«Fai presto, Stefà». Disse lo chef, appoggiato in un angolo a fumare una sigaretta sotto la cappa aspirante.
Stefania tagliava le zucchine, velocissima, con gli occhi fissi sulla lama che saliva e scendeva come un ingranaggio.
«Ho finito, ho finito. Zac!». E diede l’ultimo colpo.
«Brava Stefà. Adesso pulisci che è tutto sozzo».
Stefania sollevò il contenitore pieno di rondelle di zucchine tenendolo saldamente con entrambe le braccia, piegò le ginocchia e lo spinse in fondo al ripiano del frigo che Max teneva aperto.
«Nun me rompe er frigo, Stefà».
Lei sorrise, e con lo straccio pulì il ripiano di acciaio inox, facendo cerchi, ora con un braccio, ora con l’altro.
Max accese una radiolina. «Che radio metto, Stefà?». Con un balzo si sedette pesantemente sul tavolo in mezzo alla cucina, girava la rotellina e la radio gracchiava, e all’improvviso si sentì forte e limpida una canzone dei Bee Gees.
«Bella questa!». Disse Stefania.
«Ti piace?». Con un sorriso Max mostrò i denti, bianchi come la sua uniforme pulita. «E allora lascio qui». Appoggiò la radiolina su uno scaffale in alto e tornò seduto sul tavolo, con i gomiti sui ginocchi, con le gambe penzoloni e un’espressione divertita, di totale spensieratezza, le guance lisce, ben rasate, dai pomelli arrossati. Stefania avrebbe potuto essere sua madre, ma sembrava sua nonna.
«Stefà adesso sbrigate a sbuccià i gamberoni e metti le cocce lì dentro per la bisque». E le indicò una bacinella grande quanto un catino.
«Va bene». Disse Stefania.
«Lo sai cos’è la bisque?».
«No, cos’è?».
«È un insaporitore per la zuppa di pesce, poi t’insegno».
Stefania non rispose, strappava le zampe, staccava le teste e sfilava i carapaci, velocissima, ma con un ritmo a volte inceppato per l’abitudine di buttare i resti nel cestino in basso e non nella bacinella a destra. Max si accese un’altra sigaretta e tornò sotto la cappa.
Stefania disse: «Domani ho bisogno di uscire un paio d’ore prima, c’ho un impegno di famiglia».
Max fece una nuvola di fumo e rispose: «Domani abbiamo un sacco di cose da fare». E si fece serio.
«Mi posso portare avanti oggi». Disse Stefania, senza fermarsi.
«Non si può, Stefà, mi servi domani».
Stefania stette zitta, accelerò coi gamberoni, e buttò i resti nel cestino in basso.
«Stefà, le cocce mi servono nella bacinella».
Max schiacciò la sigaretta in una latta piena di mozziconi e uscì dalla cucina. Rientrò con in mano un quaderno, una penna e un calice di vino rosso. Sorseggiava il vino, lo faceva roteare, l’odorava e lo osservava in controluce. Spense la radio, si appoggiò al tavolo a scrivere idee per il menu e Stefania zitta lavorava.
In quel silenzio un’altra donna entrò in cucina tutta trafelata, aveva finito la pausa, si riallacciava il grembiule e tornava verso la lavastoviglie. Max la fermò: «Carmen, aiuta Stefania, che siamo in ritardo».
«Carmen, domani ho bisogno di uscire due ore prima, ho un impegno di famiglia, ce la faresti a coprirmi il turno?».
«Stefà, sei tu che decidi adesso?». Disse Max, alzando le labbra umide dal calice vuoto.
Stefania si voltò verso di lui: «C’ho un impegno di famiglia».
«Ce l’abbiamo tutti una famiglia». Disse Max, gonfiando il petto.
