Il figlio della sposa uscì dalla sala affrescata del municipio, allentando la cravatta che pareva gli stringesse il collo come per soffocarlo. Digitò un whatsapp alla sua ragazza, impegnata tutto il giorno con le compagne di biologia. Non ci sarebbe stato l’usuale rincorrersi di messaggi, faccine e cuoricini, che di solito si scambiavano.
Gli mancava.
Eppure, quando si erano ritrovati da soli, dopo che sua madre le aveva consegnato la busta color avorio dell’invito con sopra scritto Per Aurora, Davide le aveva precisato che lui era costretto ad andarci, lei no.
‟E cosa le dico?”
‟Che ne so, un appello spostato senza preavviso.”
‟È il matrimonio di tua madre.”
‟E allora?”
‟Ascolta, amore…”
‟Tu non capisci.” Quella era la barriera con cui ogni volta Davide metteva fine alle loro discussioni sul tema delle separazioni e dei divorzi. ‟Tu non capisci, i tuoi non sono divorziati. Non sai cosa si prova.” Neppure lui però aveva ben chiaro cosa provava, anche se in certi momenti si era sentito arrabbiato, indifferente, o impotente. Aveva deciso che voleva pensarci il meno possibile.
Nel piazzale era parcheggiato un autobus arancione, addobbato con fiocchi di nastro bianco e palloncini rosa, gialli e azzurri, che rapide folate di vento facevano sbattere uno contro l’altro. Fogli di carta da pacchi ricoprivano le fiancate: con i pennarelli colorati era stato scritto a grandi lettere W GLI SPOSI e JUST MARRIED. Dietro l’autobus era legato un codazzo di lattine.
Accese una sigaretta. Con la punta incandescente fece scoppiare un palloncino che si afflosciò come uno straccio. Quando lanciò in aria il mozzicone, notò l’enorme nuvola color cenere, dai bordi sfrangiati, oltre i quali si stendeva il cielo grigio di quel sabato di fine giugno. Le previsioni minacciavano pioggia, ma la festa non si sarebbe comunque rovinata perché sposa bagnata sposa fortunata, aveva sentenziato sua madre.
“Cosa ne dici?”
La mattina, nascosta agli occhi dello sposo, la madre si osservava allo specchio dell’armadio, davanti al figlio seduto sul letto matrimoniale. L’abito lungo di seta le lasciava braccia e spalle nude. Color panna, lucido e vaporoso, la parte superiore era punteggiata di perline bianche e semi di stoffa marrone scuro.
“Se ti piace…” aveva risposto Davide con un’alzata di spalle.
Il giorno dopo sarebbe tornato finalmente a Padova, e avrebbe rivisto Aurora. Dopo il divorzio, e con più determinazione da quando sua madre conviveva con un altro uomo, aveva preteso di non fare il pendolare all’università, anche se era solo a quaranta minuti di treno da Treviso. Il padre e la madre si erano trovati subito d’accordo. Aveva scelto il corso di laurea in consulente del lavoro per guadagnare presto e uscire di casa prima: voleva aprire uno studio con un amico della facoltà. “Almeno abbiamo cresciuto un bravo ragazzo…” si rassicuravano i genitori. Davide, che non saltava un appello, era fiero dei risultati: un self-made man come suo padre, rappresentante di macchine industriali, a differenza dello sposo, conducente dei trasporti pubblici. Lavorava anche come cameriere in Piazza delle Erbe all’ora dello spritz, per essere più indipendente.
Le prime gocce, grandi come monetine, si impressero sul selciato. Davide si riparò nell’autobus quando iniziò l’acquazzone. Sotto le sferzate della pioggia, i palloncini si contorcevano per liberarsi dal nastro adesivo e i cartelloni si trasformarono in una poltiglia grigia. La cerimonia sembrava conclusa. Attraverso l’intreccio di ruscelletti che scorrevano sul finestrino, vide gli invitati ammassati sul portone del municipio che scrutavano la pioggia martellare il piazzale.
Iniziò a grandinare. Sul tetto dell’autobus rimbombavano i colpi, come se una sassaiola si accanisse contro un bidone vuoto. Stringendosi nella giacca, guardò il piazzale ricoprirsi di biglie saltellanti che formarono una granulosa superficie bianca, candida come il vestito che, a ventisette anni, sua madre indossava nelle foto del primo matrimonio, mentre suo padre guardava dritto davanti a sé, rigido in posa. Lui, suo padre, non si era rifatto una nuova famiglia, viveva in un monolocale trasandato, seppure potesse permettersi un bell’appartamento e una donna delle pulizie. Si scambiavano qualche parola dopo un esame particolarmente ostico e, quando si incontravano ai compleanni o a Natale, suo padre gli cacciava in mano un pacchettino di banconote piegate in due, che Davide cercava di rifiutare. “Ti possono servire” gli diceva, dopo una contrattazione che finiva sempre nello stesso modo. In quel momento, era sicuramente al lavoro, la sua ragione di vita, come pure della fine del matrimonio.
Piovigginava ancora quando gli invitati si riversarono nel piazzale. Le donne, sui tacchi alti, sorvegliavano il lastricato, attente a non scivolare, mentre gli uomini le riparavano sotto gli ombrelli. I bambini, ripresi dai genitori, si divertivano a calpestare la grandine per sentirla scrocchiare sotto le scarpe. La sposa si appoggiò al petto dello sposo, che procedeva a testa bassa. Il lancio del riso si concluse in fretta: tutti sciamarono verso le auto e l’autobus, che si riempì delle chiacchiere degli invitati, sposa bagnata sposa fortunata, degli schiamazzi dei bambini, e di colori e tessuti eleganti.
