Alessandro Piperno, scrittore e professore universitario di letteratura francese, ultimamente ha affrontato più volte l’argomento dell’incipit. Dopo aver scritto un articolo sul tema nell’inserto culturale La Lettura del Corriere (n°301, in edicola dal 2 all’8 settembre 2017), è intervenuto ieri sullo stesso argomento al Festival della Comunicazione di Camogli, che si sta svolgendo in questi giorni (http://www.festivalcomunicazione.it).
Se esiste già un articolo di giornale, che segue essenzialmente la stessa struttura dell’intervento a Camogli, perché farne un post? In un primo momento mi era parso ridondante, ma poi ho ragionato sul fatto che sia l’articolo che l’intervento si sarebbero persi, sarebbero “scaduti”, vedendo la luce solo per un breve intervallo di tempo. E allora, senza nessuna pretesa di completezza né di minuziosa fedeltà, ho deciso di riportare qui i contenuti del suo intervento, così da rendere fruibili le sue riflessioni a chi le avesse perse o le volesse ripercorrere.
Piperno riflette su come l’incipit al giorno d’oggi catalizzi l’interesse mentre alcuni decenni fa non fosse un elemento così importante. Evidenzia come un tempo ci fossero molti meno lettori, meno libri e di certo più pazienza, per cui non era necessario dover catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime righe. Successivamente, dichiarandosi amante delle tassonomie in quanto accademico, traccia le linee di quattro categorie di incipit, fornendo molti esempi per ognuna delle tipologie individuate.
Incipit sapienziali
Sono quegli incipit che affermano una grande verità, come ad esempio quello di Anna Karenina (“Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo“) o di Orgoglio e Pregiudizio(“È verità universalmente ammessa che uno scapolo fornito di un buon patrimonio debba sentire il bisogno di ammogliarsi.”). L’incipit sapienziale ha il rischio di dare l’impressione che si sia scoperta l’acqua calda, fa esporre l’autore e può suonare come una frase fatta: per renderlo attraente si deve lavorare sul suono, sullo spirito e sulla brillantezza, sottolinea Piperno. Inoltre può accadere che ci siano incipit che enuncino la stessa verità ma con punti di vista diametralmente opposti.
Per esempio Paul Nizan nell’Aden Arabia scrive “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” mentre Joseph Conrad ne La linea d’ombra afferma “Solo i giovani hanno momenti simili. Non penso ai giovanissimi. No, i giovanissimi, propriamente parlando, non hanno momenti. È privilegio della prima giovinezza vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta la bella continuità di speranze che non conosce pause o introspezioni. Si chiude dietro di noi il cancelletto della pura fanciullezza – e ci si addentra in un giardino incantato.”
Ma il punto non è chi abbia ragione, bensì come la verità espressa venga resa. Non ciò che dicono ma come lo dicono.
Incipit figurativi o cinematografici
Peculiari della letteratura dell’800, si contraddistinguono per una sorta di piano sequenza, un’inquadratura che dal generale si stringe verso il particolare. Uno tra tanti, quello arcinoto dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogior-
no, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e
a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli,
vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e
figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia
costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le
due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio
questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago ces-
sa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago
dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua di-
stendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
Ma anche quello de L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert:
“Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino il Villede-Montereau stava per partire e spandeva grosse volute di fumo davanti al quai Saint-Bernard.
Arrivavano persone trafelate; barili, gomene, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non rispondevano a nessuno; la gente si urtava, i bagagli venivano issati tra le due ruote, e il frastuono si confondeva col sibilo del vapore che sfuggiva tra le lamiere e avviluppava tutto con una nube biancastra, mentre la campana di prua rintoccava senza interruzione.
