Il bambino palloncino

Il bambino palloncino

Racconto di Francesca Addei

Una volta Aisha aveva sentito raccontare la storia di una donna come lei, che era uscita per comprare il pane e quando era tornata a casa aveva trovato i suoi bambini trasformati in polvere.
“Sarà sicuramente una leggenda, una di quelle voci messe in giro per impedirci di uscire di casa. Non ci crederò mai”, diceva a se stessa e a sua sorella che, come sempre, l’ascoltava senza parlare.
Continuava a pensarci, lo faceva ogni volta che lasciava il suo bambino a casa qualche minuto per correre a comprare pane e frutta.
“Sarà stato uno sciocco incantesimo”, Aisha infatti si era convinta che quei bambini di polvere, con un po’ di acqua tiepida sarebbero tornati a essere morbidi come argilla e che le mani capaci della loro madre li avrebbero impastati, donandogli di nuovo la forma che avevano un attimo prima di scomparire.
La immaginava mentre avvicinava la bocca alla loro e gli soffiava dentro aria calda, poi li osservava paziente mentre pian piano tornavano ad essere quei corpi piccoli pronti a riempire le stanze e a prendersi le strade, a litigare per l’altalena. “Ciao mamma torniamo per cena.”

Aisha chiudeva gli occhi e fingeva di essere come quella donna: forte, risoluta, con una soluzione sempre pronta. “Di certo saprà come fare perché era la loro mamma” si ripeteva. Del resto, aveva dato forma ai suoi bambini tenendoli a mollo nella pancia mentre nel frattempo correva, scappava, si nascondeva, ogni tanto rideva e aspettava il marito dagli occhi sorridenti, quello che un giorno non sarebbe tornato più.
Quando l’avvertirono la donna era con le mani a mollo a lavare le lenzuola, circondata da bambini. “Devi andare”, le disse il fratello e lei capì subito. Fu così che, per salutare ciò che era rimasto del suo giovane amore, attraverso il villaggio e le montagne, fino a che non si inginocchiò davanti alle macerie di una casa e lì si mise a parlare piano attraverso il cemento che fumava e che aveva tappato le orecchie dell’uomo, che se ne stava ad ascoltare gli spari in lontananza e a domandarsi come potesse essere ancora vivo.

Poi arrivò un giorno diverso da tutti, che non sarebbe mai stato uguale a quelli dopo. Aisha uscì come sempre al mattino ma quella volta trovò la fila allo spaccio, dovette persino discutere con una donna anziana che voleva passarle davanti: “mi spiace, signora, lei avrà anche la fatica nelle gambe ma io ce l’ho nel cuore, aumenta ogni minuto in più che passo lontana dal mio bambino”. Quell’anziana la insultò con parole incastrate in mezzo ai denti ma a lei non importò nulla, non aveva tempo nemmeno per la rabbia.

Fu la prima volta dopo molto tempo che tornando verso casa non pensò alla donna e ai suoi bambini di polvere. Guardando in lontananza le vie dove vivevano i suoi vicini, pensò invece al tè dolce che avrebbe preparato nel pomeriggio, a suo figlio che stava iniziando a camminare in quel modo goffo che la faceva ridere, alla sua testolina tonda e liscia e a suo marito, da cui, la notte che stava per arrivare si sarebbe fatta stringere tra le braccia per sognare insieme un bagno in mare, magari nudi.

Poi voltò l’angolo e venne travolta dal fumo, il terrore della gente iniziò a correrle incontro, fu travolta dalle espressioni di visi che non riusciva a riconoscere. In lontananza sua sorella che teneva un fagotto di stoffa tra le mani. “Ma che fai lì?” pensò “stanno correndo tutti, dobbiamo correre anche noi, lascia quell’ammasso di stoffa ne troveremo altra sul nostro cammino”. Le corse incontro senza capire niente e poi vide che quel mucchio di stoffa che aveva tra le braccia erano i vestiti del suo bambino, glieli tolse di mano risoluta “ma che fai coi vestiti del bambino, lasciali, lui dove sta? Era nel suo lettino, anzi no era a giocare con l’acqua in cortile. Dobbiamo andare subito da lui.”
La sorella, dolore muto che non troverà mai più parole, la guardava immobile e fu allora che lei sentì il calore vivo dei vestitini che teneva tra le braccia, così li strinse a sé e capì che quella era una gamba. Vide la scarpa, una sola.

Aisha iniziò a urlare stringendo il corpo del suo bambino palloncino, la testa era scomparsa e anche cercando tra le nuvole non riuscì a scorgerla più.
Così urlò per ore, giorni e poi settimane, non smise di farlo anche mentre la portarono in salvo, lontano da tutto. Aisha continuò a urlare rompendo i cristalli e crepando le montagne, senza mai più smettere.

Copertina di Clopine Malausséne

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Francesca Addei nasce a Roma e vive a Berlino dal 2013.
Non ama descriversi, né parlare di sé in terza persona, questo le rende complicato scrivere un’autobiografia.
La sua psicologa ultimamente le ha fatto stilare una lista dei traumi e ne ha contati dieci.

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Lucia Colombo in arte Clopine Malausséne, anno domini 1987, ex fuori corso di Brera mai laureata. Fotografa, illustratrice e tutto fare a vostra disposizione.

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