Racconto di Marezia Ori illustrazione di Gianmarco De Chiara 2022

Al di là del mare

Tony odia quel posto.

Una prigione vale l’altra, gli ha detto l’avvocato. Facile per lui, che non deve stare in un cubo di cemento galleggiante. Tony non ha mai amato il mare, gli fa paura e sono molto poche le cose che ci riescono.

È un montanaro, non è fatto per vivere in mezzo all’acqua: non bastava averlo ingabbiato, dovevano anche prenderlo per il culo! Come le guardie che ridacchiano e parlano di «località balneare». Vorrebbe farle tacere.

C’è un tizio nell’angolo che non la smette di fissare. Vuoi due carezze? Non ha bisogno di dirlo davvero, gli basta guardarlo negli occhi. Con Tony non si scherza, che sia chiaro a tutti.

Non che la prigione in cui stava rinchiuso prima gli piacesse, però poggiava sulla terra ferma, aggrappata ai bordi di una città. In qualche modo lo rassicurava. Forse gli dava l’impressione di poter scappare, un giorno.

Ma da qua chi potrebbe mai scappare? Solo i gabbiani ci riescono. Vengono fin dentro al cortile e urlano con le loro voci violente e sgraziate: «Sono qui, sono libero e faccio il cazzo che mi pare». Sembra che sghignazzino.

Nelle ore d’aria li osserva volare liberi e fregarsene di tutto: del filo spinato, dei muri senza fine e delle guardie. Sfrecciano nel cielo, scivolano leggeri sulle folate di un vento mostruoso che a Tony scuote anche le ossa. Non aveva mai incontrato un vento così, prima, da nessuna parte. Come l’odore strano nell’aria, che gli brucia in gola quando uscendo in cortile respira troppo forte.

«È il salmastro» gli ha detto un nano butterato qualche giorno fa. Non ha aggiunto altro, dopo il manrovescio che s’è preso sui denti. Che importa a Tony del nome di quell’odore? Non ha bisogno di lezioni. Saper volare è l’unica che forse vorrebbe imparare.

Dalla finestra della cella non vede il mare, ne percepisce solo i suoni, leggeri, fruscianti; quasi nascosti dal vociare arrogante del vento. Però può seguire il volo dei gabbiani: li vede sfrecciare nel cielo, cambiare direzione, gettarsi in picchiata per afferrare una preda e poi tornare a volare alti, padroni dell’aria e di se stessi. Non come lui, rinchiuso lì. Avrebbe voglia di prendere a pugni quei muri fino a spellarsi le mani, spaccarsi le nocche. Ma non è mica scemo.

Deve trovare un modo per passare il tempo e prova a immaginare cosa vedano i gabbiani da lassù. Cosa ci sia al di là dello stupido mare.

La spiaggia di sassi grigi sfuma in un prato verde, all’ombra di alcuni tigli… Ci stanno i tigli al mare? Alza le spalle: è lui che decide. Nel prato c’è una casetta dai muri di calce bianca. E dei fili, come quelli su cui stendeva i panni sua madre. Ma non è sua madre che mette ad asciugare il bucato, è una ragazza. Ha una massa di capelli neri neri e ricci. Sembrano così morbidi che fan venire voglia di infilarci le mani. E anche il naso. Ha deciso di chiamarla Anna. È bella. Chiude gli occhi, riesce quasi a credere che esista davvero. Che stia là, dall’altra parte del mare, ad aspettare lui. Che potrebbe andarsene via dalle mura grigie della sua cella e raggiungerla.

Si avvicina in silenzio e l’abbraccia da dietro. Lascia che si giri sorpresa e le affonda la faccia nei seni tondi e sodi che hanno l’odore del mare, ma buono.

La prende lì, rotolando tra le lenzuola stese, è troppa la voglia per aspettare di entrare in casa. E se non vuole? Non sa da dove è uscita una domanda così stupida e la scaccia con un’alzata di spalle: se non vuole la convince. Con le donne bisogna essere decisi, nessuna debolezza. E poi è sicuro che le piacerebbe, come potrebbe essere altrimenti? L’ha inventata lui.

