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Fuori dalla piscina, si asciugarono con teli bianchi di spugna morbida. Giorgio frizionava i capelli di Zoe, indispettita perché così glieli arruffava. Greta, indossato il pareo, entrò in casa da dove ne uscì con delle posate.
‟Qualcuno mi dà una mano ad apparecchiare?” chiese.
Zoe era distesa accanto a Giorgio. Accoccolando la testa sulla sua spalla, si godeva a occhi chiusi delle lente carezze lungo la schiena. Francesco annuì a Greta e indossò i pantaloncini sulla pelle nuda. Si sentiva forte e riposato, e nessuno lo rimproverava di non lavorare.
La cucina era molto ampia, con una parete di mattoni a vista e le altre bianco gesso, piastrelloni in cotto e robuste travi in legno. Era fresca grazie ai muri spessi, spiegò Greta, ma anche all’impianto di condizionamento. Francesco vide la cucina economica a legna, lucida e compatta, vicino a un cassone con dei ciocchi tutti uguali disposti ordinatamente; gli ricordò la vecchia cucina economica del nonno Antonio, la differenza era che qui tutto era nuovo e pulito. Pane del forno a legna dal paese vicino, ossocollo, soppressa, latteria mezzano, e verdure fresche dei contadini. ‟Ormai è difficile trovare cibi genuini” disse Greta, ‟tutti comprano all’ipermercato.” Francesco rimase un po’ deluso, si aspettava che i ricchi mangiassero piatti più ricercati. Ricordava che al pranzo di matrimonio della cugina avevano servito per antipasto il sorbetto di basilico genovese d.o.p., pinoli e scaglie di Parmigiano Reggiano bollino aragosta. Non gli era piaciuto, ma aveva capito che più il nome era lungo più il piatto era caro.
‟Questo cabernet sauvignon” disse Giorgio versandone un bicchiere a Francesco, che aveva recuperato le bottiglie dal pozzo, ‟lo produce Vittoria. Ha la terra confinante con la nostra proprietà.”
‟Prima mi sono fermato in una casa, c’era un bastardino rosso…”
‟Lucky” disse Greta ridendo.
‟Ha preso uno spavento quando siamo arrivati con Vrag” continuò Greta. “Anche se Vrag è buonissimo, gioca con i bambini.” L’alano alzò la testa sentendo avevano pronunciato il suo nome, poi si stese di nuovo sonnolento.
‟Ieri sera abbiamo rivisto Match Point in dvd” disse Zoe. ‟Non ricordavo fosse così carino.” Francesco non disse nulla, guardava solo film d’azione: la serie di Fast and Furious con Vin Diesel e I mercenari.
‟Sì, bello” disse Greta, ‟ma preferisco Crimini e misfatti, anche lì c’è un delitto impunito, ma la sceneggiatura è più articolata. Certo, girando un film all’anno, non si può pretendere che siano tutti capolavori. Scoop e Sogni e delitti che sono usciti subito dopo Match Point non mi sono sembrati un granché.”
‟Non vado molto al cinema” disse Francesco.
Zoe lo guardò beffarda. ‟Il nuovo film che esce a dicembre, Midnight in Paris, dovrebbe essere interessante.”
‟Se non l’hai capito, Greta è l’intellettuale di famiglia” disse Giorgio a Francesco. Greta sbuffò e andò in cucina uscendone con un dolce su un tagliere rotondo da polenta, una specie di montagna di colore marroncino dorato che profumava di grappa. L’aveva preparata Vittoria.
Giorgio versò a tutti del fragolino. ‟Martedì ho un appuntamento a Milano alle undici con il notaio Zampieri” ricordò a Zoe. ‟Penso che prenderò il Frecciabianca delle sei e cinquantasei, faccio prenotare dalla segretaria.”
‟Devi parlare di lavoro proprio adesso?” disse Greta.
Giorgio servì dell’altro fragolino a Francesco. ‟Avviamo una startup di servizi informatici…”
‟Papà!” protestò Greta.
