Cover originale, immagine di Francesca Riscaio per il racconto Bianca come la morte

Bianca come la morte

Un fiore di carne a ricamare l’asfalto dinanzi a lei.
A Letizia ricorda con vaghezza La fata carabina di Pennac, non le sovviene la descrizione precisa del passo che le evoca la scena, bensì la sensazione suscitatale dalla lettura. Non negativa, piuttosto di meraviglia, come quella provata dal Piccolo.
Pensa ai fioroni neri, quando troppo maturi, in estate, cadono a terra gravati dal proprio peso.
Tumb. Si schiantano.
Tumb. Si spandono, aggrappandosi alla superficie alla ricerca di ridefinizioni della propria forma.
Il picciolo spesso rimane ritto, uno spillo fissato su stoffa stracciata, a indicare il luogo dove il fico ha smesso di essere tale e, dopo l’impatto, è diventato qualcosa di diverso. Non natura morta. Natura astratta. Perché, se ti puoi trasformare in altro, la morte non è definitiva. Letizia pensa che, però, in questa circostanza, sebbene il fiore di carne che ha di fronte paia di certo una natura astratta, una simile riflessione non sia applicabile. La forma non verrà ridefinita. Non si trasformerà in altro.
Letizia sorride. Riflette sull’ironia del mai. E, più precisamente, su ciò che non aveva fatto mai: andare a trovare Giorgio sul posto di lavoro. Di solito, non avrebbe potuto. Spesso i cantieri dove lavora suo marito sono lontani, fuori provincia, in altre regioni. Ma, da un paio di mesi a questa parte, Giorgio lavora in subappalto in un cantiere a pochi chilometri da casa. E Letizia ha preso l’abitudine di passarlo a salutare, di tanto in tanto, durante la pausa pranzo.
Oggi le bambine sono da sua madre; lei ne ha approfittato per fare spesa e andare dal marito. Quando arriva nei pressi del palazzo, normalmente lo avvisa con un messaggio e attende che lui la raggiunga.
Ma, questa volta, il messaggio, non lo ha inviato. È rimasto sospeso tra pensieri e mani. Giunta in prossimità della struttura, ha avuto appena il tempo di percepire il sacco di carne che precipitava al suolo. L’impatto con l’asfalto non è nemmeno stato chissà che. È avvenuto in un sospiro, il tempo di battere le ciglia, con un clamore minore rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare da un corpo di ottanta chili che cade al suolo da venti metri di altezza.
Tumb. Un attimo.
Tumb. Un tonfo quasi sordo.
Forse Letizia ha sentito gridare, forse c’è stato trambusto, ma, ora, non saprebbe dirlo, le pare di non ricordare. Però Giorgio che diventa fiore di carne sull’asfalto dinanzi a lei lo ricorda. Non lo ha esattamente visto, ma sa che è lui.
Davanti a lei, il corpo schiantato. Oltre, il ponteggio e la facciata del palazzo in ristrutturazione. Ora le grida ci sono davvero. C’è il trambusto, gli schiamazzi la circondano. Ma Letizia non li percepisce. La sensazione di meraviglia che prova, che inspiegabilmente l’ha pervasa, l’anestetizza.
“Giorgio” pensa, nel torpore che la domina “amore mio, sei diventato un fiore di carne”.
E pensa a La fata carabina, ai fioroni neri in estate, alla natura astratta di un corpo che perde forma: come se fosse in un sogno, lentamente, mentre tutto intorno esplode in confusione, mentre altri accorrono, si gira e se ne va, un fantasma, una presenza vacua in mezzo al via vai generale.

