L'insolito compleanno di un ex agente del Mossad

L’insolito compleanno di un ex agente del Mossad

Yurden aveva posato il boccale sul bancone e si era messo a fissarlo. Sopra c’era la marca di una birra con la testa di un cervo. Zila lo aveva appena lasciato per un dentista, due otturazioni e una corona a un molare e se n’era invaghita.
Vai a fidarti di un amico, pensò. Sollevò il boccale e guardò il cervo negli occhi. Poi si girò e guardò fuori. Dietro la porta a vetri, i lampioni erano accesi da un pezzo, ma lui non aveva nessuna voglia di tornarsene a casa. L’avrebbe trovata sottosopra, con la cucina ridotta a un immondezzaio e il letto disfatto.
Non avrei dovuto raccomandarglielo, disse. Cosa puoi aspettarti da un compagno di banco che in quarta elementare ti fregava i pennarelli? Prima o poi ti porterà via anche la donna.
Il compagno di banco era poi diventato un dentista di prim’ordine e lui aveva preso altre strade ma ogni tanto si erano visti per una devitalizzazione o per una semplice carie.
Rimase a leccarsi le ferite sullo sgabello di un anonimo pub della periferia di Tel Aviv aperto fino all’alba. Alla sua sinistra, dall’altra parte del bancone, una tipa con la maglietta rosa badava alla cassa e riempiva qualche boccale di birra alla spina, togliendo la schiuma col coltello per servire ai tavoli un rimasuglio di clienti solitari sparsi qua e là per il locale.
Yurden la guardò, ha due occhi azzurri che non si abbinano per niente alle labbra verde pastello, disse. Il segreto dell’eleganza sta negli accessori, Zila in questo era una maestra, aveva un rossetto per ogni paia di lentine colorate e stava ore davanti allo specchio prima di uscire, mentre io dormivo.
Ma Zila è andata via e mai sarebbe entrata in uno squallido locale di periferia per dare dei consigli di maquillage a una che serve una birra scadente come questa, pensò. E di nuovo guardò il cervo negli occhi, poi risalì più su e si soffermò sulle corna che avvolgevano il boccale come una corona di spine.
Distolse lo sguardo infastidito, tirò fuori il portafoglio e ci guardò dentro. Venti Shekel, disse, per un ex agente del Mossad senza pensione è pur sempre qualcosa. Mi avrà lasciato anche per questo. I dentisti hanno il portafoglio gonfio e io ho solo venti Shekel. Sì e no un’altra birra.
Sollevò la testa e fece per ordinare.
Dall’altra parte del bancone vide la tipa con gli occhi azzurri e le labbra verde pastello sgranare gli occhi e alzare lentamente le braccia. La osservò mentre se ne stava a braccia per aria mostrando il nome impresso sulla maglietta rosa.
Si chiama Hilà, disse, e continuò a osservarla. Neppure la maglietta si intona al colore degli occhi.
Poi si accorse che anche quelli seduti ai tavoli, riflessi nello specchio dietro al bancone, portavano uno dopo l’altro le braccia verso l’alto. E cominciò a sospettare che qualcosa non andava in quel pub.
Non si mosse. Guardò meglio nello specchio muovendo furtivamente le pupille tra decine di bottiglie di birra in fila sulle mensole di cristallo e vide una figura incappucciata che avanzava tenendo bene in vista un’arma tra le mani.
Trattenne il respiro e strinse il portafoglio, strizzò gli occhi e mise a fuoco l’arma. Una mitraglietta Uzi calibro 9, disse, sotto il cappuccio ci sarà un palestinese che l’ha tolta a un soldato israeliano. Basta mostrarla e tutti capiscono al volo come stanno le cose, di solito le rapine non sono così silenziose. Se fossi ancora nel Mossad se la starebbe già spassando in paradiso con settantadue verginelle di primo pelo.
Calma, non farti prendere dalla rabbia, Yurden, gli suggerì una vocina in fondo alla testa. Quello ha un arsenale in mano e a te hanno tolto la pistola d’ordinanza per incapacità professionale.
