Vlad trascina i piedi nella salita. Dentro alla busta di plastica che gli ciondola al polso, le lattine di birra tintinnano le une contro le altre. In cima al cavalcavia si ferma, stringe gli occhi e si guarda intorno nella penombra. Scorge Leo seduto al solito posto, sotto il lampione spento, le gambe a penzoloni nel vuoto tra le sbarre del parapetto. La brace della sigaretta fra le labbra gli rischiara la parte inferiore del viso.
«Eccoci!» Vlad scuote la busta contenente le provviste liquide.
Si scambiano un saluto, l’immancabile triplo sfregamento di pugni e gomiti sinistri seguito da un five con la destra di cui nessuno dei due ricorda bene l’origine.
«La tua giornata?»
«Ho visto di meglio, e tu?»
«Lasciamo stare.»
Non ha voglia di spiegare che è uscito di casa inseguito dalle urla di sua madre. Tornare a vivere da lei è stata una pessima idea e la rimpiange ogni giorno, ma quali altre scelte gli restavano?
Si siede accanto all’amico. Le gambe infilate tra le sbarre, i piedi che dondolano. Accende una sigaretta e constata che il pacchetto è quasi finito. Devo andarci piano, pensa. La storia della sua vita.
Non passa nessuno sul cavalcavia pedonale, di sera. È il loro posto preferito. Almeno da quando non possono più permettersi le serate al bar. Avvolti nel buio a guardare le luci delle macchine che sfilano sotto di loro, lasciano scorrere il tempo tra chiacchiere e lanci nel vuoto di cicche e lattine scolate. A volte hanno quasi l’illusione di volare come quei mozziconi. Soprattutto quando hanno bevuto e fumato abbastanza.
«Nadia è incinta. Ha deciso di tenerlo.» La voce di Leo è piatta, la stessa con cui avrebbe annunciato: «Per domani prevedono pioggia.»
Vlad non risponde. Fruga nella busta di plastica, prende due birre e gliene allunga una.
Il braccio destro sulle spalle dell’amico, l’altra mano intenta in frenetiche gesticolazioni, Nico non smette di parlare.
«Ti rendi conto? Tra un mese avrò la patente. Basta autobus, bici, passaggi a destra e sinistra.»
«E la macchina, dove la trovi?»
«Il nonno ha detto che me la regala per il diploma. Questa è l’estate in cui lo facciamo, il nostro giro d’Italia con lo zaino e la chitarra. Da quanto tempo ne parliamo?»
«I tuoi sono ok?»
Nico alza le spalle.
«Ho quasi diciannove anni, decido io. E poi, è da quando sono nato che mi ammorbano con i racconti della loro giovinezza on the road, come la chiamano, di come li ha fatti crescere, scoprire e bla bla bla. Già li vedo ascoltarmi con gli occhi lucidi, quando gliene parlerò.»
Alessio fa una smorfia.
«Che culo! Mio padre ha deciso che anche questa estate la passerò a lavorare nel campeggio di suo cugino. Non si discute.»
Nico si ferma, fissa l’amico e agita le braccia, come volesse scuoterlo.
«Ale, sei maggiorenne! La vita è tua, devi dirlo a tuo padre.»
L’altro distoglie lo sguardo. «Che ne sai tu. Lui non ascolta, ha sempre ragione. Quando c’era mamma era diverso: sapeva come prenderlo, ma adesso…»
Tace. È vero: lui che ne sa?
Alessio scrolla le spalle. «Andiamo, che se arrivo in ritardo, chi lo sente.»
Si rimette in marcia a passo spedito, Nico lo segue.
«Dai, tra un po’ potrò riaccompagnarti in macchina.»
Anna freme dalla voglia di urlare. Dopo tutta la merda ingoiata negli anni, la ruota s’è decisa a girare. È una promozione meritata, lo sa, ma temeva di vedersela ancora passare sotto il naso. Invece stavolta è arrivato il suo turno, finalmente. È così eccitata che le scappa la pipì. O forse sono i due o tre bicchieri di troppo bevuti insieme ai colleghi per festeggiare. Tutti sorrisi e congratulazioni, i colleghi. Ipocriti. Si vedeva che morivano d’invidia, soprattutto Liguori. Di certo pensava che toccasse a lui, che è stato fregato. Anna è sicura che quello stronzo si vendicherà. Mettere in giro voci schifose è una sua specialità.
Dirà che mi scopo il direttore, figuriamoci. E non si faranno pregare per crederci.