***

Alessia sta percorrendo la deviazione che attraversa il parco cittadino, è dissestata ma, a quest’ora, non c’è nessuno e le permette di aggirare una parte della via principale e del traffico che lì invece inizia a formarsi. Frena di colpo. Per poco non investe la donna che cammina in mezzo alla strada. Se l’è trovata davanti quando la curva si è aperta. Ma lei è prudente e viaggia sempre ad andatura moderata. E poi qui è difficile correre. Vuole abbassare il finestrino e dirgliene quattro, ma quella si gira e la guarda. Senza vederla. Alessia è certa che non la veda affatto: ha lo sguardo perso, sembra un fantasma. Come se non si fosse accorta di nulla, ricomincia a camminare, aggira l’auto in direzione degli alberi a bordo strada. Lei abbassa il finestrino, ma non per lamentarsi, per chiederle se stia bene, se abbia bisogno di aiuto. Le parole non escono, quella figura quasi incorporea l’ha intimorita. “Forse è drogata” pensa. Intanto, da lontano, avverte il suono urlato di una sirena. Cerca di capire da dove provenga, mette in moto e accosta al limite della carreggiata, per evitare un incidente con un’ambulanza o una pattuglia della polizia. Si accorge che la donna è sparita. Si chiede se l’abbia vista veramente. Scende e la cerca. Non con grande determinazione, in realtà, più un’occhiata rapida per obbedire al senso di dovere, per mettersi a posto la coscienza. Guarda verso i viali alberati delle piste ciclabili e dei percorsi fitness, ma, ovunque arrivi il suo sguardo, della donna non c’è traccia. Rimane interdetta. La sirena ora si distingue chiaramente: è davanti a lei, ma si è fermata. Alessia rientra in macchina e parte. Dovrebbe chiamare la polizia, ma per dire cosa? Che forse ha visto una donna che sembrava un fantasma e poi è sparita? Non saprebbe nemmeno come descriverla. E, mentre è rubata da pensieri inquieti, si immette nella strada principale avvicinandosi al mostro, un complesso abitativo costituito da una serie di grossi condomini, situati dietro la stazione. Alcuni dei palazzi sono in ristrutturazione e, da qualche mese, passare in quella zona è ancora più snervante del solito. I cantieri rallentano l’andatura in modo esasperante. Ma, quando arriva, è tutto completamente bloccato. Vede il lampeggiare delle sirene, ambulanza, vigili, macchine in coda con le quattro frecce. «Scusate» chiede ad alcune persone raggruppate a lato della strada «sapete che succede?»
«È morto un operaio» risponde uno degli uomini presenti «è caduto dal ponteggio, un volo di venti metri!»
Si porta la mano alla bocca in un’espressione di sorpresa e orrore. «Poveretto!» esclama. «Già…» le fa eco quello «Una tragedia… Dicono che il cantiere non è a norma…»
Alessia sta scrivendo una tesi relativa agli incidenti sul lavoro, riguardante il rapporto tra realtà, media e percezione sociale. Riflette un attimo, potrebbe scendere e raccogliere delle informazioni di prima mano, ma correrebbe il rischio di vedere qualcosa di troppo reale: un conto è fare ricerca, un conto è vivere certe situazioni. Forse la donna incontrata aveva assistito all’incidente, forse è per questo che sembrava tanto stranita. La coda resta ferma. Altri guidatori, usciti dalle macchine, cellulare in mano, si chiedono quando potranno ripartire. «Prima deve uscire l’ambulanza» dice qualcuno ritornando dall’area transennata «poi ci fanno andare. Ci vorrà mezz’ora…»
Anche Alessia, rassegnata all’attesa, scende dall’auto. Pensa di avvisare i vigili – chissà, l’incontro con la donna potrebbe davvero essere legato all’incidente in cantiere – ma prende lo smartphone e cerca online sulle testate locali qualche notizia utile: potrebbe sistemare la tesi in modo da aggiungere questo caso a quelli analizzati.
Le arriva una notifica sulla mail da X:
Confindustria Parody ha postato …
Alessia apre il post del profilo parodia della Confindustria, @Confundustria, che segue ormai da molto perché pubblica aggiornamenti costanti sulle morti nei luoghi di lavoro, e legge:

********
Si chiamava Giorgio aveva 37 anni e faceva l’operaio.
Oggi è morto cadendo da una impalcatura. Lascia moglie e due figlie.
#MorireDiLavoro una guerra che non frega un cazzo a nessuno.”

Foto di Francesca Riscaio

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