Carmen rimase zitta e abbassò subito lo sguardo sul lavoro da fare. Stefania la guardò e poi guardò Max raccolto sul suo quaderno dei menu. Ricominciò a sbucciare i gamberoni, rallentata dal peso della tristezza. Poi, come a volersi scrollare da dosso quel peso, gettò una testa nella bacinella a destra con un gesto brusco, di stizza. Max alzò le sopracciglia e la guardò e lei lo rifece ancora più forte, senza dire nulla, e poi di nuovo, lasciandosi andare, alzando addirittura il braccio per lanciare con più forza le cocce del gamberone, e il suo respiro diventava sempre più affannato. Max uscì dalla cucina. Carmen spaventata guardò Stefania, che aveva il solito sguardo mansueto a causa delle palpebre cascanti, ma sorrideva con un’espressione obliqua e le narici tese.
Anche Stefania uscì dalla cucina, e lo cercò. Si fece avanti tra i tavoli con le sedie messe sopra, nella luce soffusa, con un sottofondo di chitarra flamenco di due musicisti che la guardavano come se avessero visto un topolino, che si sa che nei ristoranti da qualche parte si nascondono, ma ci si stupisce sempre quando escono.
Max era al bancone del bar, vicino a lui sedevano due signori: i fornitori della migliore carne. Dietro al bancone c’era il barman in divisa, che riempiva tre bicchierini di grappa. «Stefà, vuoi bere qualcosa?». Le gridò lo chef, prima che lei lo raggiungesse, con un sorriso così magnanimo da ottenere le risate eleganti dei due uomini d’affari.
«Domani ho bisogno di uscire due ore prima». Disse lei, ferma, accanto a un tavolo. «Ho un impegno di famiglia».
«Va bene. Non c’è problema». E Max si abbarbicò sullo sgabello alto, con le braccia incrociate appoggiate al bancone.
«Stefania, vuoi un caffè?». Chiese il barman.
«Grazie Mario, lo bevo volentieri».
Stefania si gustava il suo caffè, mentre il barman ridacchiava senza un chiaro motivo e lo chef sorrideva gioviale e paonazzo facendo un brindisi a tre con i signori.
Il duo di chitarra flamenco provava gli accordi e Stefania tornò in cucina con un caffè per Carmen.
E si tornò a lavorare.
Copertina originale di Ilaria Salvatori
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Valeria Barbuto nasce a Milano nel 1971. Giovanissima abbandona gli studi di scienze politiche e si trasferisce a Roma per fare l’attrice. Si dedica al teatro e al cabaret per quasi dieci anni e successivamente parte in giro per l’Europa. Studia l’inglese e il francese e lavora nel settore turistico. Rientra in Italia nel 2015 e, dopo una parentesi come cuoca in un ristorante, nel 2019 trova impiego presso il Comune di Milano. Da quattro anni scrive e studia scrittura creativa.
L’ambientazione nella cucina di un ristorante rimanda all’esperienza vissuta dall’autrice; la rappresentazione è fresca, immediata e immerge il lettore nell’atmosfera della cucina professionale (chi scrive ha alle spalle la medesima esperienza di lavoro con chef e aiuto cuochi) che si fa specchio di una realtà allargata, vicina ai tempi e ai modi delle persone qualsiasi, delle eroine di ogni giorno come Stefa’.
Grazie Alessandra della bella osservazione. Si, ho attinto alla mia esperienza, anche se i personaggi e il fatto sono immaginari.
Brava Valeria. Mi piace, un racconto ” secco ” veloce e soprattutto descrittivo. Un modo di scrivere quasi giornalistico dove l’essenza della realtà esce in modo dirompente. La tua giovane età ti porterà lontano. E ora, vista la tua capacità, prova con la fantasia ad essere reale, cioè inventa mantenendo stretto il tuo modo di scrivere, lascia interrogativi, ipotesi, fantasia al lettore. Un grande abbraccio e NON FERMARTI!!!
Mi sono vista alle prese con l’unica bisque della mia vita e molto identificata con Sefa’ che getta le cocce nelle spazzature invece che nella bacinella, mi sono anche identificata con la sua cocciuta insistenza a ottenere il permesso di lavoro, il racconto ha un ritmo incalzante e il contorno è ben delineato e vivo nei dettagli e nei gesti, bella la determinazione di Stefa’, la sua resistenza che alla fine viene mostrata ma non svelata. Ben riuscito!