Ma un consiglio così formulato metteva il dito dritto nella piaga e non poteva che innervosire Yurden.
Incapacità professionale, ripeté facendo il verso alla voce dentro alla testa, incapacità professionale…
Proprio così, ribadì la vocina indispettita. Incapacità professionale!
Ogni tanto gli succedeva che a una freddezza glaciale subentrava un’eccitazione tale che lo faceva friggere e agiva d’istinto. Il sangue gli andava alla testa e non vedeva più niente.
Di fronte al pericolo, la prima cosa che insegnano a un agente del Mossad che si trova davanti a uno specchio con dentro il riflesso dei clienti a braccia sollevate è di fare un respiro profondo e silenzioso restando fermi per non dare nell’occhio, studiare la situazione muovendo appena le pupille e aspettare una mossa falsa del nemico per entrare in azione. Roba da manuale.
Calma, disse Yurden, sei già al sesto boccale e non è il caso di menare le mani. Zila ti ha mollato perché sei una testa calda e anche il Mossad ti ha lasciato in mutande e senza pensione per lo stesso motivo e adesso se sei in questo schifo di posto è solo per farti un’altra birra con quei quattro Shekel che ti restano nel portafoglio. Si accontenterà dei soldi della cassa e andrà via senza sparare, fidati.
Ma sedici anni di servizio al Mossad lo avevano portato a non fidarsi troppo del suo sesto senso. E poi era arrivata la botta finale che aveva fatto sprofondare nel fosso la sua autostima e aveva cominciato a sentire la vocina in testa.
Incapacità professionale, continuò a ripetere a se stesso.
Esatto, confermò la vocina. Incapacità professionale!
Aveva fatto fuori una suora cattolica che si aggirava tra le cianfrusaglie del Shuk di Mahane Yehuda, scambiandola per una palestinese imbottita di esplosivo solo perché di carnagione olivastra e un po’ troppo abbondante in un cappotto taglia extra large che la copriva fino all’alluce. Il Vaticano aveva fatto pressione per sapere nome, cognome e incarico del coglione che aveva sparato da venti passi perché la suora impaurita si era girata all’alt e aveva stretto istintivamente il catechismo al petto per farsi coraggio e il coglione aveva pensato che avrebbe infilato la mano sotto al cappotto per tirare la cordicella e farsi esplodere, come succede normalmente da quelle parti.
Il tiro era riuscito, l’aveva presa in piena fronte, ma il bersaglio era sbagliato.
Certo i giornali non dissero proprio coglione ma il senso era quello e così agli occhi di Zila, giorno dopo giorno e notte dopo notte, era diventato invisibile, e lui se ne stava a letto fino a mezzogiorno mentre lei si truccava per uscire e il suo amico dentista che gli fregava i pennarelli in quarta elementare, aveva cominciato a farle le otturazioni ai molari.
Beh, una donna che viene trascurata cosa può fare? chiese la vocina in fondo alla testa.
Va dal dentista? rispose Yurden. Se fosse stata davvero una kamikaze, tutti mi avrebbero osannato, e sarei diventato un eroe, e i giornali non avrebbero sbandierato che l’agente segreto con il quoziente intellettivo più basso del Mossad aveva fatto un casino tale da far nascere una crisi diplomatica con il Vaticano, sputtanando il Mossad da capo a piedi. Carriera, reputazione, rispetto e amore, tutto finito. Colpa dei giornali! Chissà poi chi ha fatto la soffiata sul mio quoziente intellettivo.
Queste cose prima o poi si vengono a sapere, sentenziò la vocina.
Mi avrà lasciato soprattutto per questo, disse Yurden, ma non è affatto detto che il quoziente intellettivo di un dentista sia più alto del mio.
Dici? ridacchiò la vocina.
Avrei voluto vederlo il dentista tra la folla del Shuk, con la cicciona incappottata che si muoveva con un’aria nervosa tra una bancarella e l’altra, scegliendo quelle più affollate, rispose Yurden. Avrebbe puntato il trapano in aria gridando: Fermi tutti? Le sarebbe saltato addosso e avrebbe tolto la cintura esplosiva?
