Su se stesso ritorto
sulla pancia strisciante
arriva il Serpente.
Ininterrottamente recito dentro la testa, come una litania, alcuni versi della tradizionale ballata di Ïakart Vuatusha, il Serpente Vetusto, il Drago Senza Ali.
Le buche profonde sono state scavate, sapientemente collegate tra loro, celate alla vista.
Attendo il fato. Ucciderò l’ultimo Dèmone dei Tempi Andati, m’impossesserò del suo immenso tesoro e libererò Gurield, la valchiria tenuta prigioniera, la cui anima è condannata a bruciare in eterno per aver osato sfidare l’antico mostro.
La lama Gmìrid balugina feroce nell’oscurità, pare ruggisca, è affilata, pronta a colpire. Avrò fama, ricchezza e il cuore dell’ardita guerriera che a chi l’avrebbe liberata si promise, come voto solenne laddove la sua impresa fosse fallita.
Assurgerò al posto che mi spetta – io, Hingrfield – al fianco degli Dei e degli eroi appartenuti alla mia stirpe. La gloria di cui mi rivestirò imperitura riecheggerà. Questo è il destino a cui mi sono preparato per interminabili lustri. Ma persino dolce mi appare oggi la trascorsa attesa.
In lontananza, infine, si ode qualcosa.
È Ïakart. Giunge.
Enorme, alla stregua di Mhozes, la più alta vetta degli Hendàs, si muove lento Ïakart. Trascina non solo l’immensa mole, ma anche quella delle lunghe ere vissute. Antico più dello stesso Zìnas, mondo nato, secondo la leggenda, proprio sulle spire del Serpente dormiente. Lontana è quell’epoca e quasi persa è la memoria. Ora e da molto ormai, Ïakart esce dal rifugio una volta ogni centosettantaquattro anni, per il tempo in cui la cometa Naghusa incontra il pianeta che gli è divenuto dimora.
Il suo nascondiglio si trova alle pendici dei monti Hendàs, dentro la terra, nel profondo, quasi al centro di Zìnas. Vi si accede attraverso la gola di Indom, il Vulcano Sopito: lì, tra oceani tempestosi di lava incandescente, come un grembo protetto dal fuoco e dal calore letale, sta la tana di Ïakart. Lì è nascosto il suo incommensurabile tesoro e giace incatenata, all’incantato minerale delle pareti del ricovero del Vetusto Serpente, Gurield, la valchiria. Soffre perennemente, l’anima condannata ad ardere, il dolore delle carni che mai si placa.
Nelle notti della cometa, le notti delle due lune, Ïakart esce per mangiare, ingurgita interi villaggi, il suo ventre si enfia a dismisura.
Nei centosettantaquattro anni a venire, andrà in letargo, digerendo ciò che ha ingoiato.
Durante questo periodo di caccia, pulsano e si tendono le carni, si rompe la pelle, una nuova è già pronta, e aumenta la massa. Cresce Ïakart, di cometa in cometa, fino a quando, a un ennesimo ritorno, sarà tale da poter divorare Zìnas stesso e, allora, cadrà in un sonno senza coscienza e un nuovo ciclo inizierà – così si dice e perciò va riportato.
Con la vecchia pelle, scivolano via i resti, le armi, degli incauti – pochi, per la verità – che cercano di coglierlo inerme nella profondità del rifugio.
Nell’ultima notte di Naghusa, Ïakart torna al nascondiglio, si lamenta la terra, scossa al passaggio di una siffatta immensità, tutto schianta lo strisciare del Serpente, s’intravedono i luccichii delle nuove squame, verdi di smeraldo, marroni di castagno, gialle di veleno.
È giunto alle pendici di Indom. Dalla poderosa altezza, nella sua enormità, non nota il percorso di terra smossa che lo separa dalla crepa al fianco del Vulcano Sopito, da cui è solito discendere alla tana.