Sente il gonfiore spingere nei pantaloni della tuta. Apre un occhio a scrutare il compagno di cella, ma il tizio sta pensando ai fatti suoi, uno che ha capito tutto. Tony può tornare a pensare ad Anna e alla libertà.

«Non me lo fate un regalo?»

La guardia non risponde. Sbuffa.

«Oggi sono dieci anni che sto qui.»

«Bel traguardo.»

Non gli è piaciuto il sorriso dello stronzo in divisa. È nuovo, sono poche settimane che sta lì, è ancora rigido, con le regole, con i colleghi, con gli “ospiti”. Ci sono diverse facce nuove anche tra i detenuti. Di quelli che c’erano quando è entrato lui ne restano pochi, adesso. Alcuni hanno finito e sono fuori, chissà per quanto. Altri sono stati trasferiti. Un paio sono morti. Tony deve restarci tanti anni ancora, lì dentro. Le facce nuove gli regalano un po’ di distrazione. Come quando si alza il vento, che soffia le nuvole e trasporta i gabbiani: gli piace questo vento.

«Dopo ti faccio un caffè coi fiocchi. Mia madre me ne ha portato di quello buono.»

Tony annuisce: bravo, ragazzo. Adesso sì che gli piace. Quando glielo hanno messo in cella, a rimpiazzare il coinquilino liberato, gesticolava e parlava, parlava in continuazione. Forse cercava un amico, o solo essere rassicurato. Ha dovuto spiegargli come funziona. Si è beccato una settimana d’isolamento e gli avvertimenti del direttore: «Tony, pensavamo che avessi capito come ci si comporta qui dentro, è tanto che conosci le regole. Che fai, ricominci a creare problemi?»

Ma ne è valsa la pena: ora il ragazzo sa quando deve parlare e quando tacere. Ha imparato anche a rendersi utile: gli procura le sigarette, ogni tanto gli lascia una metà del suo pranzo, tiene pulita la cella. E fa il caffè buono. Quasi una moglie.

Tony sorride seduto sul letto, sorseggia piano il caffè bollente immaginando che lo abbia preparato Anna, di stare a casa con lei.

È sempre più bella. O forse è a causa della pancia tonda e dei seni gonfi. Tony l’aveva sentito dire che le donne incinte splendono, ma non ci credeva, prima. Posa la tazzina bianca e attira Anna a sé, la fa sedere sulle sue ginocchia. Lei gli accarezza la guancia con la mano sinistra, quella che porta l’anello che le ha regalato: la pietra è piccola ma brilla con classe. Baci e carezze fanno salire la voglia.

«Sei sicura che non farà male al bambino?»

Anna ride e scuote la testa: «No, Tony. L’amore non fa mai male.» E si slaccia il vestito.

C’è una rissa in cortile. Sono giovani, pensa Tony, non si sono ancora stancati. O forse è il maestrale che rende pazzi. Lo faceva anche a lui, prima. Ora ci si è abituato, gli sembra di conoscerlo da sempre. Quasi non ci crede che i primi tempi lo odiasse. Ormai è un amico, il suo vento. Spazza il cielo sopra al cortile della prigione e soffia dall’altra parte, da Anna. Un legame che li unisce, come il tratto infinito di mare che dal cortile si vede appena, ma lui lo cerca sempre con gli occhi, e ne cerca l’odore.

L’altro giorno, o forse la settimana prima, è difficile tenere il conto, gli hanno detto che sua madre è morta. Avrebbe voluto andare al funerale, ma non è stato avvisato in tempo. Ha cercato di ricordare quand’era bambino, al paese. Si è sforzato di ritrovare le facce, gli uomini al lavoro nei campi, il sapore dei piatti che cucinava sua madre per cena, quando mangiavano tutti assieme intorno al tavolo ovale. Ma anche il poco che gli è sovvenuto sembrava sfuocato, un vecchio film in bianco e nero. La consistenza dei ricordi finti. Non come Anna.

