverso. Scesi controvoglia, afferrando il fucile che era sul sedile posteriore.
“Lascialo in macchina. Prendi due pezzi di corda, invece.”
Sbuffando, li recuperai dal bagagliaio, districandoli dalla confusione di attrezzi.
“Vieni qua, puttanella, senti che profumo” stava dicendo mio fratello, girando attorno alla zombie che fiutava l’aria per inseguire il nostro odore. Ci puntava come fossimo due hamburger di carne cruda, indecisa su quale assaggiare per primo. Non doveva essersi trasformata da molto perché il viso era ancora un bell’ovale, leggermente pallido, a differenza degli zombie più vecchi, con la pelle grigiastra così sottile da sembrare una pellicola tesa sulle ossa. Chissà se avrei trovato il coraggio di chiederle di uscire quand’era viva. Mio fratello faceva cadere tutte le ragazze ai suoi piedi, invece io ero sfigato: troppo timido e brutto. La zombie apriva la bocca per mordere, sentivo i denti sbattere come due bacchette di legno. Aveva gli occhi coperti da una patina biancastra, e labbra e unghie incrostate di sangue essiccato, che le era colato anche sulla camicetta.
Mio fratello mi fece segno di legarle le mani davanti, mentre lui, da dietro, le avrebbe passato la corda tra i denti, impedendole di mordere. Non volevamo certo essere infettati dal suo sangue putrido. Come al solito, aveva lasciato a me il compito più rognoso. Solo quando le mise la museruola, facendole girare più volte la fune in bocca, attorno alla testa, riuscii a legarle i polsi. La zombie masticava ostinata la corda, dimenando le mani per graffiare.
“Ora comincia il divertimento…” disse mio fratello, sbattendola sul cruscotto a pancia in giù. Bang. Tenendole una mano aperta sulla schiena, con l’altra le calò i jeans alle ginocchia. La zombie cercava di alzare la testa, che le ricadeva sulla lamiera. Bang. Mio fratello si aprì la cerniera dei pantaloni. “Impara, che dopo tocca a te.” Mi fece l’occhiolino, infilandosi il preservativo.
Guardai dall’altra parte. In mezzo ai campi invasi dalle erbacce affioravano le rovine annerite dal fumo di una casa colonica. I resti del vigneto, marciti i pali di sostegno, erano sparsi sul terreno.
“Cazzo! È ancora bello stretto qua dentro.” Sentivo mio fratello ansimare e, a intervalli regolari, i tonfi sul cofano. Bang.
Mi ritrovai a fantasticare sull’incendio della casa. Bang. Una famiglia cenava accanto al focolare, nella grande cucina al pianterreno. Bang. Delle scintille schizzavano dal fuoco, le tende iniziavano a bruciare. Mentre i genitori cercavano di spegnere l’incendio, i figli erano già in salvo in cortile. Bang. Assediati dalla notte, i bambini guardavano la casa in fiamme, aspettando invano che mamma e papà uscissero. Bang.
Mio fratello smise di sbuffare, lanciando un grugnito che sembrava l’urlo di un maiale scannato. Bang.
Detti un calcio a un sasso sul ciglio della strada che finì nel campo.
“Non essere timido, te l’ho allargato per bene.” Mi girai. Sorridendo, mio fratello si stava togliendo il preservativo sporco, quando aggrottò la fronte e strizzò gli occhi come per vederci meglio. “Cosa ti sei fatto sul…”
Seguendo il suo sguardo, notai sul braccio una sottilissima striscia di sangue, appena visibile, che correva dal polso al gomito. Non me n’ero accorto perché era superficiale, come fosse una riga tirata con un pennarello.
Vidi mio fratello lanciarsi verso la portiera della jeep, con i pantaloni ancora a mezza coscia. Balzai come una molla, riuscendo ad agguantare il fucile, che gli puntai in mezzo al petto.
“È solo un graffio” mormorai.
“Certo.” Sorrise tirandosi su la lampo dei jeans. “Siamo vicini al rifugio. Non c’è da preoccuparsi.” La zombie era scivolata per terra e arrancava cercando di raggiungere mio fratello, i pantaloni calati le lasciavano scoperto il culo pallido, sporco di sangue scuro e merda. “Adesso, per favore, puoi mettere giù il fucile?”
“Lo sai che non è vero.”
“Sistemeremo tutto. Il fucile…” Fece un passo avanti, strisciando i piedi dall’asfalto.
“Non è vero!” urlai con voce strozzata.
“Cosa vuoi che ti dica? Che diventerai come questa qui?” Con la punta dello stivale indicò la zombie.
“È tutta colpa tua! Sei… sei… e io coglione a starti ad ascoltare…”
Scosse la testa e si drizzò, sembrando più alto. “È successo, che ci vuoi fare. Senti… metti giù quel cazzo di fucile e parliamo.”