Una manica di stronzi. Tranne Lisa, forse. Lei sembra una persona per bene, non l’ha mai sentita parlare male di nessuno, né schivare il lavoro o rubare le idee di un collega. Per questo continuerà a farsi mettere i piedi in testa e non andrà mai da nessuna parte.
«Non come me. Caposettore, cazzo! E a poco più di trent’anni. Questa volta mamma dovrà essere fiera per forza.» Non ci spera davvero, già sa che come al solito finirà per rinfacciarle una delle sue eterne colpe: la laurea fuori corso, la rottura con Andrea che era il genero ideale… Mi ha regalato più corna che mazzi di rose: bel campione, il tuo genero ideale!
È felice di ritrovare la macchina: era così presa dall’euforia che non ricordava più dove avesse parcheggiato. Per fortuna, la lascia sempre nelle stesse tre o quattro strade intorno all’ufficio. D’ora in poi, da caposettore, avrà diritto a un posto auto nel garage riservato ai dirigenti. «Sì, cazzo!»
Ridacchia e stringe le cosce. Ha la vescica talmente piena che potrebbe chinarsi a urinare lì, dietro la Yaris. Si trattiene al pensiero che uno dei colleghi sia ancora nei paraggi e la veda. Finisce che oltre a scoparmi il boss divento anche la barbona che piscia sui marciapiedi.
Si siede al posto di guida e contrae i muscoli del perineo. Per fortuna, a quest’ora non c’è traffico e sarà a casa in poco più di venti minuti.
Alessio digita il codice del portone.
«Ci sentiamo domani.»
«Dai Ale, prova a parlare con tuo padre per quest’estate… se ti butta fuori di casa, potrai sempre dormire nella mia macchina nuova.»
L’amico risponde alzando il dito medio, ride e s’infila dentro il palazzo.
Nico volta le spalle e s’incammina saltellando. Pensa che deve sembrare scemo, o un po’ fatto, con quel sorriso stampato in faccia mentre cammina come se non toccasse terra. Ma è così eccitante sapersi adulto, il mondo a portata di mano. A portata di ruote. Ancora qualche mese.
Mima un passo di danza, fa una corsetta, poi esegue un tiro a canestro virtuale. Il futuro che lo aspetta è una serie di lanci da tre punti, non ha dubbi. Si accorge di stare in mezzo alla strada. Il traffico è poco, ma meglio evitare rischi inutili. Soprattutto se «vesti sempre di nero come un becchino o un ladro d’appartamenti» come ripete sua madre. Risale sul marciapiedi con un saltello. Tra un po’ non dovrà più porsi il problema: basta scarpinare, solo quattro ruote.
Leo guarda l’ora: dovrebbe rincasare, Nadia di sicuro lo sta aspettando. Sbuffa. Non ha voglia di sentire nuovi rimproveri e minacce. «Dove pensi che andiamo così? Guardati, guarda come vivi. Come lo vuoi crescere un bambino se il primo a non voler crescere sei tu?»
Neanche l’avesse deciso lui di fare un figlio. È stanco di sentirsi sempre rinfacciare tutto, rimpiange i primi tempi, quando ridevano e facevano l’amore senza parlare di futuro, di responsabilità. Senza parlare e basta.
Fruga nella giacca: l’ultimo tocchetto di fumo. L’ultimo per parecchio tempo, ormai Nadia gli conta i soldi in tasca.
Lo tiene delicatamente tra indice e pollice e lo mostra a Vlad: «Hai le cartine?»
L’altro sorride, gli passa una Rizla+ ed estrae uno dei filtri riposti con cura nel pacchetto di sigarette quasi vuoto. Che pace, quelle serate sotto il lampione spento. Le ore passate con Leo sono le più belle della giornata. Anche quando non fanno nulla, non parlano di nulla, come adesso. Leo è il suo migliore amico. Forse di più. Forse ciò che prova per lui va oltre l’amicizia, ma non glielo dirà mai, non lo confessa fino in fondo neanche a sé stesso. Guarda le sue dita scure che rollano la canna e sorride.
Anna sbadiglia. Non avrebbe dovuto bere così tanto, è in piedi da prima delle sei e a pranzo ha mangiato solo un pacchetto di crackers a causa di una call troppo lunga. Per fortuna conosce la strada a memoria. Tra non molto sarà a casa e potrà buttarsi sul letto vestita. Dopo aver pisciato, però. Non vede l’ora. Le bruciano gli occhi. Sbatte le palpebre ancora e ancora per inumidirli. Accende la radio, ha bisogno di musica carica che la svegli.