Il primo fendente lo coglie di sorpresa. Giù, dal basso della pancia, sente un lieve dolore, inizialmente poco più di un pizzico. Ma, poi, uno nuovo se ne aggiunge e un altro ancora e la costellazione di punture diviene una ragnatela pulsante di immensa sofferenza. Realizza. La lama che gli lacera la carne non è un’arma comune, è avvelenata del suo veleno e con quello lo sta uccidendo. Muore Ïakart ucciso da Ïakart stesso.
Chi ha potuto tanto?
Questo l’ultimo pensiero del Serpente.
Si contorce impazzito, scuotendo Zìnas, preda dell’atroce dolore al ventre dilaniato, da cui iniziano a fuoriuscire i resti della vita di cui si è nutrito in quelle che, ora, sa essere state le sue ultime notti.
Meravigliosa Gmìrid. La mia famiglia si è quasi completamente estinta per recuperare il dente che Ïakart perse, mordendo il possente collo dell’ultimo dei Giganti. Questi, enormi e semi-divini, all’inizio del tempo, dominavano incontrastati su Zìnas. Gli uomini proposero un accordo al Dèmone Serpente e, poiché esso non aveva in simpatia la stirpe dei Giganti, decise di accettare il patto. Ïakart aiutato dagli uomini distrusse i Giganti, ma perse appunto uno dei suoi denti. Secoli sono occorsi perché fosse ritrovato e molto altro tempo per forgiare da esso, per asportazione, Gmìrid. Un gran numero di vite ed enormi poteri sono stati spesi, infine, perché gli effetti del veleno fossero contenuti e per foggiare i guanti magici che mi permettono di maneggiare Gmìrid. Ora, affilata e letale, è nelle mie mani, la portentosa lama arriva quasi al mio petto e, solo perché io stesso derivo dai Giganti, possiedo la forza tale per poterla brandire. Corro veloce da una buca all’altra attraverso le gallerie. Vedo il ventre del Serpente sopra di me: dove colpisco, inizia a squarciarsi, ferite che si aprono come bocche fameliche il cui contenuto invece di essere ingurgitato viene da esse sputato fuori, in una profusione di fluidi organici, corpi in decomposizione, miasmi insopportabili. Devo sbrigarmi a risalire con la lama il corpo di Ïakart e trovarne il cuore. Solo quando avrò mangiato il cuore del Serpente potrò considerare conclusa la missione. Sto arrivando Gurield, a me il tuo amore e la discendenza che il tuo grembo mi garantirà, a me il tesoro, a me il potere e la gloria.
Ïakart è caduto! Dalla mia postazione, sulla Rupe di Terd, nel fianco ovest di Indom, non molto lontano dal luogo dello scontro, sono stato testimone della furiosa danza fatale di spire del Vetusto Serpente. La terra trema ancora impazzita. La figura immensa di Ïakart si è innalzata fino al cielo nell’estremo attimo. Poi, con uno schianto inaudito, è ricaduta inerme al suolo. Tutti gli uccelli notturni della Vallata di Ogh si sono levati all’unisono in un volo di cordoglio, oscurando stelle, luna e cometa.
Ora, tutto tace, immobile resta sul campo di battaglia il corpo esanime del Grande Rettile, solo lo sgorgare delle interiora e del sangue, attraverso le buche, si ode. Tornano la luna e Naghusa a rischiarare la notte.
Di Hingrfield nemmeno un segno.