Finalmente il battello si mosse; e le due banchine, sulle quali erano allineati magazzini, cantieri e officine, sfilarono come due grandi nastri che si srotolano. ”
Piperno individua due peculiarità di questi incipit: la tendenza a raccontare la prima scena tracciata partendo da un mezzo di locomozione (che nei russi spesso è il treno, nei francesi il piroscafo e per gli inglesi sono cavalli e carrozze), che potrebbe essere un modo per entrare dinamicamente nella narrazione, e la presenza di elementi climatici o d’atmosfera, con un accento calcato sul tempo, sul clima, che dia subito un’idea precisa dell’atmosfera. Questo secondo elemento a volte può prendere la mano, come ne L’uomo senza qualità di Robert Musil, in cui l’autore sembra riprendere lo stile dell’800 facendone quasi una parodia.
E in questi casi il clima delineato dall’incipit diventa un elemento dal significato più profondo, come nelle Correzioni di Jonathan Franzen:
Incipit icastici
Basta un’immagine, una sola, anche un solo piccolo dettaglio, che esplode e si carica di significati. Piperno lo definisce la tipologia di incipit più difficile per uno scrittore. Fa due esempi, entrambi da Charles Dickens, a suo parere erroneamente descritto come uno scrittore realista. Piperno lo considera quasi uno scrittore di fiabe, tante sono le immagini bizzarre e quasi fantastiche che appaiono nei suoi romanzi. In Dombey e figlio, ad esempio, basta la parola muffin a catturare il lettore e a dare tutto un altro senso all’attacco.
Ancora, cita Casa Desolata, attingendo sempre da Dickens, e sottolinea la particolarità di quel megalosauro.
Incipit confidenziali
In questa categoria di attacco, il narratore mette se stesso al centro, affinché gli altri si possano identificare in lui. Per questo sono sempre scritti in prima persona, anche quando il resto del romanzo prosegue in terza: si crea da subito un rapporto di affetto col lettore, il quale si coinvolge
Alcuni classici sono Moby Dick (“Chiamatemi Ismaele.“), Il giovane Holden (“Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto – chi lo nega – ma anche maledettamente suscettibili. D’altronde, non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella.“) o Madame Bovary (“Eravamo nell’aula adibita allo studio, quando il Preside entrò, seguito da un nuovo vestito in abiti borghesi e da un bidello che portava un grande banco.“). Rispetto a quest’ultimo Piperno aggiunge cheun’osservazione: ancora non sembra chiaro chi sia quella prima persona che vede entrare Charles Bovary il suo primo giorno di scuola, e cita un saggio di Vargas Llosa in cui si avanza l’ipotesi che l’autore possa essere un compagno di classe di Flaubert. Tornando a Il Giovane Holden, il professore sottolinea come basti quel modo un po’ “scazzato” e audace con cui attacca il narratore per ammaliare il lettore, e proprio il disprezzo verso il lettore sarà ciò che lo farà andare avanti nella lettura.
Da ultimo, Piperno cita À la Recherche du temps perdu di Marcel Proust, partendo da un’analisi dell’opera in lingua originale.
“Longtemps, je me suis couché de bonne heure”
Piperno ci fa notare come il primo avverbio non sia traducibile in italiano in quanto non esiste un suo esatto corrispettivo. Longtemps indicherebbe il tempo nella sua estensione, ed è un vocabolo di apertura che va proprio a cogliere il cuore dell’opera di Proust. Alcuni hanno tradotto con “A lungo, mi sono coricato di buonora“, ma Piperno osserva che in questa traduzione mancherebbe la parola tempo, così essenziale nella Recherche, visto che è anche la parola con cui l’opera si chiude. Altra notazione interessante, che rientra nella divagazione finale del professore su Proust, è quella dell’uso del tempo verbale: viene utilizzato il passato prossimo, e non il passato remoto o l’imperfetto come fece l’autore nelle prime bozze, in quanto il passato prossimo crea una relazione tra passato e presente e ricalca perfettamente lo spirito della Recherche.
Una divagazione, quest’ultima, di certo apprezzata, perché di punti di vista sugli incipit possono essercene molti, ma ciò che è certo è che al di là delle classificazioni, delle tassonomie e degli incasellamenti, nell’ascoltare Alessandro Piperno parlare di letteratura i 45 minuti a lui concessi sono volati, e questa finestra sul mondo letterario ha rappresentato un raro e piacevole risveglio.