You’re simply the best… «Perfetto! Hai ragione, Tina, hai ragione, sono la migliore.» Ride e unisce la sua voce a quella di Tina Turner. Anche la radio le fa festa. Oggi è la giornata di Anna, il suo trionfo. Vuole assaporarlo tutto, prima di tuffarsi sul letto stapperà una bottiglia di bianco. Se lo merita, un altro brindisi.
Nico è a meno di un chilometro da casa, ma non ha voglia di rientrare, ha troppa energia addosso. La schiena appoggiata a un lampione, prende il telefono e manda un Whatsapp a Gaia.
Che fai?
Dormo, risponde lei con un emoji che fa l’occhiolino.
E mi rispondi dormendo?
Forse stai sognando. Lo so che sogni di me.
Ride. Gli piace Gaia, gli piace un sacco. Però non vuole che diventi una storia seria, non ha tempo adesso: l’unica priorità è il viaggio estivo, lui, Alessio e la chitarra. Rifiuta di farsi distrarre. Anche se Gaia è geniale. E ha un culo da urlo.
Finite le pubblicità, la radio passa una pallosissima canzone melodica. Anna sbadiglia e pensa che dovrebbe cercare un’altra stazione. Forse anche aprire il finestrino per far entrare l’aria fresca. Si massaggia il collo e sbadiglia di nuovo. Con il dito sfiora il pulsante per cambiare frequenza, insiste, cambia ancora, ma sembra che i deejay si siano messi tutti d’accordo per passare solo musica lagnosa.
Il bip della macchina le urla che ha attraversato la striscia bianca. Non s’era nemmeno accorta d’aver chiuso gli occhi. Cazzo! Li riapre mentre il terrapieno centrale della rotonda le viene addosso a tutta velocità. Frena e sterza, ma la gomma impatta il cordolo. La macchina devia quasi ad angolo retto. Anna cerca di riprendere il controllo, ma va tutto troppo veloce. Il lampione, oddio vado a sbattere nel lampione!
I pollici di Nico corrono sul telefono, come la sua immaginazione. Nella sua testa non è sul marciapiedi, ma nella stanza di Gaia insieme a lei.
Sto sognando? Allora posso chiederti quello che voglio… cos’hai addosso?
Spera che risponda con una foto. Magari un video. E se andasse davvero da lei? Mica vuole intrufolarsi in camera dalla finestra come nei film americani, Gaia potrebbe scendere, non è così tardi, andare con lui a fare due passi, chiacchierare, appartarsi al parchetto…
È il rumore a riportarlo alla realtà: un motore troppo veloce, l’urlo dei freni, lo schianto, le ruote che slittano. Si volta e dell’auto che gli si getta addosso nota solo i due fari. Enormi. Merda! È un attimo, non ha quasi il tempo d’avere paura. Il nostro viaggio, pensa.
Anna grida mentre l’airbag la schiaccia contro il sedile. Il muso della macchina si è accartocciato contro il muro. C’era qualcuno appoggiato al lampione. Cazzo, ho preso qualcuno! L’umidità le morde l’interno delle cosce. Si è fatta pipì addosso.
Leo aspira a lungo l’ultima boccata dalla sigaretta e lancia il mozzicone dal parapetto. La brace brilla come una minuscola stella cadente prima di sparire nel buio.
«Un’altra birra?» propone Vlad.
Gli stridii eccitati delle sirene coprono la risposta. I due amici guardano sfilare tra i loro piedi i lampeggianti di due ambulanze e una macchina della polizia.
«Scommetto che è per lo schianto che abbiamo sentito. Te l’avevo detto che era qualcosa di grosso. Andiamo a vedere?»
Leo scuote la testa. «Un incidente, sai che roba. Manco fosse una rarità. Vado a casa che poi Nadia si mette in ansia. E me la fa pagare. Facciamo un tratto insieme?»
Vlad raccoglie la busta con le birre rimaste e lo segue anche se non ha voglia di rientrare. Sua madre di sicuro lo aspetta sveglia per ricominciare a urlare. Deve riuscire a rabbonirla, almeno per un po’. Un regalino? Al bazar dove ha preso le lattine c’era una di quelle maschere veneziane per cui va matta, una cinesata squallida, mica una vera, forse non è neanche vetro, ma a lei farà piacere. Domani andrà a comprarla uscendo dal lavoro. Gli restano ancora venti euro, può ben usarne tre per sua madre. Tanto più che, in origine, li ha rubati dal suo borsellino.
«E se quella birra la bevessimo in cammino?»
«Mi leggi nel pensiero, fratello.»
Copertina originale di Marina Mongiovì



