Le scarpe ormai
sono troppo piccole –
tutto sboccerà
Ogni tanto fa un risucchio per gustare appieno il lecca-lecca arancione. Se ne sta seduto sul gradino mezzo in ombra e scaccia inutilmente le mosche con la manina appiccicosa. Lo guardo di sfuggita mentre sistemo i fiori nuovi: ha i sandali di una misura troppo piccola e le dita dei piedi si affacciano al margine della suola.
La madre, come me intenta a prendersi cura di chissà chi, toglie la polvere dal piccolo davanzale con un fazzoletto di carta che ha inumidito alla fontanella, poi sistema un mazzetto multicolore nel vaso. Appena ha finito si allontana dalla parete ormai in ombra a guardare in silenzio quei riquadri freddi, più o meno accuditi. Mentre mi avvicino a pochi passi da lei, con il mio vaso colmo di acqua fresca e rose appena sbocciate, la vedo aggrottare la fronte, seguendo con gli occhi tutte le file dall’alto in basso, un po’ smarrita. Dice qualcosa in una lingua veloce al bambino, che annuisce serio, e poi si allontana, incerta sulla direzione da prendere.
Lui si avvicina a toccare con il dito i bordi della foto e i petali dei fiori, sempre tenendo il lecca-lecca con l’altra mano. Mi guarda di lato, mentre tolgo la polvere dal piccolo davanzale con un fazzoletto di carta che ho inumidito alla fontanella. Ho anche il prodotto per il marmo chiaro e, mentre mi accingo alla lucidatura, il bambino si gira verso me.
– È il tuo papà?
– Sì, proprio lui, – rivolgendogli un sorriso da adulta, non richiesto.
– Però anche tu sei vecchia.
L’osservazione rimane a galleggiare tra noi, senza che io riesca a trovare una risposta adeguata. Lui sta lì, riccioli fitti, occhi grandi e una mosca sulla mano.
– Anche lui è il tuo papà? – riesco a ribattere
Annuisce.
– Così dice la mamma, ma io non l’ho visto. È arrivato qui da poco tempo.
Annuisco anche io, occupandomi della cornice d’ottone attorno alla foto. Lui succhia il lecca-lecca come se volesse finirlo in una volta sola.
– C’è davvero lui lì? Non so se la mamma è sicura, ma lei dice di sì. Però non piange mai.
Alza la testa verso di me.
– Beh, penso di sì, che sia proprio lui, se la mamma ti ha detto così, lei lo sa senz’altro, non credi?
– È che c’era tanto buio sempre e freddo, e io vedevo solo gli occhi e non le facce. Sembravano tutti uguali seduti sul bordo, anche se lui quella volta non c’era. Tu hai pianto?
– Eh sì, quando è morto il mio papà ho pianto, anche se era molto vecchio. Siete arrivati dal mare?
– Mmm, sì.
Si guarda i piedi.
– E il tuo papà non era con voi?
– No, anzi prima sì, poi, quando io e la mamma eravamo già seduti sul fondo, gli uomini cattivi hanno iniziato a picchiare il mio papà perché volevano altri soldi e la barca è partita e lui è dovuto restare lì per molto tempo. Adesso stava proprio per arrivare, secondo la mamma.
– Oh, mi dispiace tanto, ti mancherà.
Sposto il peso da un piede all’altro e inizio a sudare.
– Un po’ me lo ricordo, se guardo la foto.
Passo a occuparmi del lumino. Tolgo la protezione di vetro intagliato a forma di fiammella che per poco mi scivola tra le mani, e inizio a lustrarla cercando di concentrarmi sulla polvere tra le sfaccettature. La piccola luce si riflette e si amplifica sulla parete in ombra, senza più costrizioni.
– Secondo te hanno freddo? – chiede con le guance rientrate e la bocca che aspira l’aria.
Lo guardo negli occhi per un istante.
– No, ormai non hanno mai freddo, me lo ha detto la mia mamma tanto tempo fa, e le mamme queste cose le sanno sempre.
– È vero, anche la mia sa sempre tutto, proprio come la tua.
Sorride soddisfatto e mi sfiora una gamba con la mano, come a scacciare una mosca.
Ci voltiamo entrambi al rumore dei passi della madre di ritorno con uno dei rari guardiani decrepiti che si aggirano per quei vialetti sassosi, mostrandogli la parete con il viso contratto.
– Vedi, solo il mio è spento. Perché non c’è la luce come per tutti gli altri? Così la notte rimane al buio!
– Eh signò, che le devo dire? L’ha fatto il contratto?
– Come contratto? Perché?
– Perché funziona che la luce è predisposta, mi capisce? La luce arriva, ma solo se lei paga l’utenza, me sò spiegato?
– L’utenza… ma come utenza di che?
– Come la luce de casa, la deve pagare lei, se la vuole.
– Ah, se la voglio… ho capito, non sapevo, scusami.
– Non c’è di che, tesò. Passa all’ufficio che ti spiegano tutto gli impiegati.
La donna prende il bambino tirandolo per la manina e si avvia veloce verso l’uscita, lui si volta ancora una volta a guardare me e i fiori colorati, poi butta il bastoncino del lecca-lecca nel cassonetto prima di sparire al di là del muro.
Foto di copertina di Marina Cerquetti.
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Monica Pace è nata a Firenze e vive a Roma dove fa la ricercatrice. Alcuni suoi racconti sono apparsi su Vie di fuga e EquiVoci, ebook a cura di «Cattedrale» e della Scuola del Libro, e su Retabloid, Spazinclusi, Hook magazine, Nazione Indiana, inutile e Narrandom. Partecipa come autrice aggiunta al collettivo Spazinclusi.