Terra! di Francesca Riscaio Foto di Magale

Terra!

Avevamo percorso infinite volte quel tratto di strada ferrata insieme, lei sulla rotaia di destra, io su quella di sinistra.
La linea ferroviaria di Altomonte, un tempo, era stata molto trafficata: interregionali, locali; poi, dalla fine degli anni ’80, era caduta in disuso. Correva lungo la pianura, attraverso la periferia industriale della cittadina, protetta solo da una rete arrugginita e accartocciata.
C’era una falla nella recinzione e noi, indomiti novenni coraggiosi, l’attraversavamo senza impedimento, per prendere possesso delle nostre rotaie, che conducevano verso ignote e meravigliose avventure. Una delle quali era il futuro. Il futuro di Giulia e mio. Camminando fianco a fianco, giocavamo al cosa sarà domani: le molte proiezioni del noi da grandi sfilavano dalla punta dei nostri piedi fino a scomparire, lungo l’Aribo metallico e srotolato del binario, lontano all’orizzonte.
E, sebbene le rotaie sulle quali ci muovevamo non s’incrociavano mai e nemmeno si sfioravano, Giulia e io, nei futuri che c’immaginavamo, eravamo sempre insieme: archeologi in spedizioni rischiose, alla ricerca di magiche pergamene nei dedali infiniti delle piramidi egiziane; pirati spietati a caccia di inimmaginabili tesori in misteriose isole lontane; astronauti ai confini del sistema solare, oltre la galassia, scopritori di civiltà aliene e nuovi mondi sorprendenti.
Sempre insieme. Camminando fianco a fianco senza mai sfiorarci, eppure in contatto come non avremmo mai potuto esserlo toccandoci. Giulia e io c’eravamo afferrati l’anima. Era come se ce le fossimo scambiate quelle nostre anime e, in fondo, separandoci, non ce le siamo mai restituite per intero.

Già. Perché continuammo a camminare sulle nostre rotaie, separati-ma-insieme, per molto tempo. Anni. Giungemmo sino all’adolescenza, attraverso il binario della linea morta di Altomonte. Da quel momento, i nostri incontri si fecero meno frequenti. Divennero rari. Infine, smettemmo di incontrarci né ci cercammo più, dimenticandoci quasi l’una dell’altro.

Poi, qualche mese fa, ho rivisto Giulia su un social.

Avevo iniziato a passarci molto tempo in quello spazio virtuale, per arrivare alla fine di interminabili serate di abbandono. Così, una sera in cui mi ero sentito particolarmente triste e solo, avevo cercato prima i miei vecchi compagni di liceo per risalire, via via, indietro nel tempo e nei ricordi, sino a lei.

È divorziata, come me. E, come me, non ha figli. Nessun lavoro da archeologa. Non solca i mari con una benda di pelle nera sull’occhio. Non vola alla volta di galassie e universi ignoti. Del resto, nemmeno io ho fatto nulla di tutto questo. Ma ha comunque accettato la mia richiesta di amicizia e così, da allora, chattiamo ogni sera per ore.

È stata lei, durante una di queste conversazioni, a proporre di rivederci sulla linea morta di Altomonte.
Non credevo nemmeno esistesse più.
E, invece, sono qui in equilibrio sulla mia rotaia di sinistra. Saltello come uno scemo da una traversina all’altra. In giro, per fortuna, non c’è anima viva. Il vento danza con gli steli di erba alta e con gli arbusti incolti e disordinati. Il cielo è percorso da processioni di nuvole affannate e stanche. Il tempo sembra essersi fermato e, se Giulia fosse al mio fianco, potrei persino credere di non essermi mai spostato da qui. Sono il me-bambino e accolgo il me-adulto: gli ho tenuto il posto nella vita che ha dimenticato, nei sogni che ha abbandonato, in quei giochi ai quali ha smesso di giocare.
Sorrido di un pensiero tanto puerile, pur ricominciando a saltellare sulla rotaia, traversina a traversina, verso l’orizzonte lontano, nella speranza che conservi ancora un qualche frammento dei mille avventurosi futuri che Giulia e io avevamo pensato per noi.

Lei non verrà.
Ormai sono ore che l’aspetto. Sospiro mesto; in fondo, sapevo che non sarebbe venuta. È stata tutta un’illusione, un bel sogno nel quale ho voluto credere, ma mi stavo solo ingannando. E questi binari non conducono più verso alcun futuro.
Uno sbuffo di vento impetuoso mi distoglie dai tristi pensieri che mi assillano. Le nuvole hanno quasi del tutto traslocato dal cielo. Guardo dinanzi a me. Il sole sta tramontando in un tripudio di rossi e di viola e uno degli ultimi languidi raggi mi colpisce in pieno viso: una bella sensazione di tepore mi pervade l’animo. Chiudo gli occhi e mi godo l’attimo. Poi, avverto qualcosa e resto fermo… Temo di rompere l’incanto muovendomi.
«Terra» sussurra una voce al mio fianco.
«Terra» ripete con tono più alto.
Finalmente mi volto alla rotaia di destra, alla voce riconosciuta e guardo il volto di Giulia, la versione da grande di Giulia, eppure capace ancora di sorridere di un bel sorriso cristallino e vero, un sorriso pulito da bambina, quel sorriso che così bene ricordo.
Giulia indica un punto davanti a noi, dove un’improbabile isola misteriosa ci attende.
«Terra!» esclama nuovamente.
«Cosa ti avevo detto, nostromo?!» replico io entusiasta. «Quella è l’isola dove Flint ha nascosto il tesoro! Ora, non ci resta che sbarcare e iniziare la caccia!»

Foto di copertina di Magale (Flickr)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *