sguardi riflessi

Sguardi e riflessi

 

Sono pronto per uscire, sto per afferrare la maniglia dorata della porta di casa, quando una lama di luce improvvisa vi si riflette e per un attimo mi abbaglia. Da dove viene questo sfavillio impertinente? È forse un raggio di sole catturato da una finestra della casa di fronte, che si è aperta all’improvviso per il vento? O è il luccichio di un pezzetto di metallo, rubato da una gazza che volteggia davanti al mio balcone?Una gazza… come se ne volassero nell’aria opaca e malsana del mio quartiere!M’incuriosisco. Anziché aprire la porta, mi giro per scoprire l’origine di quel lampo inatteso ed ecco chiarito l’enigma: lei è di spalle e in mano ha un piccolo specchio su cui vedo il suo volto. Ecco la sorgente del bagliore! È partito da lì ed è rimbalzato dalla maniglia ai miei occhi. Lei ha voluto guardarmi, mentre uscivo, senza essere vista, ma io l’ho smascherata. Per un attimo i nostri occhi s’incrociano; le sorrido, lei fa finta di niente e posa lo specchio, senza girarsi. Forse si vergogna per quel gesto amorevole che voleva tenere celato e che invece io ho scoperto. Sorrido nuovamente e mi avvio fuori di casa. Rispetterò la sua riservatezza.

Ma mentre scendo le scale, ripenso al suo volto intravisto nello specchio: era lei, naturalmente, eppure non era lei. Cosa mi sfugge? Mi arrovello per un po’, finché capisco. È lo sguardo colto in quell’attimo sul piccolo oggetto ovale, che mi inquieta: non era il suo, nel ricordo mi sembra quello di un’estranea. Le sopracciglia aggrottate, le pupille fisse e quasi vitree, quella ruga tra gli occhi, una piega ostinata lungo le labbra. Ostile, ecco com’era quello sguardo: freddo e ostile. Non le ho mai visto quell’espressione sul volto, lei sempre mite e timida, che sorride a ogni mia parola, che mi guarda con tenerezza quando i nostri occhi s’incrociano. Da dove è scaturita quell’aria minacciosa, quel cipiglio? Un brivido mi corre lungo la schiena. È così che mi scruta quando io non la guardo? Come se un astio nascosto covasse sotto le sue apparenze gentili. In preda all’angoscia, mi affretto a sbrigare la commissione e torno a casa, salgo in fretta le scale, apro la porta… ma no, lei è lì con il solito sorriso gentile, la fronte liscia, le guance paffute di un rosa amichevole.
«Hai fatto presto», mi dice.
Lo specchio ora è sul tavolo.

Mi chiudo in camera per riflettere, ancora turbato; non riesco a capire. Infine mi aggrappo a un dubbio consolatorio: nell’oggetto che lei teneva in mano con tanta grazia, su cui per un attimo ho creduto di scorgere la sua immagine, su quella superficie perfettamente liscia, non c’era il suo vero sguardo, ma solo il riflesso del suo sguardo. E io riesco a vedere l’uno o l’altro, ma non le due cose insieme: come posso discernere la sua vera espressione in quel momento? E se invece fosse stato lo specchio, malevolo, ad aggiungere quella luce cattiva negli occhi, ad approfondire la piega sulla fronte, a scavare il solco lungo le guance? Uno specchio bugiardo che ha trasformato il suo viso gentile in una maschera rancorosa.
Certo, dev’essere così, quel riflesso non poteva che essere menzognero. Troverò una scusa e le chiederò di gettare l’oggetto infido e tutto tornerà normale, ne sono sicuro, e la mia ansia si placherà.
Sospiro. D’altra parte, cosa sappiamo noi di uno sguardo riflesso? Già gli sguardi in sé sono un mistero.
Mi affaccio alla finestra; un uomo fuma appoggiato alla ringhiera del balcone di fronte e sta guardando due ragazze che camminano sul marciapiede. Immagino una linea collegare gli occhi dell’uomo alle giovani. Mi metto anch’io a osservarle e cerco di capire cosa stiano guardando, quali oggetti di volta in volta mettano a fuoco. Ma i loro occhi sono mobilissimi e guizzano rapidi dal volto dell’amica, alla strada, alle case intorno, alle persone incrociate, in una frenesia di mutevolezza impossibile da seguire.
Una cornacchia attraversa il mio campo visivo. La linea del mio sguardo si spezza, e prende a seguire il volo dell’uccello. Che ne è del frammento che seguiva le ragazze? Quella linea è ancora lì, ma invisibile? O si è sgretolata in una miriade di fotoni, dispersi nell’aria?
I fotoni… come se sapessi di cosa blatero!
D’improvviso tutti quegli sguardi si materializzano: diventano altrettante rette che collegano i miei occhi, quelli del signore alla finestra e delle ragazze con tutte le cose su cui si posano. E se ci fossero degli specchi, a interrompere quegli sguardi? Immagino le linee che si riflettono, si moltiplicano e si intersecano a creare una rete, che via via diventa più fitta e alla fine copre tutto lo spazio davanti a me…
Ho un senso di vertigine.
Basta, fuggo via dalla finestra.
Abbasserò le mie palpebre estenuate, non voglio vedere più nulla. Smetterò di pensare agli sguardi e ai loro riflessi. Sì, resterò qui, ad ascoltare questo suono lieve e armonioso che viene da chissà dove.
Ma è un suono, o è solo l’eco di un suono?

Ispirato a “La canzonettista” di Antonio Donghi

Foto originale di Pasquale Comegna

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Fiorella Malchiodi Albedi scrive racconti, alcuni dei quali sono apparsi su riviste online. Nel 2015, un suo memoir è stato selezionato per una serata di 8×8. La sua prima raccolta, con il titolo di Caldo cosmico, è uscita nel 2018 per Eretica edizioni. Il racconto “Caldo cosmico” è stato finalista al premio Zeno 2019. Con “Le donne di P.” ha vinto il TOMO contest 2021 per racconti di fantascienza. In autunno uscirà Il nome scomparso, il suo primo romanzo (edizioni Bookabook).

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