‟Greta legge Il manifesto” disse Giorgio rivolto a Francesco. ‟Non sopporta i discorsi da capitalisti.” Zoe sorrise. ‟Una comunista” continuò Giorgio, ‟che a settembre partirà per un Master di un anno a New York.”
‟Davvero?” chiese Francesco a Greta. New York per lui esisteva solo nei film.
‟Alla Columbia Journalism School…” disse Greta.
‟…per scrivere sul Manifesto…” continuò Zoe con un sorrisetto.
‟È da tanto che lavori come arrotino?” chiese Greta a Francesco.
Compiaciuto di essere al centro dell’attenzione, Francesco spiegò che era subentrato al padre ora in pensione. Erano arrotini anche suo nonno Antonio e il bisnonno friulano, che si chiamava Francesco come lui e aveva sposato una veneta, trasferendosi poi nel trevigiano.
‟Il bisnonno portava a spalla la krösma, la cassa in legno con la mola, in Croazia, Slovenia…” Greta e Giorgio lo ascoltavano interessati, Zoe era concentrata sulle doppie punte dei suoi capelli.
‟Dove in Croazia?” chiese Giorgio. ‟Conosciamo bene le coste croate, le abbiamo visitate tutte in barca. In Slovenia invece…”
‟Cacciavi le starne e le beccacce che ci obbligavi a mangiare” disse Greta.
‟Comunista, animalista, ecologista…” la canzonò Giorgio.
‟…fino in Ungheria” continuò Francesco. ‟Partiva all’inizio della primavera, tornando per la fienagione, per mettersi poi di nuovo in viaggio e rientrare a casa all’inizio dell’inverno. Mio nonno raccontava che dal paese di suo padre alcuni erano emigrati anche in Eritrea e in Libia per lavorare come arrotini, avviando una coltelleria a Tripoli.” Scosse la testa. ‟Se avessi avuto l’opportunità avrei aperto anch’io…”
‟Una coltelleria…” disse Giorgio. ‟Sarebbe una startup vincente.” Francesco non era sicuro di cosa fosse una startup. ‟Il riferimento alla tradizione è ottimo, soprattutto in Veneto” continuò Giorgio, ‟e l’aspetto innovativo potrebbero essere dei contratti di affilatura. Sapendo quanto tempo serve in media a un coltello per perdere il filo, si possono impostare delle scadenze. I clienti verrebbero avvisati con una app. I coltelli vengono usati in tutti i bar e ristoranti, nei supermercati e nei negozi di alimentari, dai macellai… e ci sono pure le affettatrici…” Francesco ascoltava attento.
‟Bisogna parlare sempre di lavoro?” si lamentò Zoe.
‟…inoltre, ogni famiglia usa coltelli…” continuò Giorgio. ‟Con un buon progetto è facile trovare un finanziamento. Conosco bene il direttore della Banca Gioiosa et Amorosa.”
‟Sarebbe un sogno” disse Francesco, sentendo parlare concretamente di schei.
‟Krösma. Ecco come potresti chiamare la tua coltelleria” disse Giorgio. ‟E il logo dovrebbe avere una grafica moderna, giovane. Tradizione e innovazione.”
‟Il caffè” annunciò Greta.
Con gli agganci giusti, pensava Francesco, quella poteva essere la sua grande occasione. ‟Sarebbe un sogno meraviglioso” ripeté.
Rimasero d’accordo che, al ritorno di Giorgio da Milano, si sarebbero sentiti per fissare un appuntamento. L’avrebbe fatto seguire da un suo collaboratore nella definizione del progetto e per la richiesta di finanziamenti. Lo studio offriva nel pacchetto integrato anche un supporto per monitorare i progressi dell’attività dopo l’avvio della startup.
‟Vado a raccogliere della frutta” disse Greta. E rivolta a Francesco: ‟Ne vuoi anche tu da portare a casa?”.
‟Ti accompagno” si offrì Francesco.
Le cicale frinivano nella calura e il prato, soffice come un tappeto, brillava emanando calore e umidità. Libero dall’imbarazzo della nudità, Francesco, in pantaloncini e sandali, ammirò le linee sinuose del corpo di Greta fasciate dal pareo.
‟Che frutta avete?” chiese.