“No!” Strinsi la canna chiudendo il pugno come se mi preparassi per una scazzottata. “Non muoverti! So che vuoi fregarmi.”
“Che cazzo dici? Sono tuo fratello.” Si era avvicinato, mentre io ero indietreggiato. Finiva sempre per convincermi che avevo torto, ma questa volta era diverso. Mirai dritto in faccia.
“Un altro passo e ti sparo.”
“Calma, calma…” Alzò le mani in segno di resa.
Mi aggrappai al fucile quasi fosse un salvagente. Un grumo di paura si arrampicava dallo stomaco serrandomi la gola. Sentivo le lacrime che premevano dentro gli occhi, avrei voluto piangere e urlare. Non era giusto! Ero troppo giovane per diventare uno zombie, cieco, senz’anima, solo con l’istinto di rimpinzarsi di carne umana. Per quella bravata, mio fratello non si era fatto nulla, mentre io…
“Fermooo!” Si era avvicinato ancora.
“Vuoi la verità, coglione?” Mi guardò con cattiveria. “Sei già carne marcia.” Con un calcio allontanò la zombie che premeva i denti sui suoi stivali cercando inutilmente di morderlo.
“E vorresti uccidermi come hai fatto con mamma e papà?” Si congelò. La faccia sembrò afflosciarsi come plastica al calore del fuoco, e lo sguardo si fece distante.
Quella sera, mamma e papà erano tornati esausti dall’ospedale dove lavoravano, per gettarsi subito a letto. Io e mio fratello, asserragliati in casa per paura del contagio, avevamo litigato sul film da vedere. Le urla dalla camera matrimoniale ci svegliarono a notte fonda. Il papà, o quello che era diventato, stava sbranando la gola squarciata della mamma, ingozzandosi di sangue. Mi sarei lanciato su di lui se mio fratello non mi avesse scagliato da parte. Corse a prendere un martello per tempestare di colpi il cranio di papà, frantumandolo come una noce. Mentre singhiozzavo accoccolato sul tappeto, con lo stesso accanimento, spappolò la testa della mamma quando cercò di alzarsi. Dopo una ripulita, mi prese per mano e scappammo nell’oscurità. Ricordo che mi girai a guardare il nostro appartamento per l’ultima volta. La finestra della cucina era illuminata. Gli chiesi se dovevamo tornare a spegnere la luce, mi rispose che non serviva.
“Ammazzati!” urlò. “Sparati, zombie di merda!” Non doveva finire così. Gli occhi di mio fratello sembravano esplodere in fiammate di rabbia e odio. “Ammazzati, cazzo! Sparatiii!” Sotto quelle martellate, mi sgonfiai come un palloncino bucato.
Scattò.
Mi buttai di lato premendo il grilletto una, due, tre volte. Entrambi crollammo a terra. La sua maglietta era inzuppata di sangue. Mi precipitai verso di lui. Apriva la bocca come un pesce sulla spiaggia, guardandomi incredulo e muovendo a scatti braccia e gambe. Dovevo essere pazzo. Io ero lo sfigato, lui era furbo, tosto, coraggioso, quello che avrebbe dovuto sopravvivere. Fin da bambini stavamo sempre insieme, lo seguivo dappertutto. Aveva ucciso, anche solo a bastonate, un sacco di zombie. Dall’inizio dell’epidemia, mi aveva sempre protetto, trovando cibo, armi, rifugi per tutti e due. Avevo ucciso mio fratello, ero rimasto solo e sarei diventato uno zombie.
Mi sembrò volesse dire qualcosa. Accostai l’orecchio alla sua bocca.
“Vaff… vaffanc… co… glio…” Tossì. Uno sbocco di sangue gli impedì di terminare.
La zombie stava strisciando verso mio fratello. Non le interessavo più, non ero più carne da mettere sotto i denti. Quando le tirai su i jeans, mi lasciò fare. Le accarezzai i capelli che dovevano essere stati morbidi e lisci. Girò la testa implorandomi con gli occhi morti. Sciolsi il bavaglio di corda. Cominciò a muovere la mascella facendo ticchettare gli incisivi. Le liberai i polsi, anneriti dal sangue ristagnato. Si aggrappò all’asfalto con le unghie per trascinarsi verso mio fratello che, essendosi accorto di quello che facevo, si stava dimenando. Gli salì sopra mentre lui, scalciando, cercava di allontanarla. Ma era troppo debole, non riusciva neppure a urlare, dalla gola gli uscivano solo dei gorgoglii rauchi.
Partii senza sapere dove andare. La zombie stava divorando la faccia di mio fratello.

Copertina di Jen Theodore in Unsplash

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