La sente un po’ triste in questo periodo: il piccolo entra alle medie e lei ha paura d’invecchiare. Sciocca! A lui piacciono le piccole rughe intorno agli occhi, i fianchi più larghi. Sono normali dopo tre figli, tutti maschi, l’orgoglio di Tony. I capelli però sono sempre nerissimi. Sospetta che li tinga di nascosto ed è fiero che ci tenga a continuare a piacergli.

«Tony, è ora di rientrare, non hai sentito? Diventi sordo, invecchiando?»

Vorrebbe rispondere all’insolenza del cretino in divisa, ma a che pro? China le spalle e obbedisce, si concentra sulla voce del mare.

«Ha tutti i requisiti, mi creda. Nessun giudice potrebbe opporsi, sarebbe inumano. Nelle sue condizioni…»

«Avvocato, lasci stare, non ne vale la pena. Morire qui o in ospedale, che differenza può fare?»

«E i suoi parenti? Fratelli, nipoti…»

 Tony scuote la testa piano, anche il minimo gesto gli costa sforzi. L’unica famiglia che ha sta nella casetta di calce bianca, ma se ne parlasse, l’avvocato lo prenderebbe per matto.

«Ci sono delle associazioni… Sempre meglio che qui dentro, no?»

«No, avvocato. Ci sto bene qui, mi conoscono tutti. Ci ho passato metà della mia vita… perché non dovrei morirci? Non insista.»

Rimane seduto ad aspettare che un secondino lo aiuti ad alzarsi e tornare in cella.

«Hai bisogno di qualcosa, Tony?» gli chiede quando è disteso sul letto.

Dice di no con gli occhi. C’è Fredo, se ha bisogno: più che un co-detenuto è diventato un amico. Sempre premuroso. Lo sono tutti adesso, anche le guardie. Tony non s’illude, ha capito che non è affetto quanto pietà: sanno che sta per uscire da lì con i piedi davanti. Ma non importa. Come non gli importa di non aver quasi più la forza di uscire in cortile. Gli restano il rumore del vento e quello del mare. Gli tengono compagnia dentro la cella, sussurrano leggeri con la voce di Anna.

Deve solo chiudere gli occhi per vederla.

È sempre bella, nonostante gli anni e le spalle un po’ curve. Le scie bianche tra i ricci scuri ricordano la spuma sulle onde del mare: la sua Anna ha i capelli di una sirena. Ride di meno, ora, ha lo sguardo scuro di chi sta per perdere l’uomo che ama, ma è forte. Gli terrà la mano, quando sarà il momento. E si occuperà di tutto anche dopo.

Gli piace sforzarsi di immaginare la scena: la famiglia riunita dinnanzi a quel mare che è una parte di loro. Ci sono tutti: i loro figli, i due più grandi accompagnati dalle mogli; i nipoti, l’ultimo che cammina appena e l’altra, là, che è già una signorina. Tony vorrebbe ricordarne i nomi, ma gli sfuggono, è stanco, troppo stanco.

Li trova così eleganti, nei loro completi scuri stropicciati dal vento, hanno gli occhi umidi ma il portamento fiero, lo stesso che aveva lui a vent’anni. Si sente meno triste di morire sapendo che ci saranno loro a piangerlo. È questo che misura il valore di un uomo, che dà senso alla sua vita: il dolore e il ricordo delle persone che lo hanno amato. Anche se esistono solo nella sua mente.

Tony non ha paura: c’è Anna a tenergli la mano.

 

Il racconto è liberamente ispirato alla canzone «La casa in riva al mare» di Lucio Dalla.

Copertina originale di Gianmarco De Chiara 

*****

Marezia Ori è emiliana, emigrata in Provenza, lavora in freelance come traduttrice da e verso il francese, ghostwriter di narrativa per l’infanzia, copywriter, correttrice et similia.  Ama i libri, i gatti, i viaggi, il cibo e il buon vino. Alcuni dei suoi racconti sono apparsi in riviste come Blam! Piegàmi, Distruttori di Terre, il sito Piccoli Grandi Sognatori e un paio di antologie a tema. 

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2 pensieri su “Al di là del mare

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