Peccato Yurden che non c’era nessuna cintura esplosiva, precisò la vocina, ma solo un catechismo con la copertina in pelle con sopra incisa la frase: “Gesù è il mio Salvatore”, che nel caso specifico non solo non ha funzionato ma ha addirittura peggiorato la situazione.
Non potevo fare altro che tirare fuori la pistola, si giustificò Yurden, sparare un colpo in aria, come dice il manuale, e gridare: Fermi tutti! Poi lei si è girata, ha stretto il catechismo al petto e…
Fermi tutti! gridò improvvisamente l’incappucciato interrompendo il discorso tra Yurden e la vocina  dentro la sua testa. E braccia alzate! aggiunse dopo un attimo di esitazione, come se avesse dimenticato le cose che abitualmente si dicono durante una rapina.
Dev’essere nuovo del mestiere, pensò Yurden seguendo i movimenti dell’incappucciato allo specchio. Avessi ancora la mia pistola!
Era sempre stato un ottimo tiratore, primo del suo corso alle selezioni per il Mossad, peccato che ogni tanto si faceva prendere dall’ansia di strafare.
Calma Yurden, disse, non farti prendere dalla foga. Non reagire. Hai bevuto troppo! Tenne stretto il portafoglio e non si mosse. Non alzò le braccia. Continuò semplicemente a guardare la scena allo specchio come in un film.
Ma all’incappucciato non sfuggì il particolare del portafoglio stretto nella mano e delle braccia ancora sul bancone. Si avvicinò e gli puntò la Uzi calibro 9 dritto alla tempia destra.
Il portafoglio, disse.
Yurden restò immobile sotto la pressione dell’arma, mosse solamente le pupille nella direzione degli occhi dell’incappucciato e stette a guardarlo in diagonale, senza espressione.
Il portafoglio, ripeté l’incappucciato picchiettando con la punta dell’arma sulla tempia.
La vocina nella testa sussurrò: Yurden, questo ti fa un buco nel cervello come una moneta da mezzo Shekel se non ubbidisci.
Ma Yurden strinse ancora più forte il portafoglio e non disse una parola.
Dall’altra parte del bancone Hilà sollevò le braccia ancora più in alto e  con un cenno del dito indice  mostrò la cassa aperta pronta per essere svuotata.
Ma l’incappucciato non se la filò di pezza.
Il portafoglio, dammelo o ti sparo in bocca, ripeté con un tono di voce più nervoso, e spostò la canna della Uzi sulla bocca di Yurden. La spinse sulle labbra serrate mentre con la sinistra afferrò il portafoglio e lo tirò a sé.
Ma Yurden non si lasciò sorprendere, strinse ancora più forte il portafoglio e disse: Manc…pr… ! Ma mentre lo diceva la canna della Uzi gli scivolò in bocca e venne fuori un gorgoglio che l’incappucciato non comprese, allora sfilò la canna dalla bocca, la rimise sulla tempia destra e chiese: Che hai detto?
Manco per il cazzo! ripeté forte e chiaro Yurden.
Attento Yurden, non metterla sul personale, ci sono conversazioni che possono cambiare il corso della vita, questa ha tutta l’aria di essere una di quelle, si intromise la solita vocina.
È lui che la mette sul personale, potrebbe prendere i soldi della cassa e filarsela anziché agguantare il mio portafoglio.
Meglio un buco in testa Yurden?
Yurden avvertì il freddo della canna sulla tempia, fece una veloce riflessione e disse: Ci sono solo  venti Shekel nel portafoglio, mi servono per un’altra birra. Lo disse con un tono speranzoso guardando in diagonale l’incappucciato.
L’incappucciato si sentì spiazzato ma continuò a tenere l’arma puntata sulla tempia con la mano destra mentre con la sinistra stringeva la sua metà di portafoglio.
Venti Shekel? chiese.
Esatto! È il mio compleanno, vorrei festeggiarlo. Cinquant’anni sono un’età difficile se lo passi da solo.
Solo? Fece l’incappucciato.
Solo, rispose Yurden.