Mentre lo sposo le sfregava le mani, l’oro della fede luccicò sulle dita infreddolite di sua madre, che lo cercava con lo sguardo. Quando lo raggiunse, anche se Davide aveva cercato di mimetizzarsi tra gli invitati, esibì un sorriso che era un inganno: non era per lui, mostrava soltanto la felicità per il nuovo matrimonio.
‟Non ti ho visto prima…”
‟Sai che sono allergico alle feste.”
‟Non sarai rimasto fuori al freddo sotto quella grandinata, potevi almeno…”
‟So arrangiarmi.”
Quante volte aveva ripetuto quella frase. Quando sua madre insisteva per lasciarle i vestiti: “Non ti metterai a lavare e stirare? Lo so che a Padova ci sono le lavanderie a gettone, ma lasciami fare qualcosa”. Oppure la domenica, prima di partire per l’università: “Ti ho preparato il pasticcio di verdure così non devi cucinare. Basta che lo metti nel freezer.” Lo trattava ancora come un bambino.
‟Però a pranzo vieni a sederti vicino a noi. C’è una sorpresa…”
‟È la vostra festa, non pensare a me.”
L’autobus accese i motori, mettendosi a vibrare come per scrollarsi la pioggia di dosso. La madre sbirciò verso lo sposo che aveva preso il posto del conducente. Anche se un collega avrebbe potuto facilmente sostituirlo, aveva comunque deciso di guidare l’autobus nuziale.
“Pronti? Si parte!” gridò. Le porte si chiusero con uno sbuffo.
‟Vai vai” disse Davide. La madre scomparve verso la testa dell’autobus, aggrappandosi agli invitati. Si sentirono macinare i noduli di grandine sotto le ruote. Davide controllò il cellulare per vedere se Aurora gli avesse risposto.
Moriva dalla voglia di starle vicino.
La riconobbe tra gli invitati, davanti alla villa. Un tubino acquamarina l’avvolgeva fin sopra le ginocchia e il trucco leggero le illuminava il volto pulito. Davide sentì il cuore allargarsi, ma quando le si avvicinò era furioso con sua madre e con Aurora per la sorpresa.
“Vieni” le disse, strattonandole la mano. Vide nel parcheggio l’autobus vuoto con le porte aperte. Come una grande farfalla bianca appoggiata su un ramo d’alluminio, alla traversa dello schienale di ogni sedile era legato un fiocco di nastro lucido. Con un calcio, Davide ne levò di torno uno caduto in mezzo al corridoio.
“Che ci fai qua? Mi hai fatto credere che eri con…”
‟Senti, amore…”
‟Lo sapevo. Non dovevo venirci. E invece no! Davide: mi fai un grande regalo… Davide: è il matrimonio di tua mamma… Davide, Davide, Davide…”
‟Ascolta…”
‟Che coglione…
‟Capisco che tu sia…”
‟No, non puoi capire…”
‟Basta!” Aurora strinse il braccio a Davide. ‟Sempre la solita storia. Nessuno sa come ti senti. Guardati attorno una buona volta! I tuoi hanno divorziato. E allora? Non sei l’unico figlio di divorziati. Le cose cambiano: non ti piace, ma è così. Non puoi rinchiuderti nel…”
La sposa si affacciò alla porta dell’autobus.
“Vi abbiamo cercato dappertutto…” disse allegramente. Accorgendosi del volto scuro di Davide cercò nel volto di Aurora delle risposte, ma lei distolse lo sguardo per incrociare lo sguardo di Davide. ‟Abbiamo servito l’aperitivo…”
‟Sì, sì” disse Davide.
“C’è qualcosa…”
“Tutto bene.”
“Niente va bene” disse Aurora. “Secondo Davide non dovevo farmi vedere, e lui ci è venuto per forza al matrimonio. Non voleva che ti sposassi.”
L’ultima frase, che Davide avrebbe da sempre voluto urlare alla madre, lo fece sentire indifeso. Spogliato al momento della rabbia, si vedeva come riflesso in uno specchio. Ma l’immagine era così nitida, e i dettagli così precisi, che gli sembrava ci fosse un’altra persona davanti a lui, uno sconosciuto che gli somigliava.
“Lo so” disse Liliana.
In quel momento, sorpreso di non averlo già notato, Davide vide che un fermaglio di perline, sospese come gocce opalescenti su dei rametti bianchi, tratteneva una morbida onda di capelli sopra l’orecchio destro di sua madre. Le perline erano identiche a quelle cucite sul corpetto dell’elegante abito lungo color panna che la mattina aveva guardato con indifferenza.
I noduli di grandine, ormai sciolti sul prato davanti alla villa, persistevano in cumuli ostinati e scintillanti all’ombra degli alberi ma, sotto la cupola grigia del cielo, una fascia color azzurro slavato si allargava all’orizzonte sopra le montagne aguzze. L’aria fredda e schietta, che minacciava i vestiti leggeri degli invitati, li aveva già fatti rifugiare dentro la villa.
Copertina di Th G (maxmann) da Pixabay