‟Albicocche, pesche, qualche fico, ma non dà frutti così buoni come quelli di Vittoria.” A Francesco sembrava che le labbra di Greta avessero il colore delle fragole.
‟Ti tengo io il cestino” disse Francesco sfiorandole la mano. Greta resistette un attimo.
‟Mettiamolo per terra” propose Greta, ‟così possiamo raccogliere la frutta tutti e due.” Lasciò che le togliesse il cesto di mano e lo posasse a terra. Le albicocche dalla pelle vellutata, sode ma morbide, erano mature; Greta ne offrì una a Francesco da assaggiare. A Francesco ricordò le illustrazioni della bibbia viste da bambino, dove Eva offre la mela ad Adamo e tra le foglie dell’albero fa capolino il serpente. In chiesa, durante il catechismo, i maschi punzecchiavano le femmine indicando maliziosi i dannati nudi che soffrivano all’inferno. I salvati in paradiso erano invece pudicamente vestiti. Ora sapeva che era tutto a rovescio: nel paradiso in cui si trovava, i benedetti dagli schei erano nudi mentre i condannati a lavorare come lui erano costretti a girare vestiti. L’albicocca era dolce, la polpa si staccava bene dal nocciolo. Piegandosi per posare delicatamente i frutti nel cestino, sbagliarono i tempi, urtandosi con le mani e le braccia, poi chiedendosi scusa e mettendosi a ridere per tanta goffaggine. Francesco sollevò il cesto per spostarsi agli alberi di pesche.
Mentre Greta gli era di spalle a raccogliere le pesche rosse e gialle, Francesco la prese per un braccio. Lei si girò e lo guardò. La avvicinò a sé.
‟Che c’è?” disse Greta.
‟Sei bellissima” mormorò Francesco avvicinando il volto a quella di lei.
‟Mi fai male al braccio” disse Greta.
Francesco non lasciò la presa, piegandosi per incontrare lo sguardo di Greta.
‟Lasciami, mi fai male” disse Greta con un tono di voce piatto.
‟D’accordo… d’accordo…” Sorrise. ‟Ma che c’è? Non ti piaccio?”
‟Cosa dici?” La mano di lui scese a stringerle il polso, lisciando la pelle del braccio.
‟Lasciami per favore” disse Greta freddamente.
‟Non fare così. Ora siamo qui. Soli…”
‟Cazzo, mi vuoi lasciare?”
‟Ehi!” alzò la voce Francesco, strattonandole il polso. ‟Prima sei tanto gentile e adesso ti incazzi?”
‟Hai capito male…”
‟Si sta tutti nudi, si fanno i discorsi carini… poi al frutteto da soli…”
‟Guarda che ti sbagli” disse Greta. ‟Lasciami.”
‟Non crederai che voglia farti del male, vero?” Le liberò il polso.
Greta guardò verso casa e cominciò a urlare. Sgusciò via, perdendo un infradito, anche se Francesco la sovrastava. Lui cercò di afferrarla ma, inciampando nel cesto, riuscì solo a strapparle il pareo, lasciandola nuda.
‟Merda!” Francesco strinse i pugni di rabbia. Doveva raggiungere subito Greta per spiegarsi.
La trovò che si riparava dietro a Giorgio, corso a vedere cos’era accaduto.
‟Cosa succede?” chiese Giorgio, e poi rivolto alla figlia: ‟Greta?”. Lei lo guardò seria.
‟È una cosa tra me e Greta” disse Francesco avanzando. Giorgio era più basso e magro di lui, che da ragazzo aveva fatto a botte tante di quelle volte a scuola. ‟Non è successo niente.”
‟Cosa cazzo volevi fare…” disse Giorgio andandogli incontro. Francesco si fermò, era deciso a parlare con Greta. ‟Tranquillo” disse, vedendo il volto di Giorgio indurirsi.
Arrivò anche Vrag, seguito da Zoe che imbracciava una doppietta. Da bambino, quando giocava agli indiani e cowboy, Francesco aveva un fucile di plastica, ma la doppietta era molto più lunga, e alle estremità delle canne rivolte all’altezza delle sue ginocchia c’erano due minacciosi fori neri. Zoe passò il fucile a Giorgio.
