Il sorriso di Lucia Francesca Riscaio

Il sorriso di Lucia

«Ti lascio, Lucia, ma puoi ancora rifarti una vita. Troverai chi ti renderà felice, come è accaduto a me, e, con il tempo, capirai che la separazione era la soluzione migliore per entrambi.»
Imbambolata Lucia fissava una sé poco definita, intrappolata nel riflesso di una scintillante vetrina addobbata a festa. Le ultime parole di Bruno, prima di andarsene, non smettevano di riecheggiarle nella mente. L’immagine dentro al vetro aveva guance arrossate dal freddo e lacrime copiose scorrevano lungo un volto triste. “Da quanto sto piangendo?” si chiese sorpresa, mentre riemergeva dai suoi torvi pensieri. Non lo sapeva. Portò una mano inguantata in calda lana rossa al viso riflesso, per carezzarlo e asciugare le lacrime, poi realizzò l’insensatezza del gesto, si ritrasse come se si fosse scottata. Si asciugò invece le lacrime vere, guardandosi intorno circospetta, sperando che nessuno le avesse notate. Ma il mondo non percepiva la sua presenza. Chi poteva notare i suoi occhi lucidi, la tristezza, il pianto, tutti presi com’erano dagli ultimi acquisti natalizi, tutti persi nei loro di pensieri? Voltò le spalle alla rappresentazione di sé, che dalla vetrina sembrava aspettarsi qualcosa, con fare stizzito, quasi rabbioso, e riprese il vagabondare senza meta.
Lucia non aveva regali da fare: i suoi unici parenti erano due zie e qualche cugino e, a parte le telefonate di rito per le feste, non avevano rapporti.
“È l’antivigilia e io sono sola. Ne devo prendere atto.”
Zigzagò tra le affollate strade del centro, evitando passanti accalcati e frettolosi. Non riusciva a registrare un viso, in quel via vai frenetico, non un bambino capace di suscitare in lei un sentimento di tenerezza o un uomo che l’attraesse minimamente né una donna per la quale provasse un poco di simpatia. Lucia si sentiva svuotata come un tubetto accartocciato, privata di emozioni positive, incapace di sperare che un giorno sarebbe stata in grado di provarne ancora. Solo il dolore sentiva, lo stordimento, il senso di vuoto.
La separazione da Bruno l’aveva distrutta.
Evitò a fatica una chiassosa famiglia che si muoveva a cordone, madre, padre e tra loro due bimbi piccoli tenuti per mano. Provò fastidio. “Perché non stanno attenti? Mica sono soli per la strada!” pensò innervosita. Si fermò. Non avevano nessuna colpa. Lucia lo sapeva.
Bruno l’aveva lasciata l’Immacolata.
«Hai l’amante?» aveva chiesto lei, la sera della Madonna, mentre cenavano insieme nella sala da pranzo, che a Lucia era parsa enorme tanto erano distanti l’una dall’altro. Bruno era stato distaccato negli ultimi tempi. Tra le ipotesi considerate, Lucia aveva affrontato per prima quella del tradimento, reputandola la più improbabile ma non impossibile.
Bruno, a bocca aperta, la forchetta sospesa a mezz’aria, l’aveva fissata allibito. Dopo qualche secondo, aveva appoggiato la posata, si era pulito con il tovagliolo, si era schiarito la voce e aveva esordito: «Avrei affrontato l’argomento dopo le feste, ma visto che sei tu a tirarlo fuori… non ha senso aspettare. Michela non è la mia amante, ci vediamo da quasi un anno, ormai… con lei ho trovato ciò che mi mancava con te… certo non per colpa tua… ma, ammettiamolo Lucia, siamo stanchi tutti e due. Non funziona da parecchio. Sto pensando di chiedere a Michela di sposarmi: aspetta un figlio.»
Lucia si era sentita mancare. Aveva cercato di alzarsi in piedi, ma non ce l’aveva fatta. Era pesantemente ricaduta sulla sedia. E, senza rendersi conto, aveva cominciato a piangere. Bruno aveva continuato a parlare, con imbarazzo crescente, cercando di giustificarsi, snocciolando ragioni, ma lei non lo aveva più sentito.
“Perché non ti arrabbi?” si era detta “Perché non ribatti e non lo prendi a sberle? Perché non fai qualcosa? Qualsiasi cosa, dannazione!”
Era rimasta immobile, nemmeno sapeva quanto. Si era sentita annullata. Quando Bruno aveva finito di elencare le sue giuste e legittime motivazioni, si era ritirato in camera. Se ne era andato la mattina dopo, prendendo tutto ciò che era riuscito a far entrare in due valige, le medesime portate con sé il giorno in cui era entrato in quella casa. Aveva restituito le chiavi e pronunciato quell’ultima frase: «Ti lascio, Lucia, ma puoi ancora rifarti una vita. Troverai chi ti renderà felice, come è accaduto a me, e, con il tempo, capirai che la separazione era la soluzione migliore per entrambi.»
Guardò l’ora: le 18 e 37. Presto le strade si sarebbero svuotate, le luminarie avrebbero innalzato i loro allegri saluti di luce solo per i vicoli del centro. Non aveva alcuna voglia di rientrare a casa. Di solito, lei e Bruno facevano l’albero e il presepe l’8 e passavano il 23 e il 24 a organizzare e preparare il menu natalizio. Questa volta nessun albero né presepe l’attendevano. Bruno non aveva voluto tirare fuori gli addobbi. Era stato inquieto la giornata dell’Immacolata.
Quanto era stata stupida!
