Dopo le prime pagine di Vincoli sono stata pervasa da un insieme di sensazioni del tutto inaspettate. Mi sono sentita smarrita, confusa, quasi delusa: quella non è Holt e questo non è Haruf, ho pensato. Il linguaggio non è asciutto come nella Trilogia della Pianura – soprattutto in Benedizione – la prosa non è ritmata e scolpita da frasi brevi e precise, qui c’è un periodare lungo e complesso, ci sono digressioni, quasi ridondanze.
Poi mi sono ripresa dallo spiazzamento e ho riflettuto: questo è il primo Haruf, mi sono detta, Vincoli è un romanzo di esordio, abbandona le aspettative. E mi sono rilassata. Una volta messe da parte le idee anticipatorie e le formalità legate a come era scritto, mi sono goduta il cosa. E mi sono ritrovata a casa: Haruf sfiora lieve le vite delle persone, più o meno comuni, e in quel tocco condensa tutta la sensibilità di cui è capace, visibile e potente fin dall’esordio. Vincoli è la storia della famiglia Goodnough e di chi entra nella sua orbita. La storia di un padre duro, autoritario e testardo, radicato alla sua terra e cieco verso tutto il resto, che vorrebbe portare i figli a fare la sua stessa vita. I due figli, Edith e Lyman, li vedremo nascere e crescere, fino a diventare adulti, e li seguiremo lungo tutte le loro scelte, fino alla fine. Vincoli è un romanzo dove ognuno fa ciò che può, in cui i personaggi somigliano a tanti corsi d’acqua: scorrono nel letto del fiume e quando trovano un ostacolo gli girano intorno, per continuare a fluire. Non so quale sia il prezzo che un corso d’acqua debba pagare per deviare il suo cammino, di certo John Roscoe, Edith Goodnough e suo fratello Lyman l’hanno pagato alto. Ma questo prezzo è davvero più alto di quanto servirebbe a far sì che il proprio scorrere andasse nella direzione voluta? Quanto impeto dovrebbe metterci un torrente per erodere una roccia fino a non permetterle di deviarlo? E se tre torrenti si unissero, quella roccia la distruggerebbero con meno sforzo… Fare il meglio che si può con le carte che ci ha dato in mano la vita può voler dire entrambe le cose: arrendersi e deviare, soccombendo ai Vincoli, o crearne di nuovi, scelti, voluti e non subiti. I personaggi nel romanzo fanno le loro scelte e saranno loro stessi a diventare rocce, erosi dal tempo.
Vincoli porta forte agli occhi del lettore lo sguardo di Haruf, con alcuni suoi elementi caratteristici ancora abbozzati, più forti nei libri successivi, come il legame con il territorio – qui forte nel rapporto con la terra ma ancora indefinito rispetto alla contea – e l’importanza della comunità, che resta sullo sfondo e solo a tratti si affaccia nelle vite dei personaggi. Al contrario, ciò che mi colpì della Trilogia, ovvero il senso del legame tra le persone, qui si amplifica a dismisura, trasformandosi in catene. L’unico vero legame, scelto, il cui rispetto non si spezza nemmeno di fronte alla richiesta più estrema, resta il rapporto di quasi parentela tra i due protagonisti, che accompagna il lettore nel corso dell’intero libro.
Vincoli mi ha accompagnata nel passaggio di anno, un altro periodo buio, ma Haruf per me è sempre lì nei momenti più critici. Mi sto chiedendo cosa accadrà quando saranno finiti i suoi libri. Ho intenzione di spiegare la cartina di Holt, contenuta nel cofanetto, e appenderla al muro, per poter guardare alla contea ogni volta che ne avrò necessità. Per fortuna questo può aspettare, ce ne sarà ancora uno in cui immergermi.
E se anche tu ogni tanto senti il bisogno di una Holt dove rifugiarti, in cui puoi essere certo che troverai il conforto desiderato in una delle sfaccettature di Haruf, non tergiversare e inizia il viaggio.