Hai cominciato a chiamarmi “la tua piccola donna egizia” dopo aver visto Liz Taylor in “Cleopatra”. Mi hai detto che avevo la pelle del suo stesso colore e che anche il taglio degli occhi era simile. Poi ti sei arrabbiato perché mentre saltellavo dalla gioia – nessuno mi aveva mai paragonato a un’attrice – ho fatto cadere il vaso appoggiato sul caminetto. Il mio vaso, il vaso che avevo comprato io, sopra il mio caminetto, a casa mia. I cocci se ne stavano sul pavimento e io ho pensato che avrei potuto anche calpestarli, ferirmi le piante dei piedi e lasciare delle scie di sangue in tutta la casa: sarebbe stato il mio sangue. Tu mi hai detto che ero maldestra, che mi comportavo come una ragazzina e da tale mi avresti trattata. Mi hai comprato un vaso nuovo, più piccolo, con dei disegni egiziani, con il coperchio; e un profumo all’ambra grigia: hai detto che era afrodisiaco e poi abbiamo fatto l’amore sopra al tappeto che mi avevi regalato tu.
Hai iniziato a presentarti con i dépliant delle agenzie di viaggio, ti sembrava logico che dovessimo fare una vacanza in Egitto, che visitassimo le Piramidi e la Sfinge, dicevi che mi sarei sentita come a casa, lì tra i miei simili; non ascoltavi le mie obiezioni, io che ti dicevo che avevo paura di viaggiare in aereo, io che ti spiegavo di soffrire il caldo. L’Egitto era la mia patria, una tradizione millenaria, la terra dell’unica delle sette meraviglie del mondo ancora conservata, dicevi che qualcuno pensava fossero stati gli alieni a costruirle, pensavi fossero sciocchezze e volevi che io lo sapessi.
Mi hai regalato un libro per insegnarmi la mia cultura, un libro per bambini, con i pop-up, perché non ero abbastanza intelligente per capire le cose più complesse. Ti sei messo sul divano e mi hai spiegato ogni illustrazione come se le descrizioni fossero scritte in una lingua non mia.
Hai preteso una cena egiziana a lume di candela. Ho preparato il Cous cous, le polpette di carne e l’agnello e tu ti sei presentato con un nuovo set di posate dall’acciaio lucente perché i coltelli che avevo io, dicevi, non tagliavano bene e le forchette avevano i rebbi troppo ravvicinati. Non sapevi che avremmo dovuto mangiare con le mani.
Mi hai detto che mi amavi, perché ero la tua piccola donna egizia, e io ero felice di quello che tu vedevi in me. Ti sei presentato con una lunga tunica bianca e hai detto che avrei dovuto indossarla perché ti saresti eccitato, ma non abbiamo mai potuto usarla perché mi hai chiamato al telefono e mi hai detto che potevo tenere tutto, che non ti avrei mai più rivisto: avevi incontrato un’altra.
Allora ho lasciato passare qualche giorno per capire se le cose che avevo nello stomaco se ne sarebbero andate da sole, ma non è successo e ho dovuto telefonarti, dirti di venire da me e riprenderti tutto.
Ti ho accolto con la tunica, mi sono truccata come una piccola egiziana e ho appoggiato una corona sulla testa, come Liz Taylor, e tu mi sei sembrato sorpreso, avevi gli occhi languidi perché forse ti immaginavi un regalo d’addio che la tua altra donna non avrebbe mai scoperto. Poi ti ho parlato dell’Egitto, del culto dei morti, del Nilo che straripava e fecondava la terra, dei geroglifici e della mummificazione. Ho visto nei tuoi occhi la sorpresa, non pensavi che sarei riuscita a studiare. Mi sono chiesta se mostrandoti di essere più di un’immagine tu ti saresti innamorato di me. Ti ho fatto avvicinare al caminetto e ti ho detto che quel piccolo vaso che mi avevi regalato era una bella imitazione dei vasi canopi e tu hai alzato le spalle come a dirmi che non avevi idea di cosa stessi parlando e che in fin dei conti non ti interessava. Allora ti ho tagliato la gola, con uno dei coltelli che mi avevi regalato tu. Ti ho aperto il petto, a fatica e con calma. Ho estratto il tuo cuore e l’ho messo dentro al vaso canopi. Ti ho trascinato nel bagno e ho trovato la forza per buttarti nella vasca. La mia tunica era sporca di sangue, anche il pavimento. Non importa. Ho tutto il tempo che voglio per pulire e per studiare. Quando avrò finito con te sarò davvero la tua piccola donna egizia e tu sarai una modesta mummia fatta in casa e a quel punto non sarai più un problema per me; lo sarai per qualcuno nel regno dei morti.
Copertina originale di William Bersani
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Gianluigi Bodi è nato nel 1975 e ha vissuto gran parte della sua vita a Cavallino (VE), tra mare, laguna e nebbia. Si è laureato in Lingue e Letterature straniere all’Università Ca’Foscari di Venezia. Nel 2013 ha fondato il blog letterario Senzaudio nel quale recensisce tutto quello che di buono gli capita di leggere, con un occhio di riguardo all’editoria cosiddetta indipendente. Nello stesso periodo è diventato padre e ha ripreso a scrivere dopo anni di astinenza. Nel 2015 ha vinto il concorso “Guida per principianti all’uso della notte” indetto dal Festival letterario CartaCarbone di Treviso con il racconto dal titolo “Perché piango di notte”. È stato inoltre finalista nel 2018 al contest “8×8, un concorso dove si sente la voce” con il racconto intitolato“22305”. Da allora ha continuato a scrivere e i suoi lavori sono apparsi su Pastrengo, Altri Animali, Narrandom, Tuffi e Spaghetti Writers. Nel prossimo futuro alcune sue opere usciranno su Crack, Spazinclusi a altre riviste letterarie. Nel 2016 ha curato per VerbaVolant la raccolta di racconti “Teorie e tecniche di indipendenza” nella quale trova posto anche una sua opera dal titolo “La figlia di Pietro” inoltre sta curando un’antologia di prossima uscita con LiberAria editrice.
Ho trovato questo testo molto intenso. Nonostante la durata, moltissimi elementi, anche insospettabili, trovano il giusto incastro in questa storia cruda e spietata. Non c’è amore in questa storia, ma solo la finzione della sua presenza. Mettere così tanto in così poche righe richiede certamente molta abilità.
La seconda persona mi ha un po’ spiazzato all’inizio, perché non la amo particolarmente, ma presto ci si rende conto di quanto sia necessaria per abbattere immediatamente la distanza con il lettore, come in un film horror in cui l’assassino compare all’improvviso, in primo piano, rompendo per un attimo la quarta parete. La piccola donna egizia, così ingenua ed indifesa, sarà capace in un lampo di mettere radici negli incubi dei lettori.
Caro William,
io ti ringrazio per queste belle parole. Non so davvero dire altro. Sono felice che tu abbia trovato tutti questi elementi positivi nel mio racconto e, una volta di più ribadisco il fatto che la tua illustrazione aveva colto nel segno. Grazie.
Mi è piaciuto molto. La trasformazione finale della piccola donna egizia, spiazza. Efficace l’uso della seconda persona. Complimenti.
La ringrazio di aver letto il racconto e dei complimenti.