Non si erano sposati. Lui aveva sempre considerato il matrimonio una cosa senza senso, un contratto che avviliva un sentimento reale. «L’amore» ripeteva in continuazione «non ha bisogno di riconoscimenti sociali!»
Ma, i figli, quelli avevano provato ad averne. E, nonostante non vi fossero motivi biologici perché ciò non accadesse, non erano riusciti a provare la gioia di diventare genitori.
Si sentiva umiliata, Lucia. Quindi era stata solo questo per Bruno? Il mezzo tramite il quale replicare se stesso e sopravvivere al tempo? Non all’inizio forse, ma da quanto aveva iniziato a considerarla nient’altro che un grembo al quale affidare un erede? Sì, per un po’ l’aveva amata, ma, adesso, dolorosamente, realizzava che, da un certo punto in poi, l’unica cosa che gli era interessata di lei era stato sapere se fosse rimasta incinta. Ancora pensò alla propria stupidità. Come aveva fatto a non capire? Scartò rabbiosa un gruppo di ragazzi, sparpagliati a ridosso di una paninoteca, e si trovò nel corso principale. Continuò ad avanzare a testa bassa tra la gente. Non la voleva vedere quell’allegria, o qualsiasi cosa animasse le altre persone.
Aveva fatto del proprio meglio per adeguarsi a Bruno, fino a modificare molte abitudini e modi d’essere, le era sembrato naturale, ragionevoli compromessi della vita di coppia. Si era adeguata talmente tanto a lui da far fatica ora a ricordare chi fosse stata prima di Bruno. E per cosa? Non doveva ragionare in quei termini, lo sapeva, non si potevano chiedere garanzie in amore: era stata una sua scelta adeguarsi a lui; così avrebbe solo sofferto maggiormente, ma non riusciva a bloccare il flusso dei suoi mesti pensieri. Non si era aspettata tanto in cambio, ma il rispetto riteneva le fosse stato dovuto, unito a un comportamento responsabile. Invece aveva dovuto scoprire che Bruno aveva un’amante il cui stato era mutato in futura moglie perché in dolce attesa. Se questa Michela non fosse rimasta incinta, Bruno l’avrebbe mai lasciata o avrebbe continuato a tradirla, temporeggiando, in modo vigliacco, fino a essere scoperto? A Lucia sembrò di impazzire, il cuore le martellava in petto, quasi volesse squarciare la carne e uscire, e i pensieri le facevano pulsare le tempie. Si dovette fermare, stringendo forte i pugni e mordendosi un labbro per non gridare, piangere e ridere istericamente insieme. In fondo, se fosse impazzita, forse avrebbe smesso di sentire tutto il male rimastole dentro dopo la separazione. Per un attimo le sembrò davvero di non sentire più niente. Vacillò e, presa da una paura immotivata, aprì gli occhi di scatto e si guardò intorno. I passanti si erano diradati, gli ultimi rimasti si affrettavano inquieti. Il corso si mostrava nella maestosità dei suoi palazzi signorili: con il vestito buono addosso, quello delle feste, piazza Grande era veramente grande e meravigliosa. L’immenso albero di Natale di metallo e luci domava l’oscurità, tenendola a bada in angoli remoti, con scudisci di luminarie che dalla cima partivano e si diramavano a raggiera verso le strade, insinuandosi attraverso il centro storico. Lucia ebbe la sensazione di essersi svegliata in un sogno, un sogno bello che aveva sempre atteso lei. Immersa in quel nuovo sentire, si accorse del Babbo Natale immobile a uno degli angoli della piazza. “Che strano” pensò “Non avevo mai visto una statua vivente di Babbo Natale!”
In modo impulsivo, si mosse verso di lui. Si sorprese di una reazione tanto infantile e, nonostante comprendesse fosse stupido, percepì il bisogno di aggrapparsi a tale sciocchezza, per non soccombere al proprio dolore. Affrettò l’andatura fino a trovarsi a meno di un metro da Babbo Natale, dove si fermò intimorita: era perfetto. Lucia non poteva capacitarsi di come l’artista fosse riuscito a interpretare così realisticamente il magico vegliardo. Lo fissò a lungo per coglierlo in fallo, ma niente, non cedeva di un soffio. Gli sorrise senza motivo in una piazza ormai vuota. Allungò la mano per toccarlo, dubitando che fosse vero, e gli sfiorò la guancia… “È reale!” Lucia si scostò stupita. Nemmeno toccandolo Babbo Natale si era spostato, seppure le fosse parso di cogliere un lieve sorriso, appena accennato ai margini della bocca. Quell’artista era un maestro, pensò impressionata. Di nuovo sorrise felice. “È strano… Fino a poco fa, ero annientata dal dolore e ora sono contenta per una cosa tanto scema! Forse sono davvero impazzita…”
Ma l’ultima considerazione le parve irrilevante. Voleva solo godersi il momento di pace. Alla follia avrebbe pensato in seguito. In uno slancio vitale si tolse la sciarpa e l’avviluppò intorno al collo del grande vecchio. Poi notò il cestino di vimini ai suoi piedi. Senza nemmeno riflettere, raccolse una manciata di monete dal fondo della borsa e la mise nel minuto cesto, pronta ad andarsene. Improvvisamente l’artista si mosse: da chissà dove estrasse un messaggio arrotolato e sigillato con un bel nastrino dorato. Lucia esitò, infine prese il biglietto. Imbarazzata si voltò e se ne andò. Mentre camminava, aprì il foglio, scritto in bella calligrafia su una piccola pergamena, e lesse:

XLV
Se si tratta (il vaso) più perfetto come fosse incrinato, esso non si rovina con l’uso.
Se si tratta il vaso più pieno come se fosse vuoto, esso non si esaurisce con l’uso.
Il più dritto, consideralo come contorto; il più abile, come maldestro; il più eloquente come un balbuziente.
Se il pestare i piedi vince il freddo, la tranquillità vince il caldo.
La purezza e la tranquillità sono la regola del mondo.
Tao tê ching

Lucia rimase allibita. “Che roba è? E che significa?”
Rise. “Be’, proprio una gran fregatura!”
Si girò verso l’artista di strada per salutarlo e magari indirizzargli una linguaccia: se l’era meritata il simpaticone! Ma non lo vide. Doveva essersene andato appena lei aveva voltato le spalle. Rilesse le oscure parole. Avrebbe dovuto cercare qualcuno in grado di spiegargliele. Ripose con attenzione il messaggio e il nastro dorato dentro la borsa: quello era l’unico regalo natalizio che avrebbe ricevuto, doveva trattarlo con cura. Sorrise divertita al pensiero. Poi, realizzò. Alzò la testa al cielo e morbidi fiocchi di neve le carezzarono il volto.
«Nevica!» esclamò a voce alta senza rendersene conto.
“Che meraviglia!” constatò e immotivatamente e improvvisamente fu pervasa da un assoluto senso di spensieratezza, come se tutti i nodi del suo spirito fossero stati sciolti. Ne fu certa. Ce l’avrebbe fatta. Anche senza Bruno. Alla fine gli doveva dare persino ragione, la separazione era stata la cosa migliore: non avrebbe avuto alcun senso avere al proprio fianco qualcuno che l’avrebbe trattata sempre con maggior freddezza, fagocitando il suo tempo, le sue speranze, la sua forza vitale, per rompere comunque con lei. Poteva biasimarlo per averle mentito e averla tradita, ma non per aver avuto il buon gusto di lasciarla e smettere di ingannarla. Piano, piano si sarebbe ritrovata, superando il trauma dell’abbandono. Intanto sapeva cosa avrebbe fatto la vigilia: aveva un albero e un presepe da preparare e un regalo da comperarsi. Perché non concedersi qualche spesa solo per sé? In fondo, da molto, non lo faceva più. Con questi piccoli progetti nel cuore e un senso di leggerezza tale da farle pensare di essere divenuta un fiocco di neve, Lucia roteò su se stessa sorridendo.
Nell’impulso infantile urtò qualcuno. Si ricompose e guardò il malcapitato.
Bruno.
Era accompagnato da una donna curata e ben vestita. Anche lui aveva un aspetto molto ordinato ed elegante. Li guardò scossa e impacciata. Un silenzio pesante incombeva.
Lucia quasi scoppiò a piangere ma, cercando di controllare il respiro, abbassò lo sguardo. Lo spostò verso la piazza, l’albero di Natale, di metallo e luce, e l’angolo dove c’era stato il suo personale Babbo Natale. Sforzandosi riuscì a sorridere di un sorriso sincero, tornò a guardare Bruno e la compagna e con cortesia disse: «Scusatemi, ero sovrappensiero.» Quindi aggiunse: «Addio.»
Si voltò, andandosene e portandosi via il suo sorriso.
«Ma quella non era la tua ex?» chiese incredula Michela. «Da quello che mi avevi raccontato me la immaginavo chiusa in casa a struggersi dal dolore per la separazione!» aggiunse in tono stranito.
«Già…» rispose in un sussurro Bruno, mentre, immobile, fissava Lucia allontanarsi.
«Be’, che fai lì impalato? Andiamo, è tardi! I miei ci aspettavano mezz’ora fa!» lo esortò spazientita Michela e si mosse.
Bruno rimaneva al suo posto, come se il freddo lo avesse paralizzato. Dopo poco, udendo i tacchi di Michela scomparire, si scosse, affrettandosi per raggiungerla e guardandosi indietro un’ultima volta. All’improvviso si sentì solo e vuoto come non gli era mai successo prima.

Fotografia di Magale (Flickr)

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