La vista da dietro le quinte toglie il respiro. Gli spettatori sono tutti seduti, in silenzio, intenti a guardare verso il palcoscenico. Qualcuno sbadiglia, una manciata di persone controlla il telefono e alcune parlottano fra loro, ma tutti gli altri guardano. Saranno qualche centinaia di occhi. Facciamo tre centinaia, non è un teatro di quelli grandi. Tutti a puntare il palco, sbattendo di rado le ciglia. Occhi curiosi, occhi interrogativi, a volte annoiati, pesanti, ma soprattutto occhi che scrutano, in attesa. Attesa della scena successiva, alla ricerca di ogni sfumatura da analizzare, nel morboso tentativo di capire. E giudicare.
La ghirlanda e la veste avvelenata sono già state spedite alla sposa di Giasone. La bionda che interpreta Glauce si sta contorcendo nel dolore e nel fuoco, mentre il messaggero narra l’accaduto al cospetto di tutti quegli occhi attenti. Io sto qui, in attesa del mio momento finale, nascosta dalle quinte. Aspetto il mio trionfo: la vittoria di Medea.
Il giorno in cui mi assegnarono la parte decretò la mia rinascita: finalmente una donna forte, appassionata, con cui avrei potuto esprimere tutta me stessa, fino in fondo. Medea mi restituì alla vita: uscii dal baratro di sconforto dei mesi precedenti e sentii di nuovo fluire le energie di cui ero ormai prosciugata. Passavo sempre meno tempo a letto: il pensiero di dover imparare nuove battute mi spingeva ad abbandonare il sudario in cui mi ero avvolta fino a quel momento. Memorizzai il copione in pochissimi giorni. Quando non ero in teatro, ripetevo la parte davanti allo specchio della mia camera, tra un turno di lavoro e l’altro, prima che i bambini tornassero da scuola. Nei momenti in cui Flavia e Andrea erano dal padre, o dai nonni, indossavo i costumi di scena e mi esercitavo. Volevo essere perfetta. Presi l’abitudine di indossare gli abiti di scena ogni volta che ero in casa e a forza di provare, per comodità, imparai anche le parti degli altri: rendeva più facile interpretare la mia. Quell’antica donna diventò la mia migliore amica, mi sembrava di poterle raccontare tutti i miei dubbi quando allo specchio scorgevo la sua immagine su di me. Mi calzava come una seconda pelle.
Sono state settimane meravigliose. Anche Flavia e Andrea si accorsero del cambiamento. Da quando eravamo rimasti in tre avevano accettato le mie continue distrazioni, le lunghe attese fuori scuola, le cene bruciate e i cartoni di pizza accatastati in ogni angolo della cucina, ma adesso intuivano che nei miei pensieri c’era un’energia nuova: ora mi sentivano ridere e volevano sapere il motivo. Una sera interpretai qualche scena per loro: rimasero senza parole. Fecero un applauso lunghissimo, mi abbracciarono forte ed elessero Medea il personaggio più bello che avessi interpretato.
“Possiamo venire a vederti in teatro, mamma?” chiese Flavia.
“Beh… non è proprio uno spettacolo per bambini, tesoro…”
“Ti prego!” implorarono in coro.
Il loro entusiasmo mi colpì e mi fece commuovere. Volevano essermi accanto nel momento del successo, vedermi calcare la scena e sentirmi acclamare a gran voce, assistere al mio trionfo. Come avevo potuto pensare che ce l’avrei fatta senza di loro?
“Va bene… Forse vi posso portare dietro le quinte” li accontentai “ma sarà il nostro piccolo segreto, d’accordo?”
Le fiamme che avvolgono il corpo di Glauce si stanno spegnendo e Giasone dall’altra parte delle quinte si appresta a entrare. Stringo forte le mani sulle spalle di Flavia e Andrea, mentre si voltano e mi sorridono. Sanno che sta arrivando il mio momento. Hanno assistito a tutto lo spettacolo da qui, facendomi mille domande.
“Perché Medea è così arrabbiata?” ha chiesto Andrea.
“Perché Giasone l’ha ripudiata”
“Che significa, mamma?” ha domandato Flavia.
“Che non l’ha voluta più con sé, l’ha lasciata.”
“E perché?” ha insistito lei.
“Perché si è innamorato di Glauce, o almeno così dice, e l’ha abbandonata per sempre.”
“Come ha fatto papà?” mi ha chiesto Flavia, guardandomi negli occhi.
“Sì” le ho risposto dopo un attimo di silenzio “proprio come papà.”
“Però papà dice che a me non mi lascerà mai” aggiunse Flavia con orgoglio. Mi irrigidii.
“Che stupido” ha detto Andrea dopo qualche minuto, facendomi sorgere un sorriso di gratitudine. “Poteva prenderle anche i bambini” ha aggiunto.
L’ho tirato a me e ho passato le mani tra i suoi capelli, così simili nel colore e nella consistenza a quelli del padre, lasciando che le dita si incastrassero nei ricci disordinati. Era un gesto familiare, nato per quell’uomo e mantenuto con la sua versione in miniatura. Gli ho rivolto uno sguardo amorevole. “Non sarai mai grande abbastanza per capire”.
Giasone entra in scena e si agita sul palco. Gli occhi degli spettatori sono tutti puntati su di lui, nessuno controlla il cellulare, nessuno sbadiglia. Fanno bene. Tra poco saranno ancora più attenti, entrerò io, la vera protagonista. Già sento nelle orecchie gli applausi, il rumore del sipario che scorre nelle guide per chiudersi e riaprirsi, già vedo gli inchini. La finta chiusura, i finti saluti, per poi essere acclamati e riapparire di nuovo, per prendere altri applausi, fare altri inchini.
E’ arrivato il momento, tocca a me.
“In bocca al lupo, vai mamma!” mi dice Andrea.
“No, tesoro, andiamo” gli rispondo sorridendo.
“Anche noi? Sul palco?”
“Certo, per questa scena servite anche voi.”
“Ma… non abbiamo mai provato!” dice impaurita Flavia.
“Non sappiamo recitare!” le fa eco Andrea.
Li guardo con tenerezza.
“Sarete bravissimi, domani tutti parleranno di noi”
Immagine di copertina di Erika Romano
Sempre brava e coinvolgente, un altro bel racconto. Complimenti!
Non mi aspettavo questo finale. Dà molta aria e luce al racconto, secondo me.
Roberta
Molto brava e finale aperto che lascia spazio a tante interpretazioni, e questo è il bello di un bel racconto.
In effetti questo racconto di interpretazioni ne ha davvero ricevute molte, anche diametralmente opposte… Mi sono arresa all’evidenza che ognuno proietta ciò che vuole nelle storie che legge, se ci sono spiragli per farlo…