Solo, ripeté l’incappucciato tra i denti, e si vide seduto a quel tavolo a bere una birra scadente per festeggiare in un giorno ancora lontano i suoi futuri cinquant’anni. E si commosse.
Yurden attese.
Gli occhi dell’incappucciato si inumidirono ma l’arma non si spostò di un millimetro. È una situazione insolita che richiede una certa attenzione, non una decisione affrettata, pensò. La disperazione non ha età e la solitudine non conosce tempo, puoi avere cinquant’anni come questo disgraziato con una pistola puntata alla tempia oppure puoi avere la mia età e arrangiarti con qualche rapina qua e là. È una cosa trasversale, puoi essere un rapinatore oppure un rapinato, la disperazione non fa distinzione, siamo tutti sulla stessa barca.
E mentre decideva sul da farsi qualcuno stanco di tenere le braccia sollevate dal fondo del locale gridò: Molla il portafoglio, quello ti fa secco! Qualche altro prese coraggio e disse: Tante storie per venti miserabili Shekel.
Fatevi i cazzi vostri! gridò l’incappucciato mollando il portafoglio e brandendo commosso l’arma  tenendola con due mani.
I suggeritori videro la canna della Uzi calibro 9 spostarsi nella loro direzione, si zittirono di colpo e portarono ancora più su le braccia.
Sei stato lasciato? Chiese l’incappucciato.
Yurden non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo.
Sempre la stessa storia, la solitudine, il grande tormento della nostra vita, continuò l’incappucciato. Siamo tormentati dal bisogno di stare assieme ma poi finisce che ci prendiamo a cornate.
Yurden risollevò lo sguardo e fissò di nuovo le corna del cervo che avvolgevano il boccale di birra come una corona di spine. Già, disse. Neppure un messaggio per il mio compleanno. Se la starà spassando con il dentista a quest’ora.
Un dentista? fece incuriosito l’incappucciato.
Un amico.
Mmmmm, mugugnò l’incappucciato. Mai fidarsi di un amico soprattutto per questioni di donne. Oramai ho chiuso il mio cuore e non mi fido più di nessuno e tutto quello di cui ho bisogno è questa Uzi calibro 9 fottuta a un coglione di soldato israeliano.
Ci avrei scommesso, pensò Yurden.
Complimenti, disse la vocina dentro alla sua testa. Lo hai preso dalla parte del cuore, ci si commuove sempre davanti agli sfigati.
Zitta! Tuonò Yurden con tutto il fiato che aveva in testa.
E mentre la vocina sentiva rimbombare le pareti del cranio di Yurden e correva a rintanarsi nell’angolo più remoto del cervello, l’incappucciato staccò l’arma dalla tempia destra di Yurden e si allontanò dal bancone senza sparare un colpo e senza aver preso niente, e prima di filarsela si girò sulla porta a vetri, sventolò la Uzi per aria e gridò: Buon compleanno!
Yurden lo vide sparire dallo specchio, posò i venti Shekel sul bancone e bevve un’altra birra.
Quando uscì vide la luna alta nel cielo di Tel Aviv, era una di quelle lune che staresti a guardare per ore. Più luminosa del solito. Si accese una sigaretta e si incamminò verso casa.

Illustrazione di Ilaria Salvatori

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Sandro Sacco è poeta e narratore, si occupa di agricoltura biologica. Ha seguito corsi di drammaturgia, scrittura e sceneggiatura presso la Rai e la Casa Delle Letterature. Scrive testi teatrali, a Goma (Rep.Dem. del Congo) ha insegnato a ex bambini soldato a teatralizzare le loro storie. Ha pubblicato con G. Perrone Ed. la raccolta Poesie Scritte Camminando, con prefazione di Elio Pecora, e una raccolta di racconti dal titolo Balthus. Le sue poesie sono state lette a Radio Vaticana e a Radio RAI. Ha partecipato alla giornata della poesia al Macro di via Nizza a Roma. I suoi racconti figurano in varie antologie e su riviste on linee. Le sue poesie sono state pubblicate su la Recherche e sulla rivista internazionale Poeti e Poesia curata da Elio Pecora.

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