‟Siamo diventati matti?” disse Francesco.
Giorgio tenne la doppietta all’altezza dell’inguine di Francesco e Vrag abbaiò in tono cavernoso. Francesco fece un passo in avanti.
‟Sta’ fermo o sparo. Non scherzo, ti avverto” disse Giorgio. Era saldo sulle gambe leggermente aperte, con il piede destro avanzato rispetto al sinistro.
‟Greta, diglielo tu che va tutto bene” disse Francesco a Greta, ma lei rimase a guardarlo in silenzio.
‟Vai in casa” disse Giorgio a Zoe. ‟Telefona al maresciallo Vincenzi…”
‟Cazzo, non è successo niente” protestò Francesco, avanzando di un altro passo. ‟Greta, vuoi spiegare?”
‟Non ti muovere” disse Giorgio. Poi, rivolto a Zoe: ‟Trovi il numero sul mio cellulare in cucina.”
‟Dio santo, cerchiamo di ragionare” disse Francesco. ‟È una cosa tra me e Greta. Stavo… ci ho provato con Greta, che male c’è? Insomma! È colpa sua… voglio dire, lei si è spaventata, ma io non le ho fatto nulla.”
Giorgio non rispose. Greta lo guardò con gli occhi scuri.
Zoe tornò dicendo che i carabinieri sarebbero arrivati a breve e che aveva annotato il numero di targa del Fiorino.
Francesco sentì montargli la rabbia in testa. ‟Mi avete rotto i coglioni. Non ho fatto niente, adesso me ne vado” urlò avanzando verso la famiglia.
‟Fermo!” gli ordinò Giorgio alzando il fucile.
La sagoma nera di Vrag si interpose tra Giorgio e Francesco. L’alano abbaiò cupo, intervallando dei ringhi profondi. Zoe lanciò uno sguardo disgustato a Francesco e si avvicinò a Greta per accarezzarle i capelli.
‟Che testa di cazzo…” sbottò Giorgio. ‟Se penso che volevo aiutarlo.”
Poi l’attenzione della famiglia venne catturata da Vrag che proseguiva ad abbaiare, costante e monotono. Solo allora Francesco si rese conto che Giorgio era nudo e che il suo pene era minuscolo in confronto della lunghezza alle canne della doppietta. Avanzò deciso di un passo, Giorgio alzò il fucile.
‟Dai! Spara!” disse Francesco. ‟Hai le palle per sparare? Spara, allora.” Sghignazzò, vedendo l’incertezza velare lo sguardo di Giorgio. ‟Non è come ammazzare le anatre, vero?” Si incamminò verso il Fiorino, con il brivido di dare le spalle a qualcuno che imbracciava un fucile. Gli sembrava di essere il cowboy solitario dei film western che piacevano tanto a suo padre. Nessuno spiccicò parola, e pure Vrag smise di abbaiare. Senza voltarsi indietro, arrivò fino al Fiorino per poi ripartire.
Una Porsche Carrera nera decappottabile entrò dal cancello e la ragazza al volante, dai lunghi capelli color miele, lo scrutò come se cercasse di ricordare dove l’aveva visto. Francesco la salutò con un cenno della mano: l’addio al paradiso terrestre da cui era escluso.
Copertina originale di Pier Giuseppe Giunta
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Maurizio Donazzon
Sono nato a Treviso, nel 1961, e dal 2009 tengo corsi di Scrittura creativa presso l’Arci di Treviso, dove lavoro. Ho tenuto un Laboratorio sull’intervista da cui è tratto il volume Storie di vita migrante, Terra Ferma Edizioni, 2015, con dieci interviste di migranti.
Alcuni miei racconti sono stati pubblicati in antologie di concorsi letterari, altri sono presenti nelle riviste on-line Alcuni miei racconti sono stati pubblicati in antologie di concorsi letterari, altri sono presenti nelle riviste on-line WebSite Horror, Il Paradiso degli Orchi, Lahar Magazine, Sguardindiretti, Spazinclusi, Verde. Autore aggiunto presso Spazinclusi.
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