Come se risorgessi da un sepolcro, mi faccio strada grazie a Gmìrid attraverso le carni grondanti di Ïakart, e raggiungo una piccola radura sgombra dai resti della battaglia. Siamo lordi, io e la lama, di sangue e di morte, ma prorompe in me la sensazione d’essere vivo, concedendomi un momento di euforico gaudio. Vedo, alla luce della luna, Gotwin, mio fratello, l’ultimo membro della famiglia rimasto a parte me; corre eccitato, quasi rotola l’ultima parte di percorso, tanta è la smania di raggiungermi. Sorride di un sorriso giovane, quasi bambinesco, allarga le braccia e si getta tra le mie. Lascio cadere Gmìrid e, nonostante io sia uomo fatto e non condivida simili entusiasmi, decido di ricambiare l’abbraccio. Oggi è un grande giorno. Avrò tempo di istruire alla disciplina e al contegno Gotwin. È ancora solo un ragazzo. Del resto, senza il suo aiuto non ce l’avrei mai fatta a compiere l’impresa. Il mio caro fratello minore. Colui il quale ha perseguito il mio fato come fosse il proprio, mi ha sorretto con tenacia e determinazione. Mi abbraccia con ardore. È un attimo perfetto.
Poi, la stretta si serra maggiormente, infine sento il dolore lancinante. Qualcosa che mi penetra la carne. Il dolore si propaga, come le onde in uno stagno, dalla schiena a tutto il corpo. Mi stacco dall’abbraccio. L’infantile sorriso di Gotwin si è trasformato in un ghigno orrendo.
«Fratello, perché?» mormoro incredulo.
La crudele smorfia si deforma e muta il volto del mio consanguineo in una maschera irriconoscibile.
Cerco di estrarre l’oggetto, causa della letale sofferenza. Non riesco, ma ancora tento, sconvolto indietreggio, in preda agli spasimi. Scivolo dentro a una delle buche, mischiandomi con i nauseabondi e viscidi resti di Ïakart. Riderei, se il dolore non fosse così acuto. Infine, mi abbandono, chiudo gli occhi. L’ultimo pensiero alla speranza di una rapida morte.
Mio stupido, insopportabile fratello, Hingrfield, non puoi immaginare cosa io abbia dovuto fare per ottenere il frammento di dente di Ïakart con cui ti ho colpito, strappandolo alla lama che ti è stata consegnata, né il prezzo pagato e nemmeno quanto impegno e ingegno sono stati necessari per sottrarre, senza farmi scoprire, gli strumenti per maneggiarlo, evitando di rimanere io stesso avvelenato. Non sai quante vite ho sacrificato per portare a termine la mia impresa: ottenere la tua gloriosa morte. Credevi davvero che ciò che facevo fosse per sostenere la tua causa? Ridicolo! Tieni! Ti lascio anche Gmìrid: non saprei che farmene, a malapena riesco a sollevarla! La terra ricoprirà voi tutti, mentre i vostri resti marciranno.
Il Vetusto Serpente era l’ultimo dei Dèmoni dei Tempi Andati. Gli Dei da molto si sono ritirati, annoiati da giocattoli a loro troppo simili.
Di campioni non se ne sente più un gran bisogno.
Tuttavia, non temere: a chi mi chiederà della caduta di Ïakart, narrerò del tuo valore, racconterò le tue gesta. Dirò di come hai sacrificato impavidamente te stesso, per affrancare definitivamente la razza umana dagli ultimi echi dei Tempi Andati.
A te la gloria, a me il tesoro e Gurield, dal cui ventre verrà generata una nuova genia. La mia genia.
Questa non è più un’epoca di eroi.
Riposa, fratello, il tuo tempo si è concluso.
Disegno di Francesca Riscaio
Sono contento che Spazinclusi abbia pubblicato un racconto fantasy. L’importante è che un testo sia scritto bene – e questo lo è – non che sia di genere oppure letterario. Preferisco un buon racconto di genere a un intellettualoide racconto letterario. Brava Francesca.
Dico questo anche se non sono amante del fantasy perché mi spaventa la mole delle saghe, mi confonde la quantità di personaggi, non riesco a ricordare i nomi impronunciabili di luoghi e personaggi.
Grazie, Maurizio, per aver letto il racconto e per il commento. Mi riempie di gioia sapere che, pur non leggendo tu solitamente fantasy, lo abbia comunque reputato degno di lettura e apprezzabile… è veramente una grande